La raccolta di testi racchiusa in questo primo volume dell’Edizione nazionale delle opere di Aldo Moro copre il periodo che va dal 1932 al 1946, dunque gli anni giovanili e della formazione.
Si tratta di testi prevalentemente giornalistici, che si articolano su dieci riviste, un numero sicuramente non straordinario ma comunque significativo. Il richiamo consente subito di rimarcare una prima nota biografica: per quanto Aldo Moro non sia stato un giornalista di professione, gli oneri associativi e istituzionali lo spinsero a dedicarsi alla stampa periodica con una certa continuità, che divenne rilevante nel caso della collaborazione a «La Rassegna»[1].
Quanto ai termini temporali di questo primo volume, quello ad quem è fissato alle elezioni per l’Assemblea costituente del 2 giugno 1946, quando, in seguito al mandato ricevuto, Moro lasciò gli incarichi di responsabilità nell’Azione cattolica per iniziare una lunga carriera politica – e dunque anche una pagina di differente ambito d’impegno –; invece, prima della ricerca svolta per questa Edizione nazionale il punto di partenza rimaneva impregiudicato. Per rifarsi alla raccolta più ampia fino ad ora pubblicata, gli Scritti e discorsi curati da Giuseppe Rossini iniziavano nel 1940, all’indomani cioè della nomina alla presidenza centrale della Fuci, mente l’Italia si apprestava all’ingresso nella seconda guerra mondiale.
E, invece, grazie al lavoro sul campo sono state rinvenute opere anteriori. In particolare, la retrodatazione al 1932 è dovuta a due articoli pubblicati in «Vita nostra!», il bollettino della Gioventù italiana di Azione cattolica della diocesi di Taranto, dove l’allora ragazzo quindicenne, dopo aver frequentato il circolo giovanile intitolato a san Francesco d’Assisi nella città dei due mari, fu nominato delegato diocesano degli aspiranti[2].
Per quanto il periodo tarantino, che è stato rivisitato recentemente anche attraverso un’accurata mostra[3], sia stato ritenuto relativamente incisivo[4], queste due prime uscite, pur convenzionali, concorrono a dimostrare il precoce senso di responsabilità che manifestò Moro, il quale, dopo il Saluto agli inizi del mandato[5], si rivolse agli «aspirantini» per inculcare a sua volta la responsabilità della vocazione apostolica dell’associazione, testimoniando ai coetanei la fede con la «forza del buon esempio»[6]. Alla luce del pur breve scritto, si può sostenere che il giovane pugliese rinverdisse la tradizione ancora acerba della sezione dei minori dell’associazione, iniziata come attenzione a livello nazionale nemmeno dieci anni prima[7] e già aperta nella diocesi meridionale, dove pure l’Azione cattolica si era irradiata in ritardo rispetto al resto del paese.
Come in un ideale cambio della scenografia, che corrisponde al passaggio agli universitari cattolici, seguono i primi articoli pubblicati su «Azione fucina». L’esordio è del 1935 con un pezzo di presentazione del castello svevo-normanno di Bari, uno dei più importanti monumenti della città, ai partecipanti che si apprestavano a intervenire al XXII congresso nazionale della Federazione universitaria cattolica italiana[8], poi rimandato all’anno successivo per evitare scivolamenti nel clima di consenso che l’imminente campagna d’Etiopia stava alimentando. Gli altri spaziano su argomenti di taglio giuridico, in linea con gli interessi coltivati da Moro nel corso degli studi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università adriatica “Benito Mussolini”, secondo la pomposa denominazione assunta fin dal 1926.
All’epoca Moro, dopo il trasferimento della famiglia a Bari, seguendo le orme del fratello Alberto, era entrato nel locale circolo fucino, di cui divenne dopo qualche anno presidente, segnalandosi in modo consapevole e marcato nelle tappe che informavano la militanza attiva, nella vita dell’organizzazione: la relazione di facoltà al convegno di zona per il Sud[9]; l’intervento, dopo l’iscrizione al Gruppo universitario fascista di Bari, ai Littoriali della cultura e dell’arte[10], su cui è possibile, peraltro, ora precisare ulteriormente la valutazione, già accurata, offerta negli studi esistenti[11]; la partecipazione, sollecitata dalla presidenza centrale, al congresso nazionale, nel quale ebbe modo di svolgere un’apprezzata uscita pubblica[12]. Questa scansione è ripercorsa negli articoli apparsi su «Azione fucina», il settimanale uscito a partire dal 1928 in sostituzione di «Studium», come organo degli universitari cattolici. L’articolo di più ampio respiro del 1937 è, comunque, La nuova costituzione d’Irlanda, a commento della nuova legge fondamentale dello Stato approvata su spinta di Eamon De Valera, che suscitò una larga eco negli ambienti cattolici per la bardatura confessionale che l’ammantava[13]. Moro non mostrò aderenza a questa sorta di “mitologia” collettiva, anche se, nello scritto, richiamava la fede come «ispiratrice» della storia. Nel commento, il giovane studente definiva come «limpidamente attuata» la «concezione cristiana» dello Stato, che tuttavia «interviene solo, per attuare, nel rispetto più rigoroso delle esigenze morali e soprannaturali degli individui, le condizioni per il raggiungimento dei veri fini collettivi, che sono la più piena esplicazione della vita di ciascun individuo in relazione a quella degli altri; ciò che vien reso possibile da questa opera realizzatrice dello Stato»[14]. Insomma, come è stato notato, il riconoscimento del giovanissimo Moro del valore del pluralismo sociale e la sua polemica con una concezione estremistica di stampo totalitario «non lo conducevano a un’anteposizione dei diritti della società civile alle “ragioni” dello Stato», del quale semmai finiva per alimentare una cultura giuridica e filosofica[15].
Senza volere anticipare valutazioni che avrebbero preso corpo più avanti, questo grappolo di scritti della seconda metà degli anni Trenta testimonia il terreno di incubazione di una riflessione che sarebbe maturata nel periodo della Costituente. Legate agli studi in corso sono, invece, più che vere e proprie recensioni, due segnalazioni bibliografiche che fanno capolino nella rubrica di «Azione fucina» denominata «Tra i libri», entrambe dedicate alle fatiche editoriali del penalista cattolico Stefano Riccio[16]. Di quest’ultimo non si conosce – pesava però sicuramente il rifiuto della critica «dell’attualismo gentiliano»[17] – un evidente influsso sul pensiero giuridico di Moro, anche se i rispettivi itinerari biografici, al momento accomunati dall’appartenenza fucina, si sarebbero spesso intrecciati, a partire dai passaggi più rilevanti della formazione della Democrazia cristiana nell’Italia liberata[18].
A questo periodo si ricongiunge non solo idealmente anche il necrologio, uscito con il titolo Lutto[19], stilato per la morte di padre Raimondo Santoro, l’assistente del circolo barese, figura sicuramente rilevante nella formazione di Moro.
Gli scritti del 1939, dopo la nomina alla presidenza nazionale della Fuci, acquisiscono, grazie a questa Edizione nazionale, una fisionomia peculiare. Innanzitutto, va sottolineato già il loro numero, rispetto a quanto conosciuto e pubblicato fino ad oggi, che permette non solo di riconsiderare significativamente la dimensione e il valore dell’apporto di Moro alla vita della Federazione, fondata ufficialmente quarantatré anni prima in occasione del XIV incontro nazionale organizzato dall’Opera dei congressi a Fiesole nel 1896. Particolarmente importanti in questo senso appaiono le circolari, inserite nell’Edizione nazionale dopo un’attenta ricerca nell’Archivio della Fuci, depositato nell’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico Paolo VI – per il loro carattere organico e pubblico, cioè per l’intenzionalità aperta di condivisione con i destinatari a vario titolo dell’intera struttura dell’organizzazione.
Questa sorta di vero e proprio “genere” letterario si ritrova in Moro senza soluzione di continuità lungo tutto il periodo alla guida della Fuci, così come, in seguito, dei Laureati cattolici. Esso ci restituisce di lui un’immagine importante al di fuori del cliché stereotipato di “intellettuale puro”, magari prestato alla politica[20]. Per quanto condizionata dal pendolarismo tra Bari e Roma, dove si era trasferita la famiglia[21], l’individuazione da parte del presidente delle linee direttive dell’associazione degli universitari cattolici appare, infatti, sempre attentamente preparata, meticolosamente predisposta, simpateticamente partecipata e, non da ultimo, accuratamente verificata. Tra gli aspetti che risaltano, si distinguono lo sviluppo – «per mio interessamento», tenne a precisare Moro nella circolare del 19 agosto 1939[22] – del radicamento della Fuci al Sud, l’insistenza sulla costituzione di segretariati nelle zone al di fuori delle sedi universitarie, in contatto con la Giac, più diffusa capillarmente sul territorio, l’impegno sui momenti a più denso profilo pubblico, a partire dal suo primo congresso da presidente. Di quest’ultimo, tenutosi nel clima che portò allo scoppio della seconda guerra mondiale, Moro richiamò l’importanza in due articoli quasi consecutivi di «Azione fucina» con lo stesso titolo[23] – sottolineando anche che si era voluto celebrarlo proprio a Roma «con il papa», per riprendere il titolo di un altro scritto[24] apparso sul settimanale per valorizzare anche la scelta della sede dell’assise, che sarebbe stata la sola a essere presieduta da lui.
In questa serie di scritti, l’incidenza dello spazio riservato alla dimensione organizzativa si accompagna, peraltro, a una riflessione pubblica che permise un sensibile rilancio dell’associazione dopo le difficoltà incontrate nell’ultima parte della presidenza di Giovanni Ambrosetti, dimessosi con un anno di anticipo rispetto alla scadenza naturale. I rapporti con il fascismo dal 1939 si erano fatti nuovamente difficili e nella congiuntura dell’inizio del pontificato di Pio XII, segnata anche dal cambio degli Statuti dell’Azione cattolica, con un’ulteriore riduzione del peso del laicato, lasciavano intravedere nuovi problemi.
In questo cono d’ombra, si apprezzano, anche rispetto a una letteratura che ha teso a enfatizzare il distacco del mondo cattolico dal regime fascista in questa stagione[25], gli articoli equilibrati e prudenti, ma non cedevoli nei confronti della pressione totalitaria e tantomeno delle lusinghe ideologiche. In questo senso, si possono utilmente riprendere le parole spese a bilancio del Congresso del 1939, per
cercare di capire insieme, nell’aiuto della luce infinita, l’intrigo di questo mondo, che sarebbe così facilmente chiarito nel piano delle idee e risolto in una superiore armonia in quello della realtà, solo che si avesse riguardo a certi fondamentali valori della vita, ai principii supremi che la Chiesa, depositaria della verità, addita al mondo convulso come generatori di pace e di soddisfazione per tutti. Per sentirci più forti, così insieme, nella Fede che rischiara l’avvenire anche il più fosco e dà serenità alla vita in qualsiasi contingenza[26].
La categoria di ricerca, che apre questo richiamo e che sembra assumere quasi il tono di una invocazione, è tra le più frequenti in assoluto nelle sue diverse declinazioni (sostantivo, verbo), con ben oltre le centocinquanta occorrenze solamente in questo primo volume di scritti. Essa fa da filo conduttore del passaggio, anche sul piano religioso, da un’impronta tipicamente meridionale a un approdo più largo. Per quanto da più parti si sia richiamata l’attenzione su una professione non ostentata ed esibita, evidentemente la fede in Moro era assolutamente vitale, anche in una dimensione pubblica, al di là dei ruoli ricoperti[27]. Il teologo Dalmazio Mongillo, seppure prendendo in considerazione i testi di un altro periodo della vicenda biografica di Moro, quelli del leader politico e non del militante dell’Azione cattolica, ha richiamato l’attenzione su un tratto distintivo del credente, che si staglia anche nella giovinezza:
Gli scritti di Moro contengono solo riferimenti discreti allo stile con cui egli ha armonizzato la condizione di credente e politico, senza indulgere a confusione, a opposizione, a esclusione, di ordini e piani [...]. Se perciò li si legge con la mentalità che valuta l’intensità della fede sulla base della frequenza del riferimento esplicito a Dio ed alle realtà religiose si resta delusi. Se invece si pensa la fede come dimensione che qualifica l’esistenza e che cresce nella storia che trasforma, la si coglie in ogni pagina. Che Moro fosse un religioso praticante non è un mistero né può essere messo in dubbio: non ostentava ma neppure nascondeva la sua condizione. Era e si mostrava praticante [...]. Non è però su codesta linea che vanno incanalate le ricerche sulla sua personalità di credente[28].
Indubbiamente, negli anni giovanili, entrava in gioco anche una dimensione ecclesiale che successivamente, per il periodo al quale fanno riferimento queste considerazioni, non sarebbe stata centrale. È, comunque, proprio su questo sottofondo di una profonda religiosità radicata sin dalla giovinezza che si possono inquadrare le stesse parole trasmesse nel 1978 alla moglie Eleonora Chiavarelli dal «carcere del popolo», anch’esse assolutamente non assertive ma aperte a una ricerca condotta per tutta la vita: «Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo»[29]. Proprio tenendo conto della prova più dura e proiettandola retrospettivamente alla dimensione di tutta un’esistenza, più recentemente Alberto Melloni ha suggerito che non si addiceva al leader pugliese «un cinismo continuamente rivendicato quasi fosse un titolo di nobiltà e la prova della propria appartenenza a una cultura millenaria del potere», per concludere che non lo si può comprendere come «un politico con addosso abiti cristiani, portati per convenienza o per convinzione», ma come «un credente»[30].
La cifra dei testi di «Azione fucina», peraltro, suggerisce una delle sfide più rilevanti affrontate da Moro durante la sua presidenza degli universitari cattolici, per recuperare, forse anche nel senso di uno sviluppo ulteriore, la tradizione montiniana nell’intreccio inestricabile tra dimensione religiosa e momento culturale. È quanto risalta, ad esempio, nella relazione presentata in sede di congresso, con il suo deciso afflato programmatico, nella quale sollecitò con forza l’uditorio all’acquisizione di «un patrimonio, ben ordinato e solido, di idee in materia di religione, e che sia da un lato pienamente corrispondente allo sviluppo intellettuale e culturale di chi frequenta gli studi superiori, e dall’altro adeguato a quella pienezza di vita religiosa che la Fuci tende a sviluppare nell’universitario»[31]. In questa tensione, il presidente fucino insistette anche per il recupero della dimensione liturgica e per l’incremento di quella caritativa. Nel testo, ancora inedito, La relazione del Presidente alle giornate di preghiera e di studio per i dirigenti del settembre 1940 richiamava il «complesso di attività che esprimono questo essere della Fuci nella Chiesa»: «la S. Messa, la Pasqua universitaria, le attività liturgiche e le pratiche di pietà»[32]. L’apertura alla carità trovò un’amplificazione rilevante, anche a livello personale, nella Premessa alla pubblicazione degli universitari cattolici su Le Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli[33], edita su forte sollecitazione dello stesso Moro per rilanciare l’impegno degli studenti fucini a favore dei poveri[34].
Questi tratti dell’identità associativa furono approfonditi dal presidente anche in successivi interventi di presentazione dell’attività organizzativa, che comparvero in una veste insolita, a causa della forzata sospensione dei congressi provocata dalla guerra. È il caso dell’anno accademico 1940-1941, in vista del quale fu predisposto il volumetto Le attività delle Associazioni Universitarie di A.C.I., aperto e chiuso da due testi entrambi a firma di Moro: un’Introduzione e uno Studio dell’organizzazione, sottointitolato non a caso La Fuci di fronte alla vita. In essi, il presidente ribadiva, per così dire, il progetto formativo da lui messo a punto:
Uno degli argomenti di cui più si parla nella Fuci è questo della sua aderenza alla vita; e quale ne sia l’interesse vivo è tanto evidente, che occorre appena metterlo in rilievo. La Fuci è certamente un organismo sociale educativo, squisitamente formativo, se pure definirla in questo modo sarebbe certo inadeguato, ove non si ponesse in rilievo che tale formazione si realizza in una concretezza di vita sociale a carattere religioso, dalla quale scaturiscono fondamentali valori di formazione[35].
La formazione doveva allora poggiare su una «solida base» di «cultura religiosa», adeguata dinamicamente al processo di crescita del giovane[36].
Gli indirizzi culturali della presidenza di Moro furono, infatti, orientati all’«umanesimo cristiano», all’«apostolato della verità» e all’«accostamento alla vita», come è stato messo in evidenza, attingendo proprio agli articoli di «Azione fucina»[37].
Altri temi, comunque, trovarono spazio sulle colonne del settimanale degli universitari cattolici. Se in alcuni articoli, come Università Cattolica e Fuci[38], o ancor più La circolare della Presidenza Centrale per la giornata del Quotidiano[39], si trattava di questioni collegate alla funzione dirigenziale di rappresentanza dell’organizzazione, in altri la curvatura personale era decisamente più accentuata. Originali, rispetto anche a un topos consolidato[40], furono le posizioni attorno alla regalità di Cristo, sulla quale Moro si dilungò in uno scritto di largo respiro nel novembre 1940, alla vigilia della solennità istituita da Pio XI nell’enciclica Quas primas. Come è stato acutamente osservato[41], Moro propose una lettura al contempo «cosmica e interiore», nella quale il tema, nel suo fondamento cristologico, era affrontato nella dimensione personale di «responsabilità» che si apriva all’elevazione degli «altri»[42].
L’impostazione della Fuci fu costretta, comunque, a un ripensamento a seguito dell’intervento in guerra dell’Italia. Prendendo spunto dalla crociata di preghiere per la pace nei santuari mariani del mondo lanciata dal segretario di Stato, Luigi Maglione, su sollecitazione di Pio XII, nel maggio del 1940, il presidente si rifaceva al valore della pace «in quel che rappresenta di grande e di buono», come «situazione di normalità in un mondo di uomini che si amano, e, amandosi, si rispettano e si aiutano a vicenda». La «lotta», allora, era «una tristissima cosa che rompe[va] la divina unità dell’amore»[43]. Mette conto sottolineare che gli accenti in quel frangente non si accordavano con lo spartito della propaganda fascista, che, nel suo approccio, non era contrastata apertamente ma svuotata interiormente, almeno come motivo di fondo. Lo stesso avveniva ancora più esplicitamente, date le condizioni differenti sopraggiunte, in Vivere nella storia dell’agosto del 1940. Moro vi richiamava «la posizione del cristiano di fronte alla storia», che doveva essere «d’interessamento vigile e attivo: non supina accettazione del mondo e della storia, fino ad esser da questi dominato, senza niente saperli dominare e conformare alla propria intuizione di vita»[44]. Né d’altra parte irrompevano, all’interno di letture religiose del conflitto, visioni provvidenzialistiche della guerra, che doveva operare una catarsi dei valori spuri della civiltà.
Evidenziando nella formula lirica «noi tutti interi nella storia tutta intera»[45] il senso dell’immedesimazione alle vicende dell’umanità, Moro mostrò la vicinanza della Fuci ai militari richiamati alle armi. Risultano continue, oltre che pregnanti, le sue richieste «di stabilire contatti, nei modi più opportuni, con coloro che sono lontani per qualunque ragione, specie con coloro che adempiono ad obblighi militari»[46], come fece nella pausa estiva del 1940. Allo stesso tempo il presidente chiedeva anche di garantire l’assistenza religiosa ai fucini in servizio militare nell’intento di alimentare una «fraternità cristiana», come specificò nella circolare del 10 marzo 1941[47]. La vicinanza, che trovò un prezioso punto d’appoggio nei cappellani militari, oltre che nel fitto scambio epistolare intessuto personalmente dal presidente con i richiamati, su cui occorrerebbe una ricerca sistematica[48], ebbe una straordinaria cassa di risonanza su «Azione fucina»[49]. L’attenzione di Moro si sviluppò senza soluzione di continuità fino a quando la mobilitazione non toccò – lo segnalò lui stesso indirettamente nel maggio del 1941 nell’articolo Il dovere dell’ora, nel quale si soffermava sulla revoca del beneficio del rinvio della prestazione del servizio militare goduta fino ad allora goduta – anche alla sua classe “privilegiata”. E alla mobilitazione egli avrebbe risposto con «obbedienza cosciente e silenziosa» per il «bene della Patria»[50]. La recluta continuò a scrivere articoli per il giornale «seduto sull’umile pagliericcio»[51] nella camerata della caserma dove era stato assegnato.
Proprio l’urgenza di sondare il mistero del dolore, nel riverbero della sofferenza umana a contatto con la storia, spingeva Moro in quel drammatico frangente a «vivere l’ideale della Patria nel suo contenuto umano e nel suo valore storico»[52]. A ben guardare, è a questo livello che si collocavano le radici più profonde della ricerca morotea che sarebbe maturata nella fase finale della guerra, arando il terreno per la ricostruzione. Gli obblighi militari costrinsero Moro a lasciare la presidenza della Fuci alla fine del 1941.
Il suo tragitto esistenziale si concentrò sui primi passi della carriera accademica fino a ottenere la libera docenza in diritto penale e nell’impegno come sergente presso il tribunale militare di Bari. Parallelamente egli completò la scelta personale di legame con l’Azione cattolica aderendo ora al Movimento laureati di Azione cattolica, organizzazione lanciata al congresso di Cagliari degli universitari cattolici del 1932 con l’intenzione di prolungare l’esperienza formativa fucina dopo la laurea, coniugando teologia e cultura professionale nelle attività dei gruppi locali, che trovavano una sintesi nei convegni e soprattutto nelle settimane di studio nazionali, avviate nel monastero di Camaldoli nel 1936[53]. Del resto, già come presidente della Fuci, Moro aveva cercato di favorire la transizione dall’una all’altra associazione in una linea di continuità. Nella citata relazione alle giornate di preghiera e di studio del 1940 aveva sollecitato con calore «il passaggio nel movimento laureati, che della Fuci continua in certo senso la vita, sopratutto con riguardo alla forma fecondissima dello studio e del lavoro in comune e utilizzando l’importantissimo contatto di più persone e la forza che deriva dal fatto dell’Associazione per un’azione larga ed efficace nel mondo della cultura»[54]. Su questa delicata transizione, egli aveva anche voluto impegnare fin dall’inizio del suo mandato il consiglio superiore della Fuci, che aveva deliberato di tenere al congresso un’apposita «adunanza» allo scopo, per far sì che il passaggio maturasse «naturalmente»[55].
Il precipitare degli avvenimenti con la caduta del fascismo e l’annuncio dell’armistizio, che lo colse mentre era in servizio come ufficiale in aeronautica a Bari, costituì anche una svolta a livello personale. Dopo l’8 settembre si trovò impiegato nell’ufficio stampa del governo del Regno del Sud e stimolato da più parti ad assumere un ruolo di primo piano nel rinascente movimento cattolico. Anche lui respirò, per così dire, a pieni polmoni il nuovo clima di libertà che soffiava, attraverso una serie di conversazioni a Radio Bari. Fino al febbraio 1944, l’emittente fu sotto il controllo di Ian Greenless, un ufficiale inglese dello Psychological Warfare Branch che permise di dare spazio a personalità delle correnti antifasciste. In questo contesto, come rimarcò Michele Cifarelli, esponente del Partito d’azione che fu tra gli artefici delle trasmissioni a carattere politico, si voleva offrire «il giusto posto alla nuova classe dirigente che nel paese si è formata e che comprende quanti uomini onesti che durante il fascismo» avevano «adorato la libertà in silenzio senza piegare»[56]. L’identikit tracciato si tagliava anche su Moro, che fu coinvolto per tenere alcuni colloqui radiofonici. Di questa collaborazione, avviatasi, nell’ottobre 1943, si conosceva finora solo il testo di una parziale trascrizione di un appello agli studenti universitari a mobilitarsi contro il nazi-fascismo[57]. Grazie a un ritrovamento nel fondo Aldo Moro presso l’Archivio Flamigni, sappiamo di un coinvolgimento a Radio Bari lungo e non episodico.
In un appunto nel quale chiedeva ancora ragguagli sul tempo a disposizione, Moro presentò un piano degli interventi, concordato con il console Roberto Ducci, incaricato del commissariato per le informazioni dal governo Badoglio, che avrebbe dovuto svilupparsi in quattro conversazioni «intorno ai problemi dell’Università», riguardanti, nella sequenza individuata, le questioni «spirituali», i professori, gli studenti e le facoltà di giurisprudenza e Scienze politiche[58]. Nel fondo Aldo Moro presso l’Archivio Flamigni, sono stati trovati i testi dattiloscritti di queste ma anche di altre conversazioni probabilmente lette dall’esponente cattolico d’intesa con Ducci ai microfoni dell’emittente. Questi testi costituiscono così un corpus in successione, che dall’ottobre 1943 arriva probabilmente fino alla primavera del 1944. Non è possibile al momento stabilire con certezza se tutti i colloqui furono tenuti direttamente dal giovane intellettuale sulla base dei dattiloscritti o se, invece, alcuni furono letti da qualche altra figura, ad esempio uno speaker. È indubitabile, comunque, l’autorialità di questi interventi, sui quali Moro intervenne a penna per correggere passaggi che non lo soddisfacevano. Il loro rinvenimento aiuta a illuminare anche l’inizio di un rapporto nell’ambito della politica estera italiana del futuro politico pugliese con il diplomatico toscano, che si sarebbe consolidato nel tempo[59].
Soprattutto il ritrovamento permette di aggiungere un tassello prezioso alla conoscenza del Moro di questa stagione di transizione. Non a caso questi testi oscillano tra la ripresa delle questioni che ruotavano attorno al mondo universitario e l’apertura di nuovi orizzonti di impegno politico.
Sul primo aspetto, Moro, in una delle sue prime conversazioni radiofoniche in cui trattava la questione, all’ordine del giorno, della libertà di opinione, affrontò con toni positivi la dialettica partitica che si stava delineando non senza fatica, riconducendone le asprezze al cuore della democrazia anche nella difficoltà a trovare convergenze: «Angusta visione, perché nascente da un meccanico e falso concetto di unità, quasi che tale unità sia cosa indifferenziata e massiccia e non invece processo di conquista e risultato di attività morale tesa verso il ritrovamento di quel punto d’incontro, che sia la sintesi delle particolari verità»[60]. Moro tratteggiò anche un interessante ritratto delle nuove formazioni politiche che si affacciavano alla vita pubblica:
Quello che è nell’essenza dei partiti, l’essere cioè ciascuno di essi uno e insieme tutti, particolare ed universale, partito e Stato (non già nella forma fanciullesca ed insieme tirannica della facile identificazione fascista, ma nella sola veramente umana del contributo dato da ogni particolarità a costituire l’unità) troverà – sottolineava con forza – nell’aperta discussione della stampa libera il modo migliore per esplicarsi[61].
La premessa necessaria risiedeva, a suo dire, nella ritrovata possibilità di utilizzare i mezzi d comunicazione di massa: «La libertà di stampa è qualche cosa di più completo delle libertà di coscienza e di opinione, dalle quali certo è generata»[62].
Moro polemizzò anche vivacemente con il rinato fascismo di Salò. Smontò l’enfasi del «giovanilismo» che esso continuava ad alimentare[63], invocando come antidoto le virtù, «assolutamente necessarie», di «moderazione, umiltà, interiorità, pazienza»[64]. Contestò la politicizzazione fascista della nazione, come in Fascismo e patriottismo, tema sul quale sarebbe tornato peraltro anche in successivi articoli giornalistici. Denunciò quindi l’identificazione storica che si stava cristallizzando, aggiungendo, come chiave di volta, un concetto cardine della sua elaborazione: «Non si può dire Patria, senza dire “tutti”»[65]. In filigrana, Moro enucleava il suo patriottismo che, senza sovrapposizioni improprie, avrebbe più ampiamente sviscerato nella “lunga” fase di transizione alla democrazia[66].
In un’altra conversazione, dedicata ai «lavori di semina» in cui erano impegnati i contadini, li sollecitò a compiere «il dovere che ad essi incombe come Italiani» contro la logica del disfattismo o la tentazione passiva di attendere l’aiuto degli Alleati. A suo modo di vedere, come si ricava dall’accorato appello conclusivo della conversazione, la collaborazione dei lavoratori della terra poteva essere equiparata a tutti gli effetti alla guerra di liberazione in corso: «Il vostro campo – chiuse non senza una vena retorica – è veramente un campo di battaglia, dove si serve in umiltà la Patria»[67]. Sempre dall’emittente, testimoniando indirettamente la fluidità del quadro politico, ragionò sull’epurazione, avanzando la proposta di un referendum radiofonico[68].
Un intervento specifico fu dedicato da Moro alle posizioni dei cattolici «in questo drammatico momento della vita italiana», che vedeva la formazione della Democrazia cristiana per far «rivivere, di solito con uomini che hanno seguito l’esperienza politica pre-fascista, il vecchio partito popolare»[69]. La sottolineatura non lusinghiera risentiva delle tensioni che l’ex presidente nazionale della Fuci viveva con gli esponenti della generazione degli ex popolari che a Bari stavano trainando la costruzione della nuova formazione politica[70]. Proprio per non rinunciare a un’eredità nella quale lui stesso aveva operato, Moro allargò sensibilmente il quadro della «portata politica del movimento democratico cristiano», che, a suo dire, doveva comprendere le «riserve umane» del «cattolicesimo attivo che son destinate a sboccare fatalmente in questa organizzazione politica». L’intervento si chiudeva, sforando probabilmente i cinque minuti concordati, con una minuziosa rassegna delle espressioni organizzate nell’Azione cattolica italiana – in modo «talvolta colossale», aggiungeva non senza un elemento critico, ma con una venatura rivendicazionista aliena dal suo stile –. Moro non esitava infatti a definire l’Aci come «garanzia di sviluppo del nascente partito democratico cristiano»[71]. I toni utilizzati saranno, comunque, ripresi molto da vicino in un’intervista del giugno 1944, ospitata sull’edizione napoletana de «Il Popolo», che era appena tornato nelle edicole come quotidiano della Democrazia cristiana, nella quale, definendo i rapporti tra il partito e la Fuci, rivendicava orgogliosamente la posizione, tenuta dall’organizzazione di cui era stato presidente, «molto chiara, molto corretta, molto dignitosa» durante il fascismo[72]. Sul rapporto con la nascente formazione politica, tutt’altro che scontato, anche alla luce dei testi ora compiutamente raccolti, il giovane esponente cattolico sarebbe, comunque, tornato con maggiore ponderazione in altri interventi scritti di poco successivi.
Qui, come altrove, ma è una componente generazionale, si assiste alla rinuncia a riflettere sulle origini prossime o di lungo periodo dell’avvento del fascismo, così come storicamente, pur sondandone gli effetti, dell’evoluzione della sua parabola, anche in relazione alle compromissioni della Chiesa.
Sul secondo aspetto, quello della vita accademica da far ripartire, il docente dell’Università di Bari si concentrò in sequenza sui temi concordati con Ducci che erano i più affini alla sua esperienza. Per l’«elevazione della vita universitaria», che sarebbe stata determinante per far maturare «le forze direttive della Nazione», Moro suggerì diverse proposte che, assunte nel complesso, delineavano un’autentica riforma dell’istituzione[73].
La sequenza di queste conversazioni, pur nella peculiarità di genere, aiuta dunque a ridimensionare l’interpretazione proposta da qualcuno di una netta discontinuità per Moro degli eventi del 1943, in parallelo tra biografia e trauma nazionale. Essi infatti sembrano aprire un periodo non di cesura ma di differente impegno nel suo vissuto biografico[74].
Il capitolo più importante di questa stagione è costituito dalla collaborazione a «La Rassegna»[75], il settimanale fondato e lanciato in edicola insieme all’avvocato Antonio Amendola e ai colleghi universitari Armando Regina e Pasquale Del Prete, che arrivò a una tiratura di 50.000 copie, suscitando anche un vivace dibattito nella Bari liberata dagli Alleati[76], perfino all’interno della nascente Democrazia cristiana[77]. A questo riguardo, il recupero, grazie alle ricerche svolte per questa Edizione nazionale, de Il nostro programma, l’unico articolo di Moro apparso – nel novembre del 1943 – su «Il Risveglio», che, dopo la cessazione delle pubblicazioni nel 1923, era appena tornato a uscire, cambiando la ragione sociale, come organo del partito di ispirazione cristiana di Bari, permette se non altro di relativizzare le interpretazioni sulla freddezza quasi congenita di Moro nei confronti della formazione fondata da Alcide De Gasperi[78]. Non può, infatti, essere trascurato che l’ex presidente della Fuci, proprio nel primo numero della testata, delineasse il programma della compagine politica “cattolica”, soffermandosi sui valori che ne informavano la proposta, incentrata sullo sfondo di un «cristianesimo integrale» sulla difesa della persona umana, la solidarietà sociale, la collaborazione allo sviluppo pacifico della comunità internazionale[79]. Non si può, comunque, nemmeno relativizzare il fatto che la collaborazione al periodico del partito finisse subito.
Per quanto riguarda, invece, il giornale di cui fu co-fondatore, che non superava le due facciate per il contingentamento della carta, «La Rassegna» rappresentò una palestra per l’apprendistato – o, recuperando l’annotazione di Antonio Rossano, l’«ingresso ufficiale»[80] – della politica da parte di Moro, il quale, nella suddivisione di ruoli all’interno della redazione, si occupò continuativamente di questi temi, che del resto volevano rispondere al sottotitolo voluto per la testata: «Settimanale politico». Giorgio Campanini con sicurezza ha catalogato gli articoli apparsi sul foglio come «i primi scritti propriamente politici» dell’esponente pugliese[81], anche se il giudizio, nell’economia complessiva di questo primo volume dell’Edizione nazionale delle opere, appare forse calcato.
Il carattere della pubblicazione ha finito, infatti, nell’economia della parabola biografica di Moro, per farle assumere un rilievo tale da spingere a organizzare e a presentare due raccolte integrali degli articoli firmati dal futuro statista sul foglio[82]. L’Edizione nazionale delle opere di Aldo Moro non apporta, quindi, novità conoscitive, aggiungendo solamente l’apparato critico per una più adeguata comprensione e correggendo un’evidente svista. Semmai una più attenta rilettura dei testi permette di correggere la sensazione di «avvicinamento alla vita politica» quasi obbligato, che semmai fu «tormentato», anche sotto il peculiare punto d’osservazione dell’impegno attraverso la prospettiva giornalistica[83].
Su «La Rassegna» l’ex presidente centrale della Fuci non mancò di portare come esempio dell’incompiutezza delle formazioni politiche che si presentavano all’opinione pubblica la «insufficienza del partito democratico cristiano ad esprimere i complessi punti di vista sociali e politici degli ambienti cattolici»[84]. Si trattava di un Moro diverso da quello de «Il Risveglio»? È una linea di lettura che non può essere sostenuta. Semmai queste riflessioni si inserivano in quella stagione di transizione sulla quale il giovane intellettuale si stava incamminando. Comunque, nonostante la designazione al comitato regionale del partito come dirigente dell’ufficio studi e propaganda, Moro, in questa fase, non s’identificò totalmente con le istanze democristiane, palesando piuttosto «segni di sorprendente omogeneità di linguaggio» con gli ambienti ecclesiali locali[85].
Senza voler accedere a un altro stereotipo, che ha infittito la pubblicistica[86], i fondi de «La Rassegna» trasudavano, più che il “pessimismo” di un contesto che inevitabilmente pagava le tare storiche, il “realismo” delle lentezze della ripresa, alle quali si sommavano le problematiche derivate dalla presenza alleata, che l’intellettuale pugliese pure giudicava favorevolmente, favorendo il «vento del Sud»[87]. Al di là dell’inclinazione caratteriale, il giovane esponente cattolico, nella maturazione di un’esperienza decisiva alla presidenza della Fuci, stava assumendo una statura nazionale. Moro riponeva, infatti, una fiducia indefettibile nelle virtù della democrazia, che proprio «in questo delicatissimo momento politico» erano messe alla prova – l’«allettamento» lo definiva – dalle tentazioni serpeggianti alle quali bisognava opporre la «lunga ed ardua strada» della mediazione paziente:
Sarebbe perciò ben più preoccupante, se, dopo venti anni di fascismo, ci trovassimo dinanzi una democrazia in apparenza perfetta, la quale non potrebbe non celare gravi e profonde crepe. Meglio è dunque che si vada piano nel costruire, che si pongano salde basi morali, che si promuovano adesioni convinte, che si eccitino le responsabilità di tutti. Si potrà tardare a raggiungere la meta certo, ma il successo sarà conseguito, quando l’opera sia compiuta, in modo pieno e definitivo[88].
Anche la democrazia meramente formale costituiva uno svuotamento delle energie morali, che occorreva rigenerare[89]. Parimenti Moro, che pure non risparmiava critiche, riteneva che i partiti rappresentassero gli spazi irrinunciabili nel tessere la dialettica democratica:
Se il popolo – scriveva con inusuale verve – non vuole ridursi ad avere cinque fascismi in cambio di uno, a subire perennemente l’iniziativa altrui, respinta con invincibile repugnanza, ha da impadronirsi dei Partiti, che son suoi, per possedere lo Stato, ch’è suo. E se i Partiti ufficialmente costituiti, e faticosamente e malamente operanti, non vogliono essere travolti o continuare, quanto meno, la ventennale sopraffazione, hanno da cedere al popolo, perché, tramite i Partiti, esso si faccia Stato[90].
Se la differenziazione con le posizioni espresse dai partiti di sinistra emerse con continuità, come ancora nel caso del «dilemma monarchia o repubblica»[91], Moro, comunque, si volle sempre tenere fedele – come onestamente ammetteva allo stesso modo dello scritto su «La Rassegna» del 23 novembre 1943 – a un’«opera di chiarificazione», sviluppata «con assoluta imparzialità»[92], tenendo conto del sostegno goduto dalle forze militari alleate, che ovviamente non si intromettevano nel dibattito politico acceso, pur senza lasciarsi scavalcare dagli eventi.
Interessanti e originali, in questa ottica, appaiono le riflessioni sulla politica internazionale, che Moro lesse attraverso il «complesso dei principî espressi negli otto punti della carta atlantica»[93]. In Coscienza unitaria internazionale, arrivò addirittura a elogiare la saldatura tra l’«eredità» della Rivoluzione francese – distaccandosi della cultura intransigente cattolica – e quella «socialistica», come definì l’ascesa del bolscevismo, in una considerazione che altrettanto decisamente si allontanava dal lascito polemico del mondo cattolico[94]. Era, comunque, ben lontano dall’auspicare una koinè internazionalista ammantata di demagogia, come avrebbe ricordato più avanti[95].
Su questa trama di fondo, il giovane intellettuale cercò di definire il ruolo che l’Italia avrebbe potuto giocare «fieramente, nel consesso dei popoli liberi, dimenticando la sua difficile posizione», come con il consueto realismo teneva a rimarcare, per preparare «la via all’abile lavoro diplomatico» e disporre «l’opinione pubblica di tutti i paesi ad accogliere i sacrifici di aspirazioni particolari imposti dalla giusta pace»[96]. In altri termini, per affermare una «solidarietà» di più largo respiro, il futuro sottosegretario degli Esteri, quando Carlo Sforza – pubblicamente elogiato nell’occasione per il discorso tenuto al congresso nazionale dei Comitati di liberazione di Bari, al quale egli poté assistere come inviato de «La Rassegna» perché l’ostracismo degli ex popolari baresi gli impedirono di parteciparvi – avrebbe guidato il ministero, chiamava alla responsabilità necessaria gli attori reali della politica estera, la quale non poteva prescindere dalla diplomazia e dall’opinione pubblica[97]. Questi soggetti avrebbero dovuto essere protagonisti alla fine della seconda guerra mondiale, quando le grandi potenze si sarebbero riunite al tavolo della pace[98]. In questi affondi, pur non sottacendo la commozione, il giurista richiamava anche le lezioni di brutale realismo, come avvenne per il «problema» di Trieste, che «in quanto si propone all’attenzione dell’opinione pubblica, va nettamente impostato, senza reticenze»[99].
Al di là delle singole uscite, il complesso di questi articoli concorre a correggere l’impressione a suo tempo maturata sul relativo «interesse verso i problemi della politica internazionale» di questa stagione[100].
È inopportuno dilungarsi su altri interventi svolti da Moro su «La Rassegna», che, peraltro, sono stati oggetto di più ampie riprese a livello storiografico. Preme, invece, richiamare il significato di questa prima esperienza di politica non diretta, per evidenziare, con le considerazioni avanzate da Renato Moro, che l’impegno profuso denotava il primato della «scelta morale» rispetto a quella partitica, la «preferenza per un pluralismo delle opzioni cattoliche» in questo ambito, l’«insistenza sulla realtà completamente nuova della situazione creatasi alla fine della guerra», che rendeva impossibile rifarsi a modelli del passato del movimento cattolico, della «generalizzata sfiducia» nei confronti delle forze presenti prima dell’instaurazione del regime e, infine, della «acuta sensibilità» per i problemi che il crollo dell’«illusione fascista» aveva inferto all’identità civile degli italiani e che invece erano ritenuti dal giovane giurista le «premesse indispensabili dell’impegno civile»[101].
L’insieme di questi fattori ritardò sicuramente in Moro la scelta di identificarsi nella Democrazia cristiana che si andava formando sotto la leadership di De Gasperi e che non fu favorita inizialmente nemmeno dalla partecipazione a un’altra impresa editoriale, che aveva una caratterizzazione identitaria più marcata. Nello stesso periodo, l’ex presidente della Fuci fu coinvolto nella fondazione e, quindi, nella redazione della rivista «Pensiero e vita», che fin dal titolo della testata sembrava quasi volersi presentare come un contrappunto al «medievalismo» di padre Agostino Gemelli, espresso fin dal primo numero di «Vita e pensiero»[102]. In gestazione da tempo, il periodico, diretto da Attilio Germano, aveva fatto la sua comparsa nel giugno del 1944 su iniziativa degli ambienti cattolici di Bari, anche se aveva avuto l’appoggio dei vescovi della regione ecclesiastica Apulia, nella quale agli inizi aveva cominciato la sua diffusione, raggiungendo poi le altre regioni dell’Italia meridionale e insulare «con il quasi completo esaurimento» delle 5.000 copie stampate[103]. Tra i collaboratori, la testata arrivò ad annoverare Rodolfo Bozzi, Renato Dell’Andro, Pasquale Del Prete, Anacleto Lupo, Luciano Marzollo, Michele Mincuzzi, Giovanni Modugno, Franco Susani, Giacomo Perrino, Antonio Quacquarelli[104]. I contributi rinvenuti a firma di Moro sono venti, che, nel complesso, presentavano una taratura conforme al taglio ecclesiale del periodico, anche se traspariva la curiosità di gettare lo sguardo sull’attualità, non nel senso stretto della cronaca, ma nella traiettoria lunga delle linee di sviluppo che percorrevano la storia[105].
Il primo articolo pubblicato dall’ex presidente centrale della Fuci nell’uscita di apertura del foglio era intitolato non a caso – ricorrendo a uno dei termini più frequenti nel linguaggio moroteo – Umanità, la quale andava recuperata in pienezza attraverso un realistico e non indulgente esame di coscienza sul passato e una coraggiosa assunzione di «responsabilità» – altra parola chiave del suo lessico, che in questa raccolta compare più di trecento volte – per il futuro, per raggiungere un’autentica e duratura pace[106]. Su questo tema, tornò di lì a poco per esigere «un esame di coscienza severo» dei credenti in difesa della Chiesa dagli attacchi polemici esterni, che era possibile fronteggiare evangelicamente solamente come «uomini di pace»[107]. In conformità alla linea del giornale, Moro non mancava di affrontare temi teologici, ricondotti però sempre, secondo il suo precipuo interesse, all’umanità, come nel caso del «dolore» che, «nella sua intima essenza» – in polemica garbata con Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea De Chirico, che ne negava il senso – era «esperienza religiosa, cosa sacra»[108]. Anche in un altro scritto, che traeva spunto dall’atteggiamento tenuto da un uomo lungo una strada di Roma, il giovane intellettuale, soffermandosi sulle incombenze materiali che appesantivano la vita, invitava a coltivare un’intimità dello spirito[109].
Nella collaborazione prestata al settimanale, il giurista pugliese non affrontò temi politici, se non quando – ma era perfettamente in asse con il taglio del foglio – illustrò i motivi ragionevoli dell’azione unitaria dei cattolici in ambito partitico, che, pur essendo un’«arma formidabile»[110], non poteva assurgere a principio. Poco dopo si soffermò sulla «difficile» posizione politica del mondo cattolico, che era attratto dai poli estremi, senza mai potersi risolvere in essi, dovendosi attestare, invece, in un ruolo dinamico di mediazione al centro[111]. Moro non nutriva suggestioni né subiva fascinazioni, come le precedenti componenti generazionali o culturali del cattolicesimo politico, verso il mito dello partito di centro tedesco, lo Zentrum, che era diventato anche modello politico, attraversando variegate declinazioni[112].
L’ultimo articolo proposto sul periodico barese, nell’autunno del 1945, mentre si avvicinavano le attese di una futura ricostruzione, che – Moro lo aveva già chiarito – doveva ispirarsi ai criteri di carità e giustizia sociale[113], si soffermò su questa necessaria riedificazione. Egli sottolineò che essa interessava anche lo Stato, inteso come organizzazione della vita sociale, che al suo interno si articolava, rispecchiando l’unità spirituale del popolo, a partire dalle «comunità umane» della famiglia, delle associazioni, dei sindacati, dei partiti e della scuola[114]. Si trattava, peraltro, di questioni che nello stesso torno di tempo aveva già approfondito su «Azione fucina»[115]. Nel frattempo, Moro era già stato formalmente nominato dalla commissione cardinalizia per l’alta direzione dell’Azione cattolica segretario centrale dei Laureati cattolici, come era stata definita dagli Statuti entrati in vigore nel 1940 la carica per «reggere il movimento». Nel comunicare agli assistenti e agli incaricati dei gruppi la designazione, il docente incaricato dell’Università di Bari abbozzava un programma di fondo, che, recuperando idealmente le intenzioni espresse al momento dell’assunzione della presidenza fucina, intendeva innanzitutto stringere le relazioni vitali tra centro e periferia, la quale era chiamata a irrobustirsi superando definitivamente «la prova della guerra»[116]. Nondimeno la preoccupazione più avvertita fu la trasfusione anche del personale fucino, dopo la chiusura dell’esperienza universitaria, nel Movimento laureati. Un gesto simbolico forte fu l’intervento dell’ex presidente al primo congresso della Fuci nel dopoguerra, quando, dopo il saluto di De Gasperi, Moro richiamò la volontà di «preparare cittadini liberi per il nuovo ordine sociale»[117].
All’ombra di questa attenzione, si comprende il numero elevato di articoli, fino ad ora mai riproposti, – ben sedici, dopo l’esordio, ma in un altro ruolo, nel lontano 1942[118] – scritti per il «Bollettino di Studium», che dal 1935 costituiva il canale di comunicazione privilegiato per raggiungere direttamente i soci. Questa rinascita si inaugurava con il significativo appello – al contempo manifesto del futuro e bilancio del passato – sotto il titolo Ripresa:
Si potrà discutere la formale struttura e la consistenza giuridica dei vincoli nostri con la Chiesa nel nuovo impetuoso fiorire di iniziative che obbediscono a complesse esigenze di ambiente; non si potrà discutere invece il nostro essere inseriti nella Chiesa, la coincidenza degli orizzonti vasti quanto il mondo, il nostro respiro nel respiro universale. In questa coraggiosa professione, in questa condotta lineare è tutta la nostra forza, della quale non ci lasceremo spogliare per eccesso di preoccupazioni formali. E nella Chiesa, che è madre delle genti e mediatrice dei tempi e pacificatrice nell’urto delle intuizioni e delle passioni, in questa desolata terra d’Italia, noi saremo gl’interpreti di un immenso, accorato desiderio di pace in un costante operare, nella verità e nella carità, per una cristiana intesa degli spiriti[119].
Gli aspetti organizzativi della vita del Movimento laureati venivano dunque condivisi attraverso questo strumento, che si arricchiva ancor più puntualmente con le circolari, che denotano il defatigante lavoro di Moro con senso saldamente pratico. Anche quelle relative al nuovo incarico nell’Azione cattolica sono state recuperate nello scavo archivistico compiuto presso l’Isacem. Moro si appoggiò invece alla rivista culturale del Movimento laureati «Studium» per proporre il proprio pensiero, rafforzando la gloriosa tradizione che dalla Fuci si era tramandata al ramo intellettuale adulto. Il mensile, peraltro, ha suscitato l’attenzione degli studiosi nel riprendere gli scritti morotei, che sono stati ripresentati in due raccolte di spessore differente[120]. Il lavoro svolto per l’Edizione nazionale delle opere di Aldo Moro ha permesso di risolvere i dubbi sull’autenticità di alcuni articoli non siglati, restituendo una collezione esaustiva.
Tra i punti qualificanti dell’attività svolta alla guida dei Laureati cattolici, vi fu senz’altro il lancio delle Unioni professionali, come, secondo la denominazione statutaria, «opera» promossa e dipendente dal Movimento per manifestare un’attenzione specifica nei diversi ambiti della cultura. Di più, Moro, il quale al congresso nazionale di inizio 1946 sostenne con tenacia la «specializzazione professionale»[121], pur in un quadro saldamente unitario all’interno dei Laureati cattolici, intravedeva nelle scelte del movimento la possibilità di incidere in una «nuova civiltà», come aveva rimarcato[122], ribadendo in seguito che occorreva «essere all’altezza di quest’ora tragica e grande insieme»[123].
Forse non casualmente è come se, in quel tornante, scommettesse sulla giovinezza che
mostra – fece notare sul nuovo foglio «Ricerca», che nell’aprile del 1945 aveva dapprima affiancato e, dopo pochi mesi, rimpiazzato «Azione fucina», segnalandosi per un titolo dal tono programmatico – un infinito tremebondo rispetto per l’uomo. È, in fondo, essa stessa una risorsa, una riserva di delicatezza, di pudore, un senso, sia pur deformato, dell’essenziale. Si tratta di svolgere e aprire; si tratta di dar coraggio e di far riamare la vita. La vita che è anche dolore, ma non irreparabile, ma non affidato all’oscuro ed inumano rimedio dell’insensibilità; la vita che è riscatto e coraggio. Ciò vuol dire salvare la giovinezza che ritrovi se stessa nelle sue stupende risorse: ciò vuol dire salvare dalla morte che la minaccia, la vita[124].
Non per questa speranza, Moro si addentrava nelle facili illusioni che venivano accarezzate inopinatamente, perdendo «la buona sostanza delle cose, la quale viene tenuta indietro per dare luogo ad un mondo totalmente nuovo», nella «dispersiva antirettorica» che inflazionava le attese diffuse[125]. Nella stessa ottica, sosteneva un cristianesimo calato nella storia senza preoccupazioni conservatrici[126].
Su questa linea, soprattutto attraverso il genere degli editoriali in apertura dei singoli fascicoli di «Studium», l’intellettuale meridionale scavava attorno agli eventi per desumerne un’implicazione di responsabilità che chiamava in causa tutti:
Così siamo di fronte, senza sconforto e senza stanchezza, ad una nuova grande fatica. Il fatto della pace, il fatto brutale nel quale, illusi, abbiamo un momento creduto, si trasforma nell’atto operoso e coraggioso della pace, nel lavoro interiore e profondo della pacificazione che si fa nella vita e non a spese della vita. Perché la pace non è uguale alla morte, ma alla vita e si riduce perciò a lavoro ed incontro sociale[127].
L’interesse di Moro andò, comunque, orientandosi in modo sempre più convinto verso l’assetto del consorzio umano, che, nel difficile assestamento, il segretario centrale dei Laureati cattolici vedeva – lo ripeté due volte – «al di là della politica»[128]. La riflessione, se chiudeva idealmente il cerchio sull’indisponibilità ad affidare la soluzione esclusiva ai partiti, rendendo la politica un’opzione totalizzante, non comportava nemmeno un’estraniazione.
Anche da questa esplorazione privilegiata, infatti, l’intellettuale pugliese, come mostrano i suoi innumerevoli interventi stesi in questa fase per la rubrica «Osservatorio» di «Studium» – anche tre a fascicolo, in un numero addirittura quattro –, continuò a seguire in forma partecipe gli eventi con argomentati e lucidi giudizi, riflettendo impressioni «non politiche, ma non indifferenti alla politica», anche se l’impronta di fondo della riflessione condotta sul mensile rimase prevalentemente «etico-religiosa»[129]. L’esponente cattolico, anche quando lasciò la responsabilità del Movimento laureati nel 1946, continuò a tenere la direzione della rivista fino al 1948, contribuendo sensibilmente a collocarla in un punto non periferico del dibattito culturale del tempo. Nell’identità più profonda, «Studium» svolse una funzione cruciale nell’accompagnamento del mondo cattolico più avvertito verso le nuove sfide del dopoguerra.
Invero, proprio come direttore del periodico, nel 1946 Moro fu coinvolto in un’inchiesta, promossa da «Giovani», espressione del mondo cattolico fiorentino. La domanda rivolta a diversi fra i responsabili di testate di varia natura «indipendenti d’Italia», era se fosse davvero ineluttabile lo scoppio di un altro conflitto per le tensioni montanti tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Il direttore di «Studium», attingendo alle sue convinzioni morali più profonde, rispose che era la «tentazione di sfiducia che bisogna[va] combattere», recuperando la «fiducia nell’uomo»[130].
Tra le contraddizioni che serpeggiavano, affrontate sempre con illuminante discernimento nella collaborazione alla rivista[131], Aldo Moro intravide nella futura Assemblea costituente l’occasione «migliore e la più adatta per ritrovarsi» come comunità:
Nei prossimi mesi gli italiani saranno posti dinnanzi ad una grande responsabilità, ad una possibilità unica della loro storia. Essi dovranno rifare lo Stato, ricostruire nelle sue linee essenziali la comunità nazionale. Ad alcuni tale responsabilità incomberà in modo immediato, ad altri remoto; tutti, nella naturale gerarchia delle possibilità intellettuali e morali, dovranno dire una parola, fare qualche cosa, prendere una decisione che impegna di fronte alle generazioni future. È da evitare che si senta per spirito accomodante e fiacco, questa grande ora come un’ora qualsiasi, alla quale occorra dedicare il minor tempo possibile, mentre essa è un momento di tensione spirituale per una costruzione che è spirituale essa pure e non giuridico formale[132].
Sarebbe stato questo il «dovere» che con passione e competenza Aldo Moro – su richiesta dell’arcivescovo di Bari Marcello Mimmi, come è stato adesso ben ricostruito, il quale lo spinse a entrare nelle liste della Democrazia cristiana come «candidato cattolico»[133] – assolse a partire dall’elezione il 2 giugno 1946 nel consesso straordinario[134], iniziando una nuova e affascinante, ma anche difficile e complessa stagione della sua vita, di cui anche di fronte ai drammatici interrogatori dei brigatisti rossi nel 1978 offrì una rappresentazione vivida del suo passaggio «dal fervido ambiente associativo dell’Azione Cattolica, ed in ispecie della Fuci» alla Democrazia cristiana «con la spontaneità e l’entusiasmo di una scelta, più che politica, religiosa»[135]. Nello stesso contesto, aggiunse: «A questo nuovo modo di essere noi giungemmo con una certa ingenuità, freschezza e fede, come se il cimentarsi con i grandi problemi dell’ordine sociale e politico fosse, con qualche variazione, lo stesso lavoro che si faceva nelle sedi dell’Azione Cattolica»[136].
L’insieme del corpus raccolto in questo primo volume dell’Edizione nazionale delle opere presenta una continuità rilevante come caratteristica saliente del tipico linguaggio moroteo, che è stato oggetto già dai contemporanei di rilievi critici, quando l’intellettuale pugliese assunse un rilievo pubblico, fino a essere classificato come modello incarnato della lontananza della classe dirigente dalla popolazione[137]. A onore del vero, per quanto riguarda la stagione presa in esame, lo stile di Moro risultava sicuramente forbito: nella forma lessicale utilizzava di frequente un tono complesso, che risultava, comunque, adatto rispetto agli interlocutori ai quali si rivolgeva. Più che involute, le espressioni si presentavano ricercate, attraverso il ricorso a figure retoriche complicate – dagli ossimori alle litoti, passando attraverso frasi parenetiche – che rendono il costrutto non di comprensione comune ma certamente fruibile alla platea dei lettori: «Moro non poteva – è stato notato – servirsi ipocritamente di un linguaggio semplice, ma dové servirsi di un linguaggio articolato, che solo una (prevedibile) reazione di rigetto poteva definire oscuro e criptico»[138]. Più puntualmente si è valutato ancora «un ulteriore paradosso nella falsa valutazione della natura criptica dell’idioma moroteo», che poteva sembrare «addirittura oscuro e contorto»: «ci si dovrebbe allora indirizzare – è proprio l’esempio proposto da Francesco Di Donato – verso l’acerbo e vigoroso pensiero della fase giovanile, manifestato soprattutto negli scritti universitari di filosofia del diritto»[139].
Al di là della produzione accademica, il giovane giurista nei testi di questa stagione utilizzava ricorrentemente varianti grafiche o morfologiche sicuramente non comuni, che tuttavia avevano spesso un riscontro in ambito letterario e di riflesso nella produzione culturale frequentata. Rientrano in questa tipologia il sostantivo quistione o il verbo ripugnare che, per richiamare solo gli esempi appropriati, ammesso che il presidente centrale della Fuci li avesse letti, erano stati utilizzati rispettivamente da Italo Svevo e Federigo Tozzi.
Nel novero degli stilemi che concorrono all’usus scribendi del giovane intellettuale pugliese vanno annoverate espressioni non di immediato utilizzo ma comunque impiegate, come rettorica, sacrifizio o ancor più irrigettabile. A questo livello, che prefigura un vero e proprio stile letterario, merita di essere segnalata la tendenza marcata a ricorrere a prefissi – auto-, etero-, ma anche intra- e pre- – che in abbinamento a lemmi correnti, concorrevano a definire un’impronta sempre più riconoscibile. Non è un caso che la frequenza si intensificasse negli anni, in presa diretta con il processo di formazione non solo intellettuale che lo accompagnava. Sotto questo profilo, la continuità semantica è un indicatore sensibile del pensiero moroteo: oltre a «responsabilità» che compare, come accennato, oltre trecento volte, un’entità quasi raggiunta da «libertà», mentre le occorrenze di «coscienza» ammontano a oltre centocinquanta.
In Concezione cristiana del lavoro, apparso su «Studium» agli inizi del 1945, che riportava la prolusione svolta il 4 gennaio alla XV settimana di studio della Fuci, subito dopo essere stato nominato segretario centrale del Movimento laureati di Azione cattolica, la riflessione si appuntava sul significato più profondo della fatica che attraversava la vita, come una «battaglia» che però era inserita integralmente nella «vita», per affermare, pur sottolineando lo sforzo dell’uomo – «un’autoredenzione», appunto, peraltro di relativo utilizzo non solo all’epoca –, il valore teologico della relazione costitutiva con Gesù Cristo, di cui richiamava la «redenzione»[140]. Per soffermarci su un altro esempio, che si colloca quando Moro era già salito ai vertici del ramo intellettuale dell’associazione e dirigeva il mensile lanciato nel 1906 dalla Fuci, nella rubrica «Osservatorio», affondava la riflessione sul concetto di «forza», frenata «nel suo slancio» dal diritto, che era un’altra forza che la riconduceva, per l’appunto, all’«autonegazione»[141]. È, comunque, opportuno sottolineare che perlopiù il ricorso ai prefissi, come potrebbe evocare un richiamo rapsodico, non emergesse nel conio di espressioni – emblematico in questo senso è «autovigilanza» – associative, spirituali o perfino ascetiche che rimandavano in qualche modo agli incarichi all’epoca ricoperti. L’esempio probabilmente più calzante è però «autoeducazione», che Moro enunciò già nel 1938 nella già citata recensione a un volume di carattere giuridico di Stefano Riccio su «Azione fucina», per definire l’evanescenza della pena nella «svalutazione dei suoi presupposti»[142]. Se nel caso specifico si rimaneva nel contesto dei suoi interessi penalistici, in altri termini impiegati, come «eterogoverno» o «presindacale»[143], era il glossario giuslavoristico del corporativismo fascista a richiamare le attestazioni.
Sempre in ambito giuridico, applicato tuttavia al piano strettamente politico, si può far notare anche la formulazione di «autogoverno» in uno dei primi scritti per «La Rassegna», una sorta di ossimoro per gli italiani usciti dalla ventennale esperienza dittatoriale, che venivano sollecitati a guardare all’orizzonte futuro aperto dalla Carta atlantica sottoscritta dal presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt e dal primo ministro britannico Winston Churchill, spietatamente osteggiata dalla propaganda delle Repubblica sociale italiana nel paese ancora occupato della forze naziste[144]. La seconda applicazione, sempre sul settimanale barese, prendeva spunto dalla «sconfessione» del Partito della sinistra cristiana riportata su «L’Osservatore romano», per convincere gli italiani della validità del «centro», che oltre ad «elevare socialmente il popolo», contemplava esattamente l’«autogoverno» della popolazione, come forma di ascesa politica[145].
In termini negativi, invece, si rivolgeva l’invito, apparso sempre su «Studium» agli inizi del 1946, a superare l’«autocompiacimento» che, come un «velo pietoso», portava a confidare nella portata salvifica della tecnica rispetto al valore autentico dell’«umanesimo integrale»[146], per riprendere la suggestione maritainiana[147]. Se probabilmente, almeno in questa specificazione, non è possibile dimostrare un influsso diretto del filosofo francese, è sicuramente ravvisabile una ripresa significativa – per un punto qualificante della riflessione del ramo intellettuale – che rimandava a uno dei fondamenti cha aveva segnato il percorso della formazione della «classe dirigente» cattolica passata attraverso i rami intellettuali dell’Azione cattolica[148].
Un simbolo potente, peraltro, fu offerto dallo stesso Moro nel raccogliere e rilanciare il «cortese apprezzamento» di Arturo Carlo Jemolo sul «Ponte» nel richiamare «il criterio ispiratore» al quale si atteneva il periodico dei Laureati cattolici:
Veramente “Studium” vuol essere serena, obbiettiva, aperta, presente al travaglio fecondo di tutte le idee e di tutte le esperienze, in questo nostro tempo, che è sì sconcertante per molti aspetti, ma pur reca annunci di consolanti verità, ma ha pure il segno della serietà e dell’interiorità, ma conosce l’ansia della ricerca e la gioia di un libero lavoro comune. Senza pregiudizi e senza disdegni “Studium” vuole avere, in questa comunione di sforzi, il suo lavoro da fare, esprimendo la voce della tradizione cattolica con l’ansia di comprendere e di lasciarsi comprendere proprio di chi non si sente nemico in un mondo di nemici, ma uomo tra uomini in una umanità che resta comune malgrado il dissenso e, magari, l’errore. Niente può dividere quando si cerca insieme la verità[149].
Quasi a voler ribadire, più che il senso di un’impresa collettiva, il lascito associativo, il direttore della testata promossa dal movimento utilizzava volutamente la prima persona plurale, alla quale spesso ricorreva.
Lo stesso Moro, in un’intervista televisiva per un programma dedicato al filosofo francese nella ricorrenza della morte, avrebbe, peraltro, ricordato le sedimentazioni createsi, senza tralasciare il proprio vissuto personale, che, peraltro, è stato relativizzato da Corrado Guerzoni[150]:
L’influenza di Maritain sul mondo cattolico italiano – ricordò, in un’intervista televisiva, nel 1973 l’esponente democristiano, all’epoca senza incarichi – si è andata manifestando negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e poi, in modo sempre più intenso, dal momento della ripresa della vita democratica in Italia. A Maritain si rivolgevano in particolare coloro che, nelle organizzazioni di Azione Cattolica, tra le quali voglio ricordare per la mia personale esperienza quelle degli universitari e dei laureati, formavano una coscienza religiosa ed insieme una civile. Erano gli anni del fascismo. Mano a mano i cattolici diventavano più consapevoli del fatto che, ad una scadenza non lontana, sarebbe loro toccato concorrere alla guida della comunità nazionale[151].
È forse solamente una mera curiosità intellettuale il parallelo con Alcide De Gasperi, lontano per formazione e militanza dal futuro statista pugliese, il quale aveva palesato lo stesso procedimento di ricorso ai prefissi per indicare l’«autoesaltazione eterna dell’uomo» nel denunciare l’affidamento in esclusiva «ai progressi della vita materiale»[152] o l’incitamento «all’auto-educazione politica del popolo» attraverso l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, di cui tratteggiava il «lato umano»[153].
L’insieme dei testi raggruppati non aiuta a individuare con nitidezza le fonti del pensiero moroteo, che era sicuramente vasto ed eclettico, anche se quasi mai esplicitato. Un’eccezione è costituita dall’intervento su «Studium» a una sorta di instant book del giornalista statunitense Herbert Lionel Matthews su I frutti del fascismo, nella quale, per il taglio dell’opera, rinunciando a risalire approfonditamente alle cause dell’affermazione e del consolidamento del movimento mussoliniano, Moro si soffermava ampiamente a cogliere le conseguenze dell’esperimento totalitario, come apostasia dello «spirito di umanità» del cristianesimo, sulla più profonda «ragione di vivere» del popolo italiano[154].
Le recensioni, comunque, non aiutano a sciogliere questo nodo, sia perché in alcuni casi erano connesse ai doveri d’ufficio come direttore, sia perché si presentano con un andamento discontinuo, sia ancora perché, quando presenti, ricoprono uno spazio ridotto che finisce per equipararle a segnalazioni[155]. Del resto, i cespiti – con le riprese, le critiche o le prese di distanza – della cultura filosofica e giuridica giovanile dell’esponente pugliese, almeno fino al periodo di «Azione fucina», erano stato ampiamente e lucidamente scandagliati da Renato Moro, soprattutto rispetto ai testi accademici[156].
Nei testi giornalistici, appare evidente l’influsso del magistero ecclesiastico: Pio XII è richiamato direttamente a più riprese e non solo per dovere d’ufficio. Sicuramente si possono cogliere ascendenze, come abbiamo accennato, montiniane[157], all’interno delle quali si sono innestati anche apporti degli assistenti dei movimenti intellettuali dell’Azione cattolica, come Costa e Guano[158].
Tornando allo stile letterario del giovane Moro, per allargare l’approfondimento proposto, non si può fare a meno di osservare anche la cadenza con la quale ricorreva alla suffissazione come chiara astrazione: -zione, -ismo e soprattutto -ità sono le occorrenze più abbondanti. Nel leggere gli scritti raccolti, infatti, ci si imbatte, ad esempio, in tre occasioni con il vocabolo «costruttività», impiegato due volte nel corso del 1942, quando aveva lasciato la presidenza fucina, come tratto distintivo dell’universitario[159], per poi ricorrervi ancora nel 1946, per delineare una caratteristica fondante della Democrazia cristiana nel suo atteggiamento dialogico[160]. Al di là del caso richiamato, l’inclinazione morotea aveva alle spalle una derivazione filosofica non infrequente.
Su un altro piano di ibridazione, si collocavano i neologismi – presenti, anche se limitati – del lessico del giovane intellettuale, il quale, per fare il richiamo più pregnante, come figlio del proprio tempo, utilizzò l’avverbio «fascisticamente», lontano da qualsiasi forma aulica e impiegato nel contesto del regime. Altri termini, che parimenti non sono stati segnalati nell’Edizione nazionale delle opere come refuso, mostrano, invece, un’attestazione decisamente più rara: è il caso, anche qui solamente per rifarsi a degli esempi rinvenuti nei testi, degli aggettivi «millennaria»[161], dove abbondava nel raddoppio della consonante, o «alettante»[162], dove invece dimezzava. Nella trascrizione, sono state così lasciate, senza correzioni o aggiustamenti, altre espressioni tipiche, come nel caso di «amalgama» coniugato al femminile[163].
Appare in definitiva condivisibile, per argomentare in senso contrario le accuse di oscurità e di tortuosità, il giudizio avanzato da Paola Desideri: «Ma un vocabolario come quello moroteo, allusivo, sottile, molto sfaccettato e selezionato, dove ogni opzione lessicale è comunque sempre funzionale alla razionalizzazione e alla manifestazione di un concetto, di una mediazione politica, certamente non può essere né popolare, né tanto meno interazionale»[164].
In definitiva, dunque, lo stile di Aldo Moro, almeno in questa stagione, non si connotava per una complicazione fine a se stessa, ma era funzionale ai contenuti trasmessi per un pubblico simpatetico da parte di un uomo sicuramente colto. Forse però la valutazione più aderente al suo approccio stilistico viene da un commento al linguaggio utilizzato da Roosevelt alla vigilia del Natale del 1943, che lo stesso Moro rappresentò come «caratterizzato in modo inconfondibile da un tono sereno, pacato, umano, quale assai di rado si riscontra in documenti politici, che sogliono essere pomposi ed esteriori o freddi e scheletrici»[165]. Come spesso avviene, nel richiamare le esperienze altrui, si finisce per parlare di sé o, quanto meno, per attribuirsi un modello di riferimento.
Il volume raccoglie tutti i testi attribuibili in modo certo ad Aldo Moro. Dalla raccolta sono state escluse alcune brevi recensioni, siglate peraltro con le iniziali non solitamente utilizzate (a. m.), difficilmente ascrivibili per lo stile, la brevità, lo stesso oggetto trattato. La raccolta si è potuta giovare di un precedente lavoro – limitato però prevalentemente agli scritti apparsi sulle testate del mondo cattolico nelle quali fu impegnato – promosso dalla Fondazione Fuci e dall’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI. Come detto, sono state incluse tutte le circolari – non esclusivamente di carattere organizzativo – che Moro, come presidente nazionale della Fuci, segretario centrale dei Laureati cattolici e direttore di «Studium» ha inviato a gruppi di destinatari selezionati, le quali presentano un carattere chiaramente “pubblico” per il numero di interlocutori raggiunto. Sono stati anche presi in considerazione e inseriti i testi, indipendentemente dalla lunghezza, apparsi in volumi che non rientrassero tra gli Scritti giuridici, ricompresi in un altro volume dell’Edizione nazionale delle opere.
Nella trascrizione, si è tenuto fermo come criterio univoco l’assoluta fedeltà all’originario. Gli unici interventi redazionali, peraltro marginali, sono stati eseguiti per correggere evidenti refusi nel processo di stampa, lasciando comunque, come si è accennato, vocaboli desueti o poco utilizzati, ma, comunque, non scorretti a livello grammaticale. Sono stati, invece, modificati gli accenti gravi, che sono stati resi in acuti, anche perché corrispondevano ai limiti degli impianti tipografici utilizzati all’epoca, in tutti i casi impiegati dall’autore, come «perché», «finché», «cosicché», ecc. La firma autoriale è rimasta invariata, senza essere sciolta, anche quando si trattava delle semplici iniziali, alle quali Moro ricorreva per alcuni generi di intervento, così come non si è colmato il vuoto della mancanza di attribuzione esplicita. È stato rispettato l’utilizzo di volta in volta da parte dell’autore – propenso ad abbondare nella lettera grande anche per termini comuni – delle maiuscole o delle minuscole inserite, anche quando non collimava con criteri di omogeneità, ritenendo che, comunque, ci fosse un intento comunicativo per enfatizzare o relativizzare le forme adoperate. L’impiego dei corsivi o delle sottolineature, secondo la scelta compiuta dall’autore nel licenziare il testo, è stato perfettamente mantenuto.
Gli ulteriori interventi sono stati segnalati con il segno grafico convenzionale delle parentesi quadre, applicato raramente anche alla punteggiatura, quando rischiava di modificare la corretta comprensione del testo. In tutti gli altri casi, si è segnalato ugualmente con il «sic» tra parentesi quadre. Analogamente le citazioni bibliche presenti sono rimaste invariate, anche se in rarissimi casi non combaciavano esattamente con il testo scritturistico, e sono state esplicitate con il tradizionale richiamo, come una fonte qualsiasi, ricorrendo alle abbreviazioni in uso per i singoli libri.
Nell’eventualità che per singoli pezzi fosse disponibile l’originale manoscritto o dattiloscritto, sono state riportate in nota le varianti. L’apparato critico è stato predisposto per supportare la lettura con informazioni essenziali su eventi, documenti e persone. Nella breve introduzione a ogni singolo testo, resa con un carattere riconoscibile (e differente) da quello impiegato nella raccolta, si è anche dato conto della provenienza della collocazione archivistica dei documenti o della sede fonte di provenienza della pubblicazione.
Una prima ricognizione è stata condotta da A. Di Mario in L'attualità di Aldo Moro negli scritti giornalistici (1937-1978), Napoli, Tullio Pironti, 2007, pp. 101-156. ↑
Manca ancora una storia dell’associazione nella diocesi pugliese, per cui, almeno per questo periodo, ci di deve limitare all’approccio sintetico di V. De Marco in L’Azione cattolica a Taranto negli anni del fascismo, in «Analisi storica. Rivista di studi e ricerche», a. IV, n. 7 (luglio 1986), pp. 189-215. ↑
«Taranto città a me cara». Moro e Taranto: dagli anni della giovinezza alle visite istituzionali, mostra storico-documentaria organizzata dal Comitato per le Celebrazioni di Taranto per il Centenario della nascita di Aldo Moro e inaugurata il 6 maggio 2017 presso il Salone degli Specchi di Palazzo di Città. ↑
È la lettura proposta da G. Formigoni in Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 18-19. ↑
Cfr. A. Moro, Saluto, luglio 1932, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.001 ↑
Cfr. Id., La pagina degli Aspiranti, settembre 1932, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.002 ↑
I passi iniziali sono ricostruiti in E. Preziosi, Il progetto educativo dell’Azione cattolica italiana negli anni ’20 e ’30. Le "Sezioni Aspiranti", in «Studium. Rivista di vita e di cultura», a. LXXXIV, n. 5 (maggio 1989), pp. 663-689. ↑
Cfr. A. Moro, Il Castello Svevo, 18 agosto 1935, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.003 ↑
Cfr. Id., I lavori del Convegno di Reggio. Diritto, 25 aprile 1937, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.004 ↑
Cfr. Id., Dottrina del Fascismo, 2 maggio 1937, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.005 ↑
In particolare, si rimanda a R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro, in «Storia contemporanea. Rivista trimestrale di studi storici», a. XIV, n. 4-5 (ottobre 1983), pp. 884 ss., il quale aveva sgombrato il terreno dalle polemiche strumentali insorte. ↑
Cfr. A. Moro, L’illecito giuridico, 29 agosto 1937, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.006 ↑
Tra le riprese, cfr., ad esempio, a firma Spectator, La quindicina internazionale, in «L'Illustrazione vaticana», a. VIII, n. 11 (1° giugno 1937), pp. 483-484, ora in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, edizione critica, coordinamento scientifico di P. Pombeni e coordinamento editoriale di G. Nobili Schiera, Bologna, Vol. II, Tomo III, Alcide De Gasperi dal Partito popolare italiano all’esilio interno, a cura di M. Bigaran e M. Cau, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 2577-2581. ↑
A. Moro, La nuova costituzione d’Irlanda, 12 dicembre 1937, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021, DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.008. Per un’ampia ripresa di questo articolo, cfr. R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro, cit. pp. 880-883. ↑
R. Moro, La formazione intellettuale di Aldo Moro, in Aldo Moro nella storia della Repubblica, a cura di N. Antonetti, Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 49-51. ↑
Cfr. A. Moro, Tra i libri, 6 febbraio 1938, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.009 ↑
R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro, cit., pp. 908-909. ↑
Cfr. R.P. Violi, La Dc nell’Italia liberata. La dirigenza napoletana e la formazione del partito nel 1943-1944, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2006, passim. ↑
A. Moro, Lutto, 29 maggio 1938, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.012 ↑
Un’eco si coglie indirettamente anche nel recente Aldo Moro. Un percorso interpretativo, a cura di A. Alfonsi e L. D’Andrea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018. ↑
Cfr. R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro, cit., p. 952. ↑
A. Moro, Circolare 19 agosto 1939, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.014 ↑
Id., Il Congresso, 6 agosto 1939, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.015, e Id., Il Congresso, 24 settembre 1939, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.017 ↑
Id., Con il Papa, 27 agosto 1939, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.016 ↑
Per una puntualizzazione, si rimanda alle suggestioni lanciate, sotto il titolo di Chiesa e regime fascista alla fine degli anni Trenta: la “seconda stagione storiografica” e le più recenti linee interpretative, da F. Malgeri e riportate in Il regime fascista. Storia e storiografia, a cura di A. Del Boca, M. Legnani e M.G. Rossi, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 176-181. ↑
A. Moro, Serenità, 8 ottobre 1939, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.018 ↑
Anche se, come ha notato R. Moro, La formazione politica di Aldo Moro, in Aldo Moro nell’Italia contemporanea, a cura di F. Perfetti et al., Firenze, Le Lettere, 2011, p. 30, il giovane fucino «passò dalla religiosità strettamente individualistica e intimistica degli anni meridionali a un nuovo atteggiamento», che saldava insieme una lettura sempre fortemente spirituale, esistenziale, etica del cristianesimo e una prospettiva più culturalmente e teologicamente fondata dell’impegno cristiano nella storia». ↑
L’osservazione è riportata in A. Moro, L’intelligenza e gli avvenimenti. Testi 1959-1978, a cura della Fondazione Aldo Moro, Milano, Garzanti, 1979, p. 184. ↑
La confidenza, recapitata il 5 maggio 1978, è ora compresa in A. Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di M. Gotor, Torino, Einaudi, 2008, p. 178. Le osservazioni più penetranti della sua fede, quali traspaiono dagli scritti della prigionia, sono state avanzate dal fratello A.C. Moro in Storia di un delitto annunciato. Le ombre del caso Moro, Roma, Editori Riuniti, 1998, pp. 285 ss. ↑
A. Melloni, Appunti su Moro, la Chiesa, l’Italia. Educare l’invadenza dell’assente, in Una vita, un Paese. Aldo Moro e l’Italia del Novecento, a cura di R. Moro e D. Mezzana, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014, p. 110. ↑
A. Moro, La relazione sulle attività della Fuci nell’A.A. 1938-39 fatta dal Presidente Centrale, Aldo Moro, al Congresso, 8 ottobre 1939, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.019 ↑
Id., La relazione del Presidente alle giornate di preghiera e di studio per i dirigenti, 3 settembre 1940, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.044 ↑
Id., Premessa, in Le Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli, a cura delle Associazioni universitarie di A.C.I., Roma, Studium, 1940, pp. 1-3. ↑
Su questi aspetti, cfr. anche R. Moro, Aldo Moro negli anni della Fuci, Roma, Studium, 2008, pp. 25-27. ↑
A. Moro, Studio dell'organizzazione. La Fuci di fronte alla vita, 1° gennaio 1941, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.058 ↑
Cfr. Id., La giornata fucina, 3 marzo 1940, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.032 ↑
Ci si riferisce evidentemente a R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro, cit., pp. 956-961. ↑
A. Moro, Università Cattolica e Fuci, 10 marzo 1940, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.033 ↑
Id., La circolare della Presidenza centrale, 21 aprile 1940, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.035 ↑
Il tema è stato indagato a più riprese da D. Menozzi, il quale ne ha, per così dire, compendiato le risultanze nella sua presa di lungo periodo in Sacro cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma, Viella, 2001. ↑
Ci si riferisce a R. Moro, Aldo Moro tra memoria e storia, in Accademia di Studi Storici Aldo Moro, Il progetto interrotto di Aldo Moro. Inclusione, pluralismo sociale e compimento della democrazia, Accademia di studi storici Aldo Moro, Roma, 9 maggio 2008, p. 9. Il testo, non pubblicato, è rintracciabile sul sito web dell’istituzione. ↑
A. Moro, Regalità di Cristo, 3 novembre 1940, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.050 ↑
Id., Richiamo alla preghiera, 5 maggio 1940, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.037 ↑
Id., Vivere nella storia, 11 agosto 1940, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.042 ↑
Ibid.. ↑
Id., Lavoro estivo, 7 luglio 1940, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.040 ↑
Id., Circolare 10 marzo 1941, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.061 ↑
Un riscontro significativo in A. Saviano, Viaggio nella memoria. La lettera del giovane Aldo Moro, Roma, Armando, 2009. ↑
La raccolta degli interventi di S. Pignedoli, Ai militari, a cura di U. Bellocchi, Reggio Emilia, Centro Cardinal Pignedoli, 1992, offre uno spaccato significativo. ↑
A. Moro, Il dovere dell’ora, 9 maggio 1941, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.069 ↑
Id., Vita militare, 30 luglio 1941, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.071 ↑
Id., Esperienza di vita, 14 marzo 1941, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.062 ↑
Su questa iniziativa, cfr. ora Una scuola di teologia per laici. Le settimane di cultura religiosa di Camaldoli nella storia della Chiesa e della società italiana (1936-1946), a cura di T. Torresi, Camaldoli, Edizioni Camaldoli, 2017. ↑
A. Moro, La relazione del Presidente alle giornate di preghiera e di studio per i dirigenti, cit. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.044 ↑
Cfr. Id., La riunione del Consiglio Superiore, in «Azione fucina», a. XIII, n. 23 (30 luglio 1939), p. 4. ↑
Il testo dell’intervento è citato in V.A. Leuzzi, Radio Bari 1934-1944, in «Quaderno di comunicazione dell’Università degli Studi di Lecce», a. II, 2001-2002, n. 2, p. 30. ↑
Per la trascrizione a caldo dell’appello, cfr. A. Del Mare, Italia dopo, Milano, Cronache d’Italia, 1975, pp. 64-65. ↑
L’appunto, privo di titolo, in Archivio Flamigni, Fondo Aldo Moro, in fase di riordino. ↑
Di interesse la memoria di R. Ducci, La mestizia di Aldo Moro, a cura di L. Monzali, Roma, Società editrice Dante Alighieri, 2018. ↑
A. Moro, La libertà di stampa, 29 ottobre 1943, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.080 ↑
Cfr. ibid. ↑
Ibid. ↑
Sul «giovanilismo» fascista, che è uno dei miti che alimenta la nuova ideologia nell’Italia del Novecento, cfr., tra i tanti, in particolare S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Roma, Donzelli, 2000, pp. 73-75, ed E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Roma-Bari, Laterza, 2008. ↑
A. Moro, Il problema dei giovani, ottobre 1943, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.087 ↑
Id., Fascismo e patriottismo, settembre 1943, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.078 ↑
Come, del resto, ha efficacemente intuito E. Gentile in La grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano, Mondadori, 1997, pp. 285-287 e 336-337. ↑
A. Moro, Un dovere patriottico, 29 ottobre 1943, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.081 ↑
Cfr. Id., [Epurazione della vita pubblica], ottobre 1943, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.089 ↑
Id., [Le posizioni dei cattolici], 15 febbraio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.088 ↑
La questione è sviscerata da R. Moro in La formazione politica di Aldo Moro, cit., pp. 32-34. ↑
A. Moro, [Le posizioni dei cattolici], cit. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.088 ↑
Cfr. Id., Democrazia Cristiana e Associazioni Universitarie Cattoliche, 10 giugno 1944, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.104 ↑
Cfr. Id., Il problema dei professori universitari, 23 novembre 1943, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.085, e Id., Il problema degli studenti, ottobre 1943, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.086 ↑
È quanto sostiene M. Mastrogregori in Moro. La biografia politica del democristiano più celebrato e discusso nella storia della Repubblica, Roma, Salerno Editrice, 2016, pp. 48 ss. ↑
Sul giornale, cfr. ora A. Gervasio, «La Rassegna». Settimanale d’opinione, in G. Esposito et al., La stampa libera in Puglia. Informazione, opinione pubblica, partiti, 1943-1945, Bari, Edizioni dal Sud, 2015, pp. 137-183. Si veda ora sempre A. Gervasio, Sviluppi del pensiero moroteo tra impegno civile e riflessione religiosa (1943-1945), in Una severa conquista. Aldo Moro e la democrazia in Italia, a cura di T. Torresi, Bari, Cacucci, 2019, pp. 103-111. ↑
Cenni si trovano in A. Rossano, L’altro Moro, Milano, SugarCo, 1985, pp. 47 ss. ↑
Almeno stando a quanto riportato in A. Coppola, Moro, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 10-12. ↑
Una ripresa diligente e recente delle argomentazioni in questo senso, che sono state proposte a più riprese negli anni, si trova in F. Imperato, Aldo Moro e l’Università degli Studi di Bari. Note e documenti, in Aldo Moro e l’Università di Bari. Fra storia e memoria, a cura di A. Massafra, L. Monzali, F. Imperato, Bari, Cacucci, 2016, pp. 25-26. ↑
Cfr. A. Moro, Il nostro programma, 14 novembre 1943, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.082 ↑
A. Rossano, L’altro Moro, cit., p. 44. ↑
G. Campanini, Aldo Moro. Cultura e impegno politico, Studium, Roma, 1992, p. 29. ↑
Ci si riferisce ad Aldo Moro alle radici della nuova democrazia italiana. Raccolta di articoli scritti per «La Rassegna» negli anni 1943-1944-1945. Discorso celebrativo del trentennale della liberazione, a cura di G. Lamaddalena, Bari, Università degli studi, 1988, che contiene una sovrapposizione indebita nella sequenza delle pagine del giornale, e ad A. Moro, La vanità della forza. Gli articoli su «La Rassegna» di Bari (1943-1945), a cura di L. D’Ubaldo, Roma, Eurilink, 2016. ↑
Recuperando la chiave interpretativa affacciata in G. Formigoni, Aldo Moro, cit., pp. 51 ss. ↑
Id., Per una nuova democrazia, 15 giugno 1944, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.105 ↑
È la lettura avanzata, proprio dalla considerazione di questi articoli, da V. Robles in Una chiesa senza popolo in un mondo religioso senza chiesa?, in Le chiese di Pio XII, a cura di A. Riccardi Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 416-418, poi ripresa e precisata anche in V. Robles, Le Chiese di Puglia dalla guerra alla prospettiva democratica, in La Chiesa nel Sud tra guerra e rinascita democratica, a cura di R.P. Violi, Il Mulino, Bologna, 1997, pp. 241-244. ↑
Basti da ultimo il riferimento a M. Veneziani, Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti, Venezia, Marsilio, 2017, p. 253, che, raffigurando Leonardo Sciascia, cimentatosi con L’affaire Moro (Palermo, Sellerio, 1978), e nel tracciare un parallelo con lo statista democristiano, lo descrive come «intellettuale anch’egli ma immerso nella politica, che sublimava il pessimismo meridionale in un cattolicesimo felpato e bizantino». ↑
A.M. Imbriani, Vento del Sud. Moderati, reazionari, qualunquisti (1943-1948), Bologna, Il Mulino, 1996. ↑
A. Moro, Allettamento all’assolutismo, 17 febbraio 1944, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.094 ↑
Cfr. Id., Democrazia e vita morale, 11 giugno 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.179 ↑
Id., Crisi di fiducia, 9 marzo 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.096 ↑
Cfr. Id., Il contenuto reale del dilemma monarchia o repubblica, 9 novembre 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.125 ↑
Ibid. ↑
Id., La Carta Atlantica, 18 gennaio 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.091 ↑
Cfr. Id., Coscienza unitaria internazionale, 6 luglio 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.110 ↑
In particolare, cfr. Id., Internazionalismo, 6 giugno 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.184 ↑
Id., Europa solidale, 3 febbraio 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.192 ↑
Cfr. ibid. ↑
Cfr. Id., Questa difficile pace, maggio 1946, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.233 ↑
Id., Trieste, 10 maggio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.171 ↑
L. Monzali, Aldo Moro e la politica estera italiana (1963-1978), in Fra diplomazia e petrolio. Aldo Moro e la politica italiana in Medio Oriente (1963-1978), a cura di F. Imperato, R. Milano e L. Monzali, Bari, Cacucci, 2018, p. 9, peraltro a conferma di precedenti giudizi, come F. Imperato e L. Monzali, Aldo Moro e il problema della cooperazione adriatica nella politica estera italiana 1963-1978, in Istria e Puglia fra Europa e Mediterraneo, a cura di L. Monzali e F. Šuran, Studium, Roma, 2011, p. 21, dove si rimarca la «discontinuità» del rapporto con la politica estera. ↑
R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro. Dall’impegno religioso a quello politico, in Convegno di studi in memoria di Aldo Moro nel ventennale della sua scomparsa, Bari, Servizio Editoriale Universitario, 2001, p. 69. ↑
Sulla portata di questo manifesto, cfr. ora M. Bocci, Gemelli, medievalismo e modernità. Un progetto per l’Italia, in Storia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Vol. VI, Agostino Gemelli e il suo tempo, a cura di Ead., Milano, Vita e pensiero, 2009, pp. 29-66. ↑
La cifra era indicata in Circolare programma del settimanale «Coscienza», allegata alla lettera a firma Aldo Moro, su carta intestata A.C.I., Sezione Laureati, Roma, 9 gennaio 1945, in Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI, Fondo Fuci, in fase di riordino. Cfr. anche R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro. Dall’impegno religioso a quello politico, cit., pp. 65-66. ↑
Stando almeno alla scheda riportata in La stampa democratica pugliese nel primo e nel secondo dopoguerra. Censimento delle fonti della storia del movimento contadino e democratico pugliese, Bari, Istituto Gramsci, 1984, pp. 140-141. ↑
Una rilettura del contributo di Moro al periodico è stata proposta da A. Gervasio in Sviluppi del pensiero moroteo tra impegno civile e riflessione religiosa, cit., pp. 111-116. ↑
Cfr. A. Moro, Umanità, 10 giugno 1944, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.103 ↑
Id., >Uomini di pace, 22 luglio 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.111 ↑
Id., Il peso del dolore, 23 dicembre 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.131 ↑
Cfr. Id., Il pudore dello spirito, 10 febbraio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.148 ↑
Id., Conflitto ideologico, 4 novembre 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.124 ↑
Cfr. Id., Dinamismo del centro, 25 novembre 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.128 ↑
Cfr. S. Trinchese, Governare dal centro. Il modello tedesco nel cattolicesimo politico italiano del ‘900, Roma, Studium, 1994. ↑
Cfr. A. Moro, Motivi sociali, 1° luglio 1944, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.109 ↑
Cfr. Id., Ricostruire lo Stato, 10 marzo 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.157 ↑
Cfr. ad esempio Id., Doveri, 10 gennaio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.138 ↑
Id., Circolare 27 dicembre 1944, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.133 ↑
Il resoconto in Il XXVI Congresso Nazionale della FUCI, primo dopo la guerra, in «Azione fucina», a. XX, n. 1-2 (10 gennaio 1946), p. 1. ↑
Cfr. A. Moro, Responsabilità della cultura, luglio 1942, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.075 ↑
Id., Ripresa, gennaio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.143 ↑
Cfr. Id., Al di là della politica e altri scritti. «Studium» 1942-1952, a cura di G. Campanini, Roma, Studium, 1982, con la raccolta sulla carta completa, e P. Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano. Aldo Moro e «Studium» (1945-1948), Roma, Studium, 2011, che ha raccolto in appendice una breve scelta antologica. ↑
A. Moro, Dopo il Congresso, gennaio 1946, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.225 ↑
Sono almeno due gli interventi scritti al riguardo: cfr. Id., Civiltà nuova, 18 maggio 1944, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.101, e Id., Equivoco della rivoluzione, 19 aprile 1945, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.163 ↑
Id., Doveri, cit. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.138 ↑
Id., Paura di essere uomini, 15 giugno 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.180 ↑
Id., Osservatorio 3, giugno 1946, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.187 ↑
In questo senso, si interrogava in Id., Osservatorio 1, maggio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.174 ↑
Id., Lo spirito della pace, dicembre 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.214 ↑
In prima battuta in Id., Perché siamo all’opposizione, 1° febbraio 1945, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.145, e poi con più forza in Id., Al di là della politica, giugno 1945, ibid., DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.191 ↑
G.B. Scaglia, Aldo Moro dall’Azione cattolica all’azione politica, in A. Moro, Al di là della politica e altri scritti, cit., pp. 31 e 47. ↑
A. Moro, Ancora una guerra? (Le prime risposte alla nostra inchiesta), 7 aprile 1946, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.230 ↑
Per ulteriori approfondimenti si rimanda a G.B. Scaglia, Aldo Moro dall’Azione cattolica all’azione politica, cit., pp. 11-48, e a P. Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano, cit. ↑
A. Moro, Di fronte alla Costituente, marzo 1946, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.228 ↑
R. Moro, La formazione intellettuale di Aldo Moro, cit., p. 56. ↑
Per l’impegno alla Costituente, in modo puntuale, si rimanda a G. Formigoni, Aldo Moro, cit., pp. 73-83. ↑
Il passaggio si trova in Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Monte Nevoso a Milano, a cura di F.M. Biscione, Roma, Colletti, 1993, p. 166. Per sbrogliare le difficoltà interpretative del testo, è intervenuto M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino, Einaudi, 2011. ↑
Il memoriale di Aldo Moro rinventuo in via Monte Nevoso a Milano, a cura di F.M. Biscione, cit., p. 132. ↑
Lo studio del lessico moroteo si è giovato dei consigli di Matteo Largaiolli. ↑
F. Di Donato, Sul presunto linguaggio criptico nell’elaborazione politico-istituzionale di Aldo Moro, in Una vita, un Paese, a cura di R. Moro e D. Mezzana, cit., p. 247. ↑
Ivi, p. 259. ↑
A. Moro, Concezione cristiana del lavoro, 25 gennaio 1945, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.142 ↑
Id., Osservatorio 4, marzo 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.167 ↑
Id., Tra i libri, 6 marzo 1938, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.010 ↑
Nel primo caso, impiegato in Id., Allettamento all’assolutismo, cit., nel secondo in Id., Circolare 14 maggio 1946, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.234 ↑
Cfr. Id., La Carta Atlantica, cit. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.091 ↑
Id., La sinistra cristiana, 15 febbraio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.149 ↑
Id., Attualità dell’umanesimo, 1° gennaio 1946, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.224 ↑
Cfr. R. Ruffilli, Religione, diritto e politica, in Cultura e politica nell’esperienza di Aldo Moro, a cura di P. Scaramozzino, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 56-57, dove ha parlato di un maritainesimo più religioso nell’esponente pugliese. Ne ha ridefinito le implicazioni P. Acanfora in Un nuovo umanesimo cristiano, cit., pp. 80-81. Ma cfr. anche R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro. Dall’impegno religioso a quello politico, cit., pp. 59-60. ↑
Si evoca ovviamente il classico R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna, Il Mulino, 1979. ↑
A. Moro, Osservatorio 4, 4 dicembre 1945, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.218 ↑
Cfr. C. Guerzoni, Aldo Moro, Palermo, Sellerio, 2008, pp. 24-25. ↑
A. Moro, Per una iniziativa politica della DC, in «Progetto», a. VI, 1973, n. 4, supplemento, poi riprodotto in Id., Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, Vol. V, 1969-1973, Roma, Cinque Lune, 1988, pp. 3053-3054. C. Guerzoni in Aldo Moro, cit., pp. 24-35, ha sminuito la portata di questa intervista. ↑
A. De Gasperi, Viene il colera!, in «Il Trentino», a. XLIII, n. 213 (18 settembre 1908), p. 1, ora in Id., Scritti e discorsi politici, cit., Vol. I, Tomo I, Alcide De Gasperi nel Trentino asburgico, a cura di E. Tonezzer, M. Bigaran e M. Guiotto, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 832-834. ↑
Id., Due dicembre, in «Il Trentino», a. XLIII, n. 277 (2 dicembre 1908), p. 1, ora in Id., Scritti e discorsi politici, cit., Vol. I, Tomo I, cit., pp. 860-862. ↑
Cfr. «I frutti del fascismo» di Herbert L. Matthews, in «Studium», a. XLI, n. 5 (maggio 1945), pp. 136-137, firmato A.M. ↑
A titolo indicativo si possono riprendere «Ed egli si nascose» di Ignazio Silone, in «Studium», a. XLI, 1945, n. 6 (giugno 1945), pp. 166-167, firmato A.M., e il trittico dedicato ai volumi di A. Savinio, Sorte dell’Europa, di B. Croce, La borghesia e di A. Labriola, Dopo il fascismo, che fare?, ricompreso in Libri ricevuti, ivi, pp. 179-180. ↑
Cfr. R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro, cit., pp. 897-946. ↑
Un primo approccio in G.B. Montini, Scritti fucini (1925-1933), a cura di M. Marcocchi, Brescia-Roma, Istituto Paolo VI-Studium, 2004. ↑
Sul primo cfr. R. Moro, Franco Costa vice-assistente della Fuci, in Don Franco Costa. Per la storia di un sacerdote attivo nel laicato cattolico italiano. Studi e testimonianze, Roma, Ave, 1992, pp. 149-290. ↑
Cfr. A. Moro, Problemi dell’Università, in «Studium», a. XLI, n. 10 (giugno 1945), pp. 279-284, e Id., Responsabilità dell’Universitario, luglio 1942, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021, DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.076 ↑
Cfr. Id., Osservatorio 1, cit. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.174 ↑
Id., Orientamenti, 4 gennaio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.136 ↑
Id., Panorama sociale, 10 maggio 1945, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.172 ↑
Cfr. Id., Solidarietà, 10 novembre 1941, ibid. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.073 ↑
P. Desideri, Il discorso politico. Profilo linguistico di Moro, Craxi, Pannella, in «Italia contemporanea», a. LXI, n. 174 (marzo 1989), p. 7. ↑
Id., Nuovi ideali. Il messaggio del Presidente Roosevelt, 4 gennaio 1944, in Id., Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di G. Crociata e P. Trionfini, edizione e nota storico-critica di T. Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. DOI: http://doi.org/10.48678/unibo/aldomoro1.1.0.090 ↑