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Nota storico-critica

Il periodo dossettiano (1946-1951)

di Paolo Acanfora

Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Scritti e Discorsi, Il periodo dossettiano e di Iniziativa democratica (1946-1958), 2024.
Quest'opera è rilasciata con licenza CC BY-NC 4.0
DOI: 10.48678/unibo/aldomoro1.2.1.note


Gli anni tra il 1946 e il 1951 rappresentano un momento cruciale nella maturazione intellettuale e politica di Aldo Moro. Sono gli anni dell’approdo alla politica militante nel partito democratico cristiano e nelle istituzioni ma, al contempo, sono anche quelli di continuazione dell’attività intellettuale nelle organizzazioni cattoliche e nell’accademia italiana come docente universitario di discipline giuridiche. Profili diversi che, naturalmente, si intrecciano e restituiscono – come si può facilmente evincere dai testi qui raccolti – una personalità ricca e complessa, con una lettura della realtà del secondo dopoguerra attenta e comprensiva delle dinamiche politiche, sociali ed economiche della moderna società di massa.

L’approdo alla politica di un intellettuale cattolico

Naturalmente, questi passaggi sono stati profondamente segnati dal precedente percorso di formazione, ricchissimo per pluralità di matrici culturali e caratterizzato da una personale declinazione di diversi orientamenti filosofici, spirituali, giuridici largamente influenti sulla sua generazione. Dalla tipicità della cultura fucina di ispirazione montiniana[1] alla peculiarità dell’ambiente familiare, dalla ricezione “di contesto” della tradizione tomista (cioè come sfondo generale, dal punto di vista teologico) al confronto singolare con il cosiddetto neotomismo, passando per l’influenza dell’idealismo giuridico nelle sue varie declinazioni e per la cultura storicistica, la formazione di Moro appare pluralista al punto da rendere difficile il suo inquadramento in uno schema definito di appartenenza ad una specifica scuola di pensiero cattolica. Renato Moro ha studiato a fondo questa fase della biografia di Moro, approfondendo nel tempo e con diversi contributi una stagione che è al tempo stesso singolare – per l’indubbia peculiarità della personalità morotea – ed emblematica di un’intera generazione di cattolici[2]. Singolarità e tipicità che emergono in maniera chiara negli scritti e nei discorsi relativi al periodo giovanile, come si evince anche dall’introduzione di Paolo Trionfini e dalla nota storico-critica di Tiziano Torresi al primo volume dell’Edizione nazionale dedicato a questi anni (1932-1946)[3].

Nel periodo considerato Moro ricopre cariche istituzionali di notevole importanza che, naturalmente, si riflettono anche nei “luoghi di edizione” dei suoi scritti e discorsi. Diventato segretario centrale del Movimento laureati – il gruppo di intellettuali legati all’Azione cattolica, fondato da Igino Righetti e Giovanni Battista Montini nel 1933 – nel gennaio del 1945 (in seguito alla nomina di Vittorino Veronese a segretario generale dell’Ac[4]), Moro assunse contemporaneamente la direzione della rivista «Studium» che ne era espressione. Le due cariche hanno avuto, tuttavia, una gestione temporalmente diversa. Mentre la prima era destinata a concludersi con l’elezione all’Assemblea costituente, la seconda continuò sino al dicembre del 1948, dopo non solo la fine dell’esperienza costituente ma anche in seguito all’avvio della prima legislatura repubblicana (1948-1953) e alla assunzione di responsabilità di governo in qualità di sottosegretario agli Affari esteri nel V governo De Gasperi (maggio 1948-gennaio 1950). Una scelta per niente scontata che testimoniava, da una parte, l’importanza assegnata da Moro all’attività di guida della rivista, a cui impresse una direzione chiara e riconoscibile sul piano degli orientamenti cultural-politici[5], e, dall’altra, la difficoltà per il mondo cattolico organizzato a rinunciare al contributo direttivo di una personalità che era stata scelta per dare continuità alla precedente dirigenza nell’ottica di una delicata transizione al postfascismo e che, com’è stato affermato, aveva un ruolo di leadership nei gruppi intellettuali di Ac[6]. Una scelta che teneva conto, naturalmente, della personale esperienza maturata alla presidenza della Fuci[7] (1939-1942) ma anche dei cambiamenti intervenuti all’interno della Chiesa cattolica italiana che puntava ad un rilancio complessivo dell’Azione cattolica, nel quale erano chiamati a dare il proprio contributo anche i suoi rami intellettuali[8]. Il rilancio era passato anche attraverso una ridefinizione degli organismi afferenti all’Ac e al varo di un nuovo statuto nel 1946. Una revisione frutto dei lavori della commissione episcopale riunitasi per una prima bozza di schema dall’11 al 18 febbraio e per la stesura definitiva dal 24 al 27 giugno – con approvazione finale di Pio XII l’11 ottobre 1946[9].

Moro si trovò, dunque, a guidare gli intellettuali cattolici in un momento cruciale di ristrutturazione della principale associazione del cattolicesimo militante in Italia, con il compito esplicito di esercitare un’influenza direttiva sulle masse nel difficile passaggio dal totalitarismo fascista al nuovo regime democratico. Agli intellettuali era infatti richiesto di offrire una visione morale unitaria sulla base della quale interpretare la realtà ed agire efficacemente su di essa. Una weltanschauung cattolica che fosse in grado di competere con le altre visioni del mondo elaborate dai principali movimenti di massa. La questione era presentata in termini assai chiari dall’assistente ecclesiastico del Movimento laureati, mons. Adriano Bernareggi:

I Laureati cattolici, proprio come tali, non possono ritenersi esenti da un’attività altresì che sia in più vicino contatto con le masse. L’influenza della cultura sulle masse è infatti evidentissima, ed è per l’appunto sulla piattaforma di presupposti dottrinali, e di una qualche concezione della vita, che si impostano anche gli attuali grandi movimenti di massa. E chi altri, se non l’intellettuale cattolico, in stretta collaborazione con l’ordinamento principe dei cattolici militanti (Statuto dell’Aci, art. 2), potrebbe svolgere quest’opera, di ridare una mentalità cattolica alle masse?

La domanda retorica definiva inequivocabilmente il senso ultimo della nuova missione degli intellettuali cattolici nella società di massa del secondo dopoguerra: «rifare cristiana la cultura del nostro tempo, ed attraverso ad una cultura rifatta cristiana far rinascere la civiltà cristiana nel mondo»[10]. Non era un caso, naturalmente, che queste parole fossero pronunciate dall’assistente ecclesiastico del Movimento laureati, durante il congresso nazionale dell’organizzazione, e pubblicate sulla rivista che ne era espressione. Senza volerle trasformare in una sorta di “manifesto”, è però evidente che esse indicavano una via da percorrere, un ruolo ed una funzione da svolgere all’interno di una società in fermento. Nella prospettiva della ricostruzione post-fascista, il mondo cattolico organizzato era chiamato ad imprimere la propria impronta, a svolgere un ruolo di guida per offrire alle masse e agli individui dei punti di riferimento per orientarsi nella caotica realtà della moderna società di massa. Come ha sottolineato lo storico George Mosse, il cristianesimo si riproponeva allora come una bussola «capace di fornire risposte su tutti gli aspetti della vita», elaborando una compiuta e «nuova visione del mondo, diversa ed antagonista rispetto a quella totalitaria»[11]. Si presentava come una soluzione al disorientamento della società postbellica che aveva portato al tracollo di sistemi di valore radicati nelle mentalità collettive ed ora spingeva «gli uomini a ritornare alle radici spirituali». Il cristianesimo tornava così ad offrire i principi ispiratori per ricostruire le basi di una nuova solida convivenza civile[12].

In questa opera missionaria mirante a ridare una mentalità cattolica alle masse, l’associazionismo cattolico metteva dunque in atto processi di riforma che ridefinivano compiti e strategie, sollecitavano una riorganizzazione delle strutture e promuovevano in modo inedito figure considerate cruciali nelle dinamiche sociali e culturali. Per realizzare una penetrazione più capillare in ambienti qualificati, erano sorte, ad esempio, le unioni professionali, ritenute particolarmente rilevanti per la loro capacità di sviluppare, come veniva affermato nella bozza di statuto presentata da Moro nel giugno del 1945, «più intimi contatti tra i suoi aderenti e i professionisti non iscritti all’Azione cattolica mediante una maggiore larghezza di forme ed una adeguata specializzazione di attività»[13]. Queste erano intese come uno strumento fondamentale per la compenetrazione del piano tecnico-specialistico con il piano morale-intellettuale, al punto che – come avrebbe scritto qualche anno dopo un tipico esponente dell’intellighenzia militante cattolica, Giuseppe Cassano[14] – «l’apostolato professionale» appariva chiaramente «inseparabile dall’apostolato intellettuale», tanto nell’ispirazione quanto «nelle sue più concrete realizzazioni»[15]. Era un’iniziativa che rispondeva all’esigenza – centrale nella complessiva impostazione dei laureati cattolici – di valorizzare «il ruolo della tecnica, dei tecnici e dei professionisti», giudicato di fondamentale importanza per la ricostruzione nazionale[16]. Un tema su cui il Movimento laureati lavorava d’altronde da tempo – soprattutto sulla base dell’impulso dato da Sergio Paronetto[17] – nell’ottica di una efficace conciliazione tra visione umanistica e modernità[18].

La figura del “professionista” era inoltre centrale per l’elaborazione di uno specifico topos dell’intellettuale cattolico[19], la cui vocazione riguardava non solo la tradizionale professione letteraria o accademica ma tutte le cosiddette professioni liberali. L’istituzionalizzazione di questa visione del ruolo e della funzione dell’intellettuale è un aspetto cruciale per capire in quale direzione la Chiesa cattolica andava definendo la propria presenza nella società italiana post-fascista. A dare pienamente corpo a tale visione e a promuovere l’opera di servizio propria del professionista erano soprattutto le pubblicazioni della Fuci e del Movimento laureati[20]. Anche su questo versante, la fase di rilancio dell’organizzazione aveva prodotto delle novità, come la pubblicazione di un’altra testata che diventerà un punto di riferimento per il gruppo degli intellettuali cattolici: il periodico «Coscienza». Unitamente a «Studium» e «Ricerca», questa nuova rivista ha senz’altro rappresentato il principale luogo di elaborazione e divulgazione della weltanschauung cattolica italiana.

Le testate giornalistiche citate sono, d’altronde, anche i principali luoghi di pubblicazione degli interventi di Moro nella veste di intellettuale cattolico. In particolare, la rivista «Studium» negli anni della sua direzione assorbì molte sue energie e ospitò una notevole quantità di suoi scritti. La raccolta curata da Giorgio Campanini testimonia quali e quanti contributi di Moro fossero precedenti e successivi agli anni della sua direzione ma risulta evidente, com’è d’altronde naturale, la diversa intensità del lavoro svolto tra il 1945 e il 1948[21]. La questione può apparire banale ma nella gestione della rivista del Movimento laureati Moro impresse – anche attraverso i suoi molti interventi diretti, come gli editoriali e i brevi commenti della rubrica Osservatorio – una direzione chiara sia nei termini di una continua elaborazione collettiva della lettura della civiltà moderna e della società di massa secondo i postulati dell’umanesimo cristiano, sia con riferimento alle dinamiche politiche della fase della ricostruzione, tanto nelle istituzioni (a cominciare dai lavori dell’Assemblea costituente) quanto negli equilibri interni al partito democratico cristiano. Pur senza mai entrare direttamente nelle vicende partitiche e, dunque, nei confronti e conflitti tra le diverse anime della Democrazia cristiana, la rivista si muoveva all’interno di un orizzonte di sensibilità culturali e politiche assai vicine alle posizioni assunte e promosse dal gruppo dossettiano[22].

Naturalmente, la coincidenza temporale tra la direzione della rivista «Studium» e i lavori dell’Assemblea costituente ha permesso a Moro e alla redazione di seguire le discussioni, di proporre analisi e commenti sui temi di maggiore sensibilità per il mondo cattolico, di dare spazio ed eco alle posizioni assunte dai democratici cristiani ma anche di sottolineare la necessità di arrivare a soluzioni di mediazione con le altre proposte cultural-politiche presenti in assemblea. La prospettiva della “società cristiana” che animava i gruppi intellettuali dell’Azione cattolica, i quali «si muovevano nella loro ottica tradizionale di dialogo culturale tra cristianesimo e cultura moderna» per la realizzazione di una “nuova cristianità”, veniva portata dentro i lavori costituenti in una chiave di collaborazione con le altre forze politiche al fine di definire l’architettura fondamentale del nuovo Stato repubblicano e le basi di una nuova convivenza civile[23].

La convinzione di essere politicamente una parte (per quanto di maggioranza relativa, dati i risultati delle elezioni del 2 giugno 1946 che avevano dato alla Dc il 35,21% dei voti e 207 seggi) che, tuttavia, per la sua ispirazione cristiana aveva «la coscienza di essere […] il tutto in un popolo che è e resta, malgrado ogni superficiale valutazione, cristiano» portava Moro ad enfatizzare il bisogno di una particolare attenzione dei cattolici alle dinamiche democratiche, non attendendosi la realizzazione compiuta ed integrale del progetto democratico cristiano[24]. Questo sia perché l’azione responsabile dei cattolici per la realizzazione di una società cristiana non doveva limitarsi al solo ambito politico ma intervenire in tutti i settori della vita sociale, sia perché i reali rapporti di forza imponevano, nel gioco democratico, un confronto con soggetti portatori di una visione politica, sociale, culturale radicalmente diversa e spesso antagonista. Come scrisse in una citatissima lettera al presidente dell’Azione cattolica Vittorino Veronese, la costituzione era il frutto di una faticosa negoziazione «tra dieci milioni di marxisti con molte appendici moderate, massoniche e anticlericali e con otto milioni di democristiani» e ciò rendeva impossibile «riprodurre completamente i nostri punti di vista. È bene che si sappia che altri in Italia non la pensano come noi»[25]. Era un discorso complessivo ma che diveniva particolarmente delicato su quelle tematiche che maggiormente sollecitavano la sensibilità e gli interessi del mondo cattolico, come ad esempio la scuola. In un articolo apparso sul mensile «L’Assistente ecclesiastico» (quindi esplicitamente rivolto al mondo associativo e alle stesse gerarchie ecclesiastiche che seguivano da vicino l’Ac) Moro scriveva: «sarà bene tener conto, nelle critiche [che] si possono rivolgere al testo costituzionale, dell’accanimento delle discussioni che si sono svolte finora, e delle difficoltà di far trionfare, sotto la pressione di tante e disperate esigenze, tutte le tesi care alla coscienza cattolica»[26].

Si trattava per Moro di provare ad allentare le pressioni che provenivano dal mondo cattolico in merito all’andamento dei lavori costituenti, riportando tutte le questioni su un piano di realtà, aiutando a ragionare sui limiti che quest’ultima imponeva ma anche sulle potenzialità che potevano essere espresse da un intenso impegno dei cattolici nei vari ambiti della vita associata. L’affermazione di un umanesimo cristiano permeante la società italiana passava attraverso un’azione capillare dei cattolici ed un confronto continuo con tutte quelle forze che cattoliche non erano e con le quali era però necessario dialogare per scrivere assieme le regole comuni, per tessere nel modo più solido possibile quella rete di norme, principi e valori condivisi che dovevano costituire il fondamento della convivenza civile nella nuova Italia repubblicana. La stessa idea di nazione nella visione morotea aveva d’altronde questo fondamento solidamente umanistico[27].

Si potrebbe, in questa direzione, descrivere l’approccio democristiano ai lavori costituenti similmente a quanto il partito andava elaborando in chiave di legittimazione della propria candidatura alla guida della nazione. La tesi elaborata e proposta sosteneva che la Dc – in virtù della sua esplicita appartenenza al cristianesimo, inteso nel senso culturale e civile e non confessionale – rappresentasse, sostanzialmente, la migliore espressione della storia e della identità del popolo italiano. Le stesse tradizionali culture politiche risorgimentali (dal liberalismo all’umanesimo socialista, passando per il pensiero mazziniano), pur nell’aperto contrasto tra queste e il cattolicesimo, in realtà attingevano ad un patrimonio spirituale e valoriale comune che aveva la sua sorgente nel messaggio evangelico[28]. Il paradigma dell’Italia “nazione cattolica” (che aveva consentito di elaborare una visione peculiare del mito della nazione, sia nel periodo risorgimentale che negli anni del regime fascista[29]) veniva così utilizzato per legittimare il ruolo guida della classe dirigente democristiana nel dopoguerra. Al tempo stesso, esso costituiva una convinzione profonda che spingeva i democristiani costituenti a farsi promotori di un lavoro di incessante dialogo con le altre forze politiche per costruire una democrazia repubblicana che avesse il suo fondamento nel messaggio evangelico. Non era una novità naturalmente. La tesi bergsoniana e ozanamiana della democrazia come intrinsecamente evangelica è stata riproposta a più riprese all’interno della Dc, a cominciare da Luigi Sturzo ed Alcide De Gasperi[30] (solo per citare le due figure principali della storia del cattolicesimo politico in Italia), così come, d’altronde, dai rami intellettuali dell’associazionismo cattolico. La stessa rivista «Studium», con Moro, se ne era fatta ampiamente portavoce[31]. Questa visione della democrazia – declinata di volta in volta, con articolazioni diverse, “sociale”, “progressiva”, “integrale”, “sostanziale” – veniva portata dentro i lavori costituenti ed in particolare in quelli della prima sottocommissione, incaricata di elaborare i diritti e i doveri dei cittadini, che diede un significativo impulso alla definizione dell’impostazione valoriale complessiva del testo costituzionale.

L’esperienza all’Assemblea costituente, com’è noto, ha rappresentato per Moro l’ingresso nella attività politica diretta. Recentemente, c’è chi ha sollevato perplessità su questo passaggio, definendolo «enigmatico e paradossale»[32], in virtù di una iniziale reticenza dell’intellettuale pugliese ad un coinvolgimento diretto nella Dc che mal si concilierebbe con la veloce assunzione di responsabilità di rilievo all’interno del partito[33]. In realtà, anche nel suo ingresso in politica Moro può costituire un caso, al tempo stesso, singolare ed emblematico, similmente a quanto detto in merito alla sua formazione. Certamente egli viveva una situazione peculiare, soprattutto per i difficili rapporti con la Dc barese ed in particolare con l’ex popolare Natale Lojacono che la guidava. L’atteggiamento critico era emerso chiaramente negli articoli scritti per il settimanale politico “La Rassegna”[34], che gli avevano consentito – come è stato scritto – di uscire «all’aperto, rispetto al riservato tirocinio fino ad allora condotto negli ambienti ecclesiastici, associativi e universitari». Un’attività che quindi lo esponeva in modo inedito in confronto al passato, tanto più che «per una tacita divisione dei ruoli» all’interno della redazione Moro si occupava soprattutto degli affari politici[35]. Tuttavia, la difficoltà di relazione con la classe dirigente popolare era tutt’altro che sporadica negli uomini della sua generazione, così come la reticenza ad entrare nelle fila della Democrazia cristiana. Come ha sottolineato Renato Moro «il numero dei giovani esponenti intellettuali cattolici che si opposero ai popolari, che ebbero grandi difficoltà ad entrare nella Dc e che lo fecero solo molto tardivamente fu notevole e non di poco peso. Alcuni nomi: Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Ermanno Gorrieri, Giuseppe Lazzati, Sergio Paronetto, Paolo Emilio Taviani»[36]. Il caso di Moro fu dunque tutt’altro che isolato. La stessa veloce ascesa ad incarichi di rilievo fu condivisa con altri della sua generazione. Se si pensa anche solo ai nomi sopra menzionati è facile intuirne il peso all’interno del partito sin dal loro ingresso: Dossetti fu cooptato come vicesegretario e nella direzione già nel 1945; Fanfani venne incaricato di dirigere l’ufficio Spes nel 1945 entrando nel consiglio nazionale e nella direzione l’anno successivo; Lazzati entrò nel consiglio nazionale nel 1946; Taviani fu nominato vicesegretario nel 1946, divenendo poi segretario nel 1949. Tutti furono eletti all’Assemblea costituente. Né mi sembra sostenibile, in questa direzione, la tesi secondo la quale le personalità richiamate non siano state «nel periodo 1943-45, ideologi anti-partito e critici della democrazia in Italia»[37], perché neanche il contributo di Moro può essere sensatamente circoscritto a questa definizione. Si può anzi affermare, com’è stato evidenziato, che egli mostrò una linea «piuttosto coerente» con il suo percorso, in cui alle molte critiche sulla complessa situazione politica italiana si accompagnavano riflessioni e positivi apprezzamenti su un certo tipo di antifascismo (quello, ad esempio, di Carlo Rosselli) e sulla necessità di costruire una democrazia che fosse pienamente sociale[38]. Inoltre, la tipicità dell’approdo in politica di Moro era legata alla sua militanza nell’associazionismo cattolico. Come in altri casi, la sua candidatura fu espressione della volontà dell’Azione cattolica (dopo che in essa si confrontarono linee diverse sul tema[39]), al punto che egli «partecipò alla campagna elettorale del 1946 con la veste esplicita di “candidato cattolico” e di dirigente associativo»[40]. La sua esperienza di guida prima della Fuci e poi del Movimento laureati spiega il successo elettorale del 2 giugno che lo vide arrivare secondo tra i sette costituenti democristiani eletti nella circoscrizione Bari-Foggia, con 27.801 voti. Un’elezione avvenuta soprattutto «facendo il pieno di voti dell’Ac e delle parrocchie»[41]. Tutt’altro che in modo paradossale ed enigmatico iniziò, dunque, il percorso politico di Aldo Moro. Fu, invero, la vocazione allo studio e all’insegnamento universitario – impegno che si è comunque affiancato a quello politico, nell’arco di tutta la sua vita[42] – o l’ipotesi di intraprendere l’attività forense assieme al fratello Alfredo Carlo a rappresentare una potenziale remora al pieno impegno politico, considerato, nei primi anni, solamente come «transitorio»[43].

Protagonista nei lavori dell’Assemblea costituente

È assai probabile che la provenienza dall’associazionismo cattolico, con le relative entrature vaticane ed i consolidati rapporti con la gerarchia ecclesiastica (nonché una solida cultura giuridica), abbia giocato un ruolo determinante nella nomina dei cosiddetti “professorini” (tra cui Moro) alla commissione dei 75 incaricata di redigere il testo costituzionale. Sul loro ruolo nei lavori costituenti vi è, com’è noto, un’ampia bibliografia – anche se prevalentemente concentrata sulla figura di Giuseppe Dossetti[44]. Per quanto riguarda Moro manca ancora un lavoro di ricostruzione dettagliato e complessivo, sia di raccolta dei numerosi interventi sia di analisi del suo contributo. La sezione dedicata agli interventi in Assemblea costituente nel primo volume di scritti e discorsi curato da Giuseppe Rossini è certamente significativa ma largamente incompleta. Il volume raccoglie e divide i testi della prima sottocommissione (ventidue interventi dal 18 ottobre al 29 dicembre 1946), dell’adunanza plenaria della commissione dei 75 (quattordici interventi dal 15 al 31 gennaio1947) e dell’assemblea generale (diciotto interventi dal 13 marzo al 29 ottobre 1947)[45]. Più numerosi i testi riportati nel volume curato da Aldo Loiodice e Pino Pisicchio[46]. Anche qui però non si riportano tutti gli interventi[47] (ne mancano anzi di rilevanti) e si è scelta una trattazione per temi che talvolta ha portato alla proposta di brani stralciati, estrapolati del tutto dalla discussione originaria. Una difficoltà di cui i curatori sono consapevoli e che è stata esplicitata sin dalle prime righe della breve introduzione[48].

Sul piano delle ricostruzioni non sono, naturalmente, mancate analisi anche preziose. Soprattutto sulla cultura politico-giuridica morotea vi sono stati contributi importanti già nelle prime riflessioni successive alla morte dello statista pugliese. Basti pensare ai saggi di Ugo De Siervo[49], Roberto Ruffilli[50], Norberto Bobbio[51] o ancora ai molti riferimenti nel già citato lavoro di Renato Moro sulla formazione intellettuale, pubblicato per la rivista «Storia contemporanea»[52]. Anche i primi approssimativi tentativi (non privi di inesattezze) di ricostruire un profilo complessivo del Moro costituente risalgono a brevissima distanza dalla sua morte[53]. In quegli stessi anni si assiste, inoltre, ad uno sviluppo rilevante degli studi dedicati alla costituente in relazione alle progettualità politiche elaborate dai partiti[54] – naturalmente anche dalla democrazia cristiana (sempre studiata in relazione al più complessivo mondo cattolico)[55]. Una stagione che ha trovato ulteriori sviluppi e nuovi filoni di ricerca nei decenni successivi[56].

Il saggio di De Siervo del 1979 costituisce, certamente, il contributo più rilevante in questa prima fase di riflessione. Non solamente perché in esso vi è un notevole sforzo metodologico per proporre un’analisi con un’impostazione storiograficamente rigorosa, ma anche perché molti dei temi centrali dell’apporto moroteo al dibattito nella prima sottocommissione e nella commissione dei 75 sono richiamati ed analizzati per la prima volta. Le citazioni di ampi stralci degli interventi del politico pugliese sono, inoltre, messe in costante dialogo con i suoi interventi pubblici (soprattutto sulla rivista «Studium») così da restituire la complessiva impostazione del pensiero di Moro sulla straordinaria novità storica rappresentata dall’Assemblea costituente. De Siervo ha dapprima esposto le linee direttive generali della concezione morotea del testo costituzionale[57] per poi focalizzare l’attenzione su alcuni temi specifici sui cui egli è significativamente intervenuto. Numerosi i richiami alle varie tematizzazioni delle libertà individuali – dalla libera manifestazione del proprio pensiero alla libertà di stampa (con attenzione al suo disciplinamento per evitarne gli abusi), dalla libertà di associazione a quella di insegnamento[58] – o a questioni decisive per la definizione degli equilibri sociali, quali la famiglia, la scuola o, ancora, i diritti del mondo del lavoro[59]. Tutti temi affrontati dentro un quadro cultural-politico coerente, considerati decisivi per la democratizzazione della società italiana e delle sue istituzioni (si vedano, ad esempio, le analisi sugli interventi in tema di organizzazione interna dei partiti o delle forze dell’ordine[60]). Anche le posizioni espresse sul ruolo dello Stato nell’economia, miranti al superamento delle tradizionali dottrine liberali (seppure, al tempo stesso, attente alla tutela della libera iniziativa privata), rispondevano all’esigenza di un rinnovamento profondo delle strutture sociali ed istituzionali, nel quadro di un impegno alla realizzazione di «una costituzione rigidamente democratica ed arditamente sociale»[61].

Tuttavia, nonostante il pionieristico saggio di De Siervo, la ricostruzione del contributo di Moro ai lavori costituenti è rimasta, fondamentalmente, allo stato embrionale. Dopo il veloce profilo di Di Capua, la storiografia ha prodotto alcune breve analisi interpretative – non prive di qualche spunto di interesse[62] – e sforzi di comprensione di questa peculiare fase dentro il complessivo percorso biografico (o parti di esso)[63]. In alcuni casi, si è offerta una tematizzazione specifica, con impostazioni di taglio storico-giuridico, sul dibattito relativo alla scuola[64] o allo Stato sociale[65].

Anche la nuova stagione di ricerca che si è aperta negli ultimi anni si è rivolta alla fase costituente in misura decisamente minore se confrontata ad altri periodi della biografia dello statista pugliese. Com’è stato sottolineato, sul piano generale la storiografia su Aldo Moro è stata a lungo caratterizzata «dal gioco dei pregiudizi opposti»[66] (un gioco segnato inevitabilmente da letture legate alle dinamiche politiche) e da immagini stereotipate, radicate e sedimentatesi nel tempo. Allo stesso modo, anche al di là delle contrapposizioni di carattere politico, sono prevalse ricostruzioni nate «sul terreno di ipotesi interpretative generali e non su ricostruzioni puntuali»[67]. Renato Moro ha individuato quattro limiti di carattere generale che hanno condizionato questa lunga stagione: la prevalenza di topoi interpretativi del Moro politico; l’attenzione concentratasi sul caso Moro, che ha finito per “fagocitare” l’intera biografia morotea; l’esclusività riservata al Moro inteso come totus politicus, a danno delle analisi e delle ricostruzioni della sua dimensione intellettuale, spirituale e religiosa; la asfittica delimitazione al solo orizzonte nazionale, senza più ampie contestualizzazioni nelle dinamiche ed evoluzioni del quadro internazionale, così decisivo per la storia della Repubblica[68]. Si tratta, naturalmente, di un quadro generale che ha avuto le sue eccezioni, come si può evincere da quanto qui scritto e dalle stesse analisi storiografiche condotte nei saggi citati.

Al netto di esse, vi è tuttavia una sostanziale convergenza nell’individuare nella data del trentennale della morte di Moro un tornante storiografico significativo, l’inizio di una nuova ricca stagione di studi che si è potuta avvalere di una documentazione d’archivio inedita e di un cospicuo numero di studiosi di diversa generazione, formazione e sensibilità[69]. Il convegno internazionale Il governo delle società nel XXI secolo. Ripensando ad Aldo Moro, tenutosi a Roma dal 17 al 20 novembre 2008 e promosso dall’Accademia di studi storici Aldo Moro, è stato, in questa direzione, un punto di partenza di rilievo che ha portato dei primi contributi significativi sul piano della ricerca[70]. Si è attivato un percorso nuovo, che ha permesso di andare oltre le grandi linee interpretative sugli orientamenti politici di Moro (che pure, naturalmente, si è continuato a riproporre)[71] e ha intrapreso la strada, talvolta meno ambiziosa ma più solida, dello studio di singole fasi della sua lunga stagione politica ed intellettuale sulla base della documentazione esistente. Naturalmente questa stagione di studi è in buona misura agli inizi e ha davanti a sé ancora molto cammino da fare. Come ha affermato Guido Formigoni, se è vero che «le contrapposizioni più accese di interpretazione e di giudizio stanno forse lasciando il passo all’analisi documentaria più dettagliata e alle visioni di insieme più meditate», è altrettanto vero che

si deve però mettere in guardia sulla provvisorietà di molte delle conclusioni e degli elementi di sostegno di queste prime indagini compiutamente storiografiche. Occorrerebbe ancora un ampio lavoro conoscitivo che va al di là della pur centrale figura dello statista pugliese, dei suoi atti dei suoi discorsi, investendo la storia della Repubblica nel suo insieme: solo con uno scavo più ampio di quello a tutt’oggi disponibile alcuni dubbi interpretativi di natura propriamente biografica potrebbero essere sciolti[72].

In sintesi, è possibile scrivere una solida biografia di Moro solamente dentro quel quadro nazionale ed internazionale di avvenimenti, dinamiche, evoluzioni ed involuzioni, che ha caratterizzato la storia della Repubblica o, ancor più complessivamente, la storia d’Italia. Non è certo un caso che la biografia più ragionata, articolata e fondata sulla documentazione esistente – a mio avviso rappresentativa del punto più alto di quella nuova stagione di studi più volte richiamata – sia stata scritta da Guido Formigoni nello stesso anno in cui egli pubblicava una delle più riuscite e brillanti storie dell’Italia repubblicana degli ultimi anni (ricostruzione che si chiude, peraltro e non a caso, proprio con l’omicidio di Aldo Moro)[73]. Due copiosi lavori che possono essere letti in maniera complementare ed integrata.

Pur accogliendo questi prudenti rilievi, mi pare si debba comunque sottolineare come la fase post-2008 abbia dato frutti storiografici non banali che hanno consentito di mettere a fuoco aspetti in precedenza meno frequentati della personalità e dell’attività politica ed intellettuale morotea. Appare, allora, un po’ sorprendente leggere ancora nel 2016 che «una spessa coltre di silenzio, di progressivo oblio, si è stesa, sulla figura di Aldo Moro, sul suo pensiero e sulla sua azione politica» e che «neanche fra gli studiosi, salvo sporadici episodi, è emerso un vero interesse, l’attenzione a ricostruirne sistematicamente il profilo, lo spessore del pensiero e dell’azione di governo e nel partito»[74]. L’attenzione è stata invece, come si è visto, notevole al punto che qualche autorevole studioso, nel medesimo anno, ha sollevato con una certa crudezza le proprie personali perplessità, dichiarando di ritenere «un mistero le ragioni della fama di grande statista che continua a circondare la figura di Aldo Moro, se non pensando a un’indiretta forma di tributo pietoso alla sua terribile fine»[75]. Al di là delle diverse valutazioni sulla mole di lavori a lui dedicati e sull’interpretazione complessiva della sua figura, appare logico che la indubbia centralità della personalità di Moro nella storia repubblicana abbia indotto gli studiosi ad indagarne a fondo la biografia e che, in questa direzione, vi siano stati significativi passi in avanti sul piano della ricerca. Come già sottolineato, la fase costituente, e più generalmente quella relativa ai primi anni Cinquanta, non ha avuto un’attenzione paragonabile ad altre stagioni della vicenda biografica morotea (una valutazione, d’altronde, tendenzialmente in linea con gli studi relativi alla questione dell’apporto del cattolicesimo politico ai lavori costituenti[76]). Purtuttavia, vi sono stati ulteriori tentativi di approfondire e tematizzare il contributo di Moro in questa delicata fase della vita repubblicana. Oltre ad una nuova versione della raccolta di suoi interventi – che tuttavia non introduce alcuna discontinuità con i volumi precedenti[77] – sono state pubblicate alcune relazioni in cui l’analisi del lavoro costituente è tematizzata e utilizzata per una lettura di lungo periodo dell’elaborazione e dell’azione politica di Moro. Nel contributo di Maria Serena Piretti al già citato convegno del 2008, ad esempio, viene analizzata la questione, decisiva nell’approccio moroteo, delle masse e del ruolo da esse svolto nel moderno Stato democratico. Partendo dai «temi forti attorno a cui si costruiscono gli interventi di Moro» in Assemblea costituente (antifascismo, popolo, partito, democrazia, libertà), Piretti tratteggia una linea di continuità in cui vede il recupero di questi approcci originari sia nella fase di preparazione dell’apertura a sinistra, sia nella cosiddetta “terza fase”, in cui lo sforzo di Moro di coniugare la necessità del consolidamento della democrazia e quella di garantire il metodo della libertà rappresenta, a suo giudizio, «il compimento di un percorso iniziato proprio negli anni della Costituente»[78]. Sulla concezione dello Stato e della democrazia in Moro è centrato anche l’intervento di Ugo De Siervo ad un convegno del 2012 in occasione del trentaquattresimo anniversario della morte dello statista pugliese. Anche in questo caso, la tesi della breve relazione può essere individuata nella constatazione che il pensiero di Moro su questi temi ha un suo inequivocabile fondamento nei lavori costituenti[79]. Un intervento sintetico in piena continuità con i precedenti lavori del giurista, che, come si è visto, è stato tra i più acuti studiosi ed interpreti di questa stagione.

Un contributo diverso e per molti tratti innovativo, anche se sempre su un piano di proposta interpretativa e non di dettagliata ricostruzione sulle fonti, è il saggio di Maria Salvati del 2014 su Moro e la nascita della democrazia italiana. L’analisi proposta da Salvati parte da un approccio e da riferimenti tutt’altro che scontati: l’idea di affrontare il tema del contributo di Moro alla costituente come «una sorta di testo» (nel senso, specifica l’autrice, dato dalle scienze sociali e dalla linguistica) di cui ricostruire «i passaggi, i rimandi, gli intrecci, gli arresti e i passi avanti, per meglio cogliere sia il “miracolo” di quel risultato che le opportunità di difenderlo»[80]. È evidente in queste righe sia il giudizio positivo (miracoloso) sull’esito dei lavori dell’Assemblea costituente sia l’obiettivo etico-civile (comprenderlo per difenderlo). Il riferimento ed in buona misura la guida utilizzata dall’autrice è l’interpretazione dell’opera morotea che emerge dall’analisi di George Mosse[81].

Se sul piano storiografico si è potuto scrivere giustamente dell’esistenza di un “Moro scoppoliano”[82], a cui la stessa Maria Salvati dedica attenzione[83], mi pare sia ancor più evidente ragionare di un “Moro mossiano”. L’interpretazione data da Mosse del pensiero e dell’opera di Moro può infatti essere considerata una vera e propria svolta storiografica, nonostante essa venga elaborata già all’indomani dell’assassinio del politico pugliese e nonostante lo stesso Mosse avesse manifestato iniziali perplessità, temendo un suo pubblico coinvolgimento nelle delicate e drammatiche vicende politiche italiane[84]. La novità di questa prospettiva è nello sguardo originale che inserisce la figura di Moro dentro le trasformazioni della modernità novecentesca postbellica, ed in particolare nei fermenti della società occidentale degli anni Sessanta e Settanta. Il ruolo, la partecipazione e l’integrazione delle masse nello Stato, l’importanza dei miti e dei simboli, le elaborazioni ideologiche e cultural-politiche, la centralità del religioso nella concezione politica, la crisi della democrazia parlamentare, sono temi cruciali, rivisitati in una chiave originale che consente, in ultima istanza, di intendere le vicende politiche di Moro come non esclusivamente circoscritte al solo perimetro nazionale. Il suo pensiero e la sua azione assumono così una dimensione europea ed internazionale, che non ne fa una monade isolata dal contesto più ampio degli sviluppi storici, né una figura atipica o un prodotto comprensibile solo dentro i contesti peculiari di una realtà provinciale. In sintesi, seguendo la lettura mossiana, si evince che i problemi, le questioni, le domande ed i tentativi di soluzione elaborati da Moro erano fondamentalmente quelli cui si trovava di fronte la classe dirigente occidentale, che si proponeva di comprendere e guidare i processi di trasformazione in atto. La fredda, a tratti perplessa, accoglienza riservata all’intervista di Mosse[85], anche da autorevoli storici come Giovanni Spadolini e Francesco Traniello (quest’ultimo, peraltro, tra i più raffinati studiosi del mondo cattolico, nonché dello stesso Moro[86]), spiega la scarsa – se non nulla – incidenza dell’interpretazione mossiana sugli studi dedicati a Moro negli anni successivi[87]. Ad eccezione dei saggi di Renato Moro, storiograficamente sensibile all’approccio mossiano, per lungo tempo non si è registrato un significativo interesse per i temi – pur centrali e decisivi – sollevati dallo storico di origini tedesche. Anche in questa occasione, mi sembra si possa dire che il 2008 ha rappresentato uno snodo importante. In occasione di quel convegno, lo stesso Renato Moro sottolineava come lo sforzo compiuto da Mosse di inquadrare lo statista pugliese nel contesto «delle grandi trasformazioni della democrazia occidentale», o comunque di dare un respiro internazionale alla sua azione politica, non aveva avuto grande riscontro negli studi successivi[88]. Un giudizio ribadito qualche anno più tardi nella prefazione alla riedizione dell’intervista[89].

Tuttavia, la nuova stagione di ricerca aveva cominciato a produrre qualche risultato anche su questo versante, ponendosi sulla scia delle sollecitazioni mossiane[90]. Mi pare si possa affermare che il frutto migliore di questo confronto sia il volume pubblicato dopo il convegno del 2013 “Studiare Aldo Moro per capire l’Italia”. Nell’introduzione del volume si esplicita subito la volontà di recuperare le suggestioni dell’intervista di Mosse: «a distanza di più di trent’anni […] le considerazioni dello storico americano colpiscono per la loro centralità sconvolgente»[91]. Dopo aver sottolineato l’importanza della svolta del 2008, si afferma come la nuova stagione di studi abbia portato

a uno sforzo di “sprovincializzazione” delle interpretazioni e della discussione, seguendo (anche se spesso inconsapevolmente) il suggerimento di Mosse e collocando per la prima volta la figura di Moro all’interno di prospettive più ampie: se non propriamente comparative, come Mosse aveva pure proposto, almeno orientate alle relazioni internazionali, ai confronti interdisciplinari, alle prospettive multiple, alle immagini incrociate; comunque, non più dipendenti da letture ideologiche forti e predeterminate[92].

In questa ottica deve essere inteso lo stesso esplicito obiettivo del volume, quello cioè «di legare Moro ai nodi fondamentali e talvolta (o spesso) irrisolti del Novecento italiano» al fine di offrire non «un profilo a tutto tondo, sistematico, onnicomprensivo, della figura di Moro e della sua attività, ma piuttosto di inserirne la vicenda, l’esperienza, le riflessioni nella storia, passata e presente del Novecento italiano»[93]. Ovviamente, i contributi del volume sono assai diversi, per temi e sensibilità, ma è indubbio che lo sforzo generale sia stato nella direzione indicata. Più nello specifico, è significativo che un saggio sia interamente dedicato al “Moro mossiano”[94], mentre altri si confrontino od abbiano evidenti rimandi all’interpretazione dello storico tedesco-americano[95]. Anche l’attenzione riservata alla nuova edizione dell’intervista ha mostrato una nuova sensibilità, da parte di studiosi assai diversi tra loro, nel recepirne le suggestioni e gli orientamenti fondamentali[96].

Il recupero della impostazione mossiana ha dunque contribuito, in una misura certo parziale ma significativa, a segnare la nuova stagione di studi. Come si è detto, il saggio di Salvati è esplicito nell’inserire la lettura del Moro costituente dentro il contesto della società della seconda metà del Novecento analizzato da Mosse. Su alcuni punti, si confermano interpretazioni già elaborate e condivise da altri studiosi. Nel saggio si sottolinea, ad esempio, come la concezione dello Stato maturata nei lavori dell’Assemblea costituente – sostenuta dall’imponente bagaglio teorico già elaborato nei suoi studi giuridici[97] – caratterizzi tutta la linea politica di Moro. Secondo Salvati, è, in sostanza, in quella sede che prende forma una «visione personale dello Stato del nostro Paese e della sua storia, che guiderà il suo agire politico nei 30 anni successivi»[98]. La tesi di un’intima coerenza tra il Moro costituente e il Moro politico maturo (segretario del partito, tessitore del centrosinistra, presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, protagonista del dialogo con il Pci) è ribadita da diversi studiosi, anche di formazione e sensibilità diverse (giuridica, politologica, sociologia). Una considerazione che nel saggio di Salvati acquista un ulteriore valore e significato, se valutata assieme al ruolo dialogico, alla funzione di mediazione svolta da Moro soprattutto in sede di prima sottocommissione. Le qualità di dialogo e mediazione – tradizionalmente riconosciute al politico pugliese, sia in riferimento alle dinamiche interne al partito[99] che al rapporto con le altre forze politiche di governo[100] e di opposizione[101] – gli hanno permesso di essere, nel giudizio di Salvati, su alcuni temi «il vero interlocutore di Togliatti, ancor più di Dossetti e di La Pira»[102]. È una valutazione tutt’altro che marginale. Gli storici hanno unanimemente riconosciuto questo ruolo di leadership a Giuseppe Dossetti[103]. Lo stesso politico reggiano, in una intervista rilasciata nel 1984, ha sostanzialmente relegato Moro ad un ruolo di sostegno dell’attività in sottocommissione svolta dagli uomini del gruppo, sottolineando la comunità d’intenti dei “dossettiani”. Il contributo moroteo veniva così un po’ derubricato ad una sorta di rafforzamento di ciò «che magari poteva dire La Pira in un certo altro modo o [Dossetti] in una certa altra maniera»[104].

Tuttavia, dagli studi citati e dalle raccolte degli interventi di Moro si evince chiaramente che la lettura dossettiana è piuttosto riduttiva (d’altronde, lo stesso Dossetti in altra occasione si espresse in modo parzialmente diverso, sottolineando il valore della collaborazione morotea)[105]. Il contributo moroteo fu assai rilevante, non di rado autonomo per temi ed impostazione, talvolta decisivo nel creare le condizioni per convergenze ampie. Fu peraltro, come ha sottolineato Ugo De Siervo già molti anni fa, espressione di un ruolo da “interprete ufficiale” del partito[106]. Certamente, tutto ciò avvenne con visioni e sensibilità condivise all’interno di un gruppo che si andava costruendo e definendo proprio nei lavori costituenti. Salvati non mette, ovviamente, in discussione la leadership di Dossetti ma sottolinea alcuni aspetti di rilievo che contribuiscono ad articolare il quadro delle dinamiche politiche e culturali in atto. Il dialogo e la convergenza tra Moro e Togliatti, richiamata nel suo saggio, si riferisce alla delicatissima questione dell’amnistia per i reati politici decisa dallo stesso segretario del Pci nel momento in cui ricopriva il ruolo di ministro di Grazia e giustizia. Una decisione che aveva inevitabilmente assunto un’importanza cruciale sulla via della ricostruzione e fornito indicazioni chiare in merito all’avvio di una politica di pacificazione nazionale, a salvaguardia dell’unità del paese. Nella lettura di Salvati, Moro fu «l’unico politico intellettuale non settentrionale» (questione non secondaria, dato che la spinta per l’amnistia veniva soprattutto dal Meridione) pronunciatosi «con forza fin dalle prime battute per la necessità di inserire nella Costituzione una dichiarazione apertamente antifascista, proprio in vista di una riunificazione su quel terreno del Paese»[107].

Tuttavia, la ricostruzione offerta da Salvati insiste su un ruolo di dialogo, di accorciamento delle distanze e superamento delle divergenze, svolto da Moro sia sul piano organizzativo (la partecipazione al ristretto comitato ad hoc istituito per definire un indice dei lavori della sottocommissione e conseguente sua relazione agli altri commissari) sia su quello dei contenuti. Il protagonismo e la centralità di Moro nel tessere i rapporti con le personalità degli altri partiti e trovare delle convergenze, vengono richiamati quindi non su singole questioni più o meno rilevanti ma sull’impostazione complessiva e sul significato stesso da dare al testo costituzionale. Quando Salvati si domanda su quali basi le varie parti in gioco cercarono un accordo, la risposta è sui valori fondamentali:

il primo incontro avviene su una scelta di valori che si danno in qualche modo per acquisiti fin dalla prima seduta; nelle parole di Moro, questi sono l’antifascismo e la forma democratica dello Stato, con un superamento da un lato dell’individualismo classico, proprio delle correnti liberali, e dall’altro delle forme di collettivismo e organicismo che avevano ridotto l’individuo a un ingranaggio di una macchina di cui non si conosceva il fine[108].

Questa impostazione basilare (antifascismo, democrazia, personalismo) si articola poi in diversi temi sui quali Moro interviene ponendosi come l’interlocutore che affina le dizioni, smussa le posizioni e costruisce le basi per le future sintesi. È così che Salvati ricostruisce i dibattiti sulla giustizia sociale, sulla democraticità dei partiti, sul tema della sovranità[109].

La lettura complessiva che emerge è, dunque, di un Moro coerente nella sua visione dello Stato e della politica, che si definisce compiutamente con l’esperienza costituente e caratterizza tutta la sua parabola politica; di un Moro interlocutore e mediatore tra le varie posizioni politiche e culturali; di un Moro “ideologo”, capace di fare sintesi e definire la piattaforma valoriale del testo costituzionale. Tutti aspetti già emersi in studi precedenti, spesso con grande attenzione – come si è detto – alla peculiarità della sua cultura giuridica, ma che vengono, da una parte, accentuati e valorizzati in modo inedito, dall’altra, inseriti in un quadro ampio, denso di tematiche e questioni proprie della moderna società di massa novecentesca. Com’è stato giustamente affermato, al fondo di questa complessiva visione morotea vi era senza dubbio una salda e fervente fede religiosa. Un’ispirazione cristiana concepita come un «riferimento imprescindibile» per la Dc ma che, sin dai lavori dell’Assemblea costituente, spingeva «verso la collaborazione con socialisti e comunisti, con forze laiche e, talvolta, anticlericali in vista del bene comune». La costruzione della “casa comune”, fondata su orientamenti e valori condivisi, richiedeva una «mobilitazione spirituale di tutte le forze politiche». In questa direzione, vi era certamente in Moro il rifiuto di concepire la costituzione repubblicana in termini strettamente ideologici, ma solo «se si intendeva per ideologia una visione di parte» e «non se con questo termine si intendeva una visione condivisa». Il testo costituzionale veniva così a fondarsi esplicitamente su una visione antifascista, intesa «non tanto in senso politico quanto morale»[110].

Delle sollecitazioni emerse dal saggio di Maria Salvati (o dall’intervista di Mosse) non v’è traccia nella biografia proposta da Massimo Mastrogregori, che peraltro dedica uno spazio residuale all’esperienza costituente. L’analisi del tema rimane dentro i confini di una lettura basata sul tatticismo della triangolazione Chiesa-Dc-avversari politici, in una rappresentazione sempre caratterizzata da una certa opacità e da continue allusioni a dinamiche oscure, sottotraccia e da scenari definiti dietro le quinte[111]. Di tutt’altro segno è invece la coeva biografia scritta da Guido Formigoni. Pur con una sensibilità diversa da quella mossiana, Formigoni affronta esplicitamente il tema del pensiero e dell’azione politica morotea in confronto alle grandi questioni della modernità, delle sfide, delle opportunità e dei vincoli posti dalle dinamiche internazionali, dei confronti tra visioni ideologiche e culture politiche radicalmente diverse. L’attenzione ai lavori della costituente, ai temi discussi, alla evoluzione delle posizioni morotee è sviluppata considerando in modo unitario tanto la visione d’insieme quanto i principali interventi su questioni specifiche[112]. L’immagine che emerge è di un protagonista «di assoluto rilievo»[113] che si muove in piena sintonia con gli altri membri del gruppo dossettiano ma con una sua originalità. Il tratto che emerge, probabilmente, come maggiormente decisivo è ancora una volta quello della cultura e della prassi della mediazione. Formigoni non nasconde le notevoli difficoltà emerse nel dibattito per giungere a convergenze, punti d’incontro, sintesi in grado di soddisfare le diverse parti in gioco. Anche sui valori fondanti, sulla visione comune (l’anteriorità, in termini di diritti, della persona allo Stato e la dimensione sociale come pieno sviluppo della personalità umana, promossa attivamente dallo Stato), «l’intesa non fu semplice, e rimase per certi versi ambigua». Fu l’abilità di Moro ad indicare la strada per una conciliazione di punti di vista diversi[114]. Tale capacità di mediazione non era rivolta solamente alle altre forze politiche. Anche nei rapporti con le gerarchie ecclesiastiche – spesso invasive nei confronti dei costituenti democristiani – Moro, assieme agli altri esponenti del gruppo dossettiano, aveva messo in atto «una sottile opera di deconfessionalizzazione degli orientamenti cattolici» tentando di inserire le pressanti richieste di tutela degli interessi religiosi «in un quadro che non rompesse l’accordo costituente»[115]. Operazione non sempre riuscita, come avverte Formigoni, ma che definiva la cifra dell’attività del gruppo ed il suo modus operandi. La relazione di Moro sul delicatissimo tema della scuola ne è un chiaro esempio.

In sintesi, mi pare si possa allargare al complesso dei lavori costituenti, quanto Formigoni scrive in merito al dibattito sui rapporti tra Stato e Chiesa, in cui «Moro e il suo gruppetto si impegnarono a costruire una significativa mediazione politica, pur restando fedeli ai valori cristiani e alle indicazioni della gerarchia, in un equilibrio non facile, ma che egli rivendicava apertamente, superando l’apparente scontro tra laicismo e cattolicesimo»[116]. L’emergere di queste qualità fu senz’altro decisivo per l’affermazione di Moro dentro la Dc e nelle istituzioni.

Sulla medesima scia delle considerazioni fatte analizzando i contributi di Salvati e Formigoni si è inserito anche l’intervento di Renato Moro ad un convegno del 2017 dedicato al Moro costituente. Partendo dai suoi consolidati studi sulla formazione e sulla dimensione intellettuale di Moro, lo storico romano aggiungeva ulteriori elementi agli studi esistenti, recuperando anche interventi meno frequentati (ad esempio, quello apparentemente marginale sui titoli nobiliari[117]). Pur trattandosi di una breve relazione, le suggestioni e le interpretazioni proposte andavano a toccare questioni fondamentali della dimensione etico-politica della costruzione della Repubblica. Il valore dello Stato (per richiamare un articolo scritto per «Studium» nel marzo del 1947) nel senso già richiamato, il significato della democrazia parlamentare intesa essenzialmente come «educazione alla collaborazione e alla convivenza tra partiti», la realizzazione di una “democrazia progressiva” che implicava non solo un metodo democratico nella lotta politica ma la comune tendenza «verso un’elevazione degli uomini su un piano di vita che [fosse] degno e accettabile per tutti»[118].

Nel partito democratico cristiano: dal gruppo dossettiano a Iniziativa democratica

Il ruolo di Moro nel partito fu subito di primo piano. Entrato nella Dc in occasione delle elezioni per l’Assemblea costituente, venne immediatamente eletto nel direttivo del gruppo democristiano ottenendo 77 voti, risultando così il più votato. Fu poi designato tra i 26 esponenti democristiani della commissione dei 75, incaricata di redigere il testo, probabilmente, com’è stato sottolineato, non solo per «la competenza tecnico-giuridica già affinata» ma anche per «l’elevata sensibilità culturale che si era costruito e aveva comunicato nei suoi interventi sulla stampa dei movimenti intellettuali, attorno ai temi del rapporto tra politica e verità, tra Stato e società, tra istituzioni e pluralismo culturale». Articolatasi la commissione in tre sottocommissioni, Moro entrò con altri sei compagni di partito nella prima sottocommissione, incaricata di discutere sui diritti e doveri dei cittadini (esclusi quelli economico-sociali), «cioè nel nucleo più impegnato a lavorare sui principi fondamentali della costituzione»[119]. Fu inoltre membro del comitato dei 18 istituito per coordinare l’elaborazione del testo costituzionale complessivo. Se l’iniziale entrata nei gruppi direttivi era motivata da indicazioni provenienti dal mondo cattolico, la riconferma nel comitato direttivo con le votazioni dell’11 febbraio 1947 (come secondo miglior votato, con 80 voti, dopo Achille Marazza) e la nomina il 24 luglio a vicepresidente testimoniavano «una fiducia ormai piuttosto diffusa»[120]. I lavori da protagonista in costituente lo avevano certamente valorizzato. All’interno del partito la sua personalità era ormai chiaramente emersa. Anche le elezioni del 18 aprile 1948 rappresentarono un successo personale non banale, con 62.791 preferenze che gli consentirono di essere il secondo della lista nella circoscrizione Bari-Foggia, dietro solamente a Raffaele Pio Petrilli. Segno dell’efficacia «del lavoro svolto per la prima volta in modo più articolato nel contesto pugliese, dove i suoi amici – giovani della sua generazione, formati nell’associazionismo – stavano prendendo in mano il partito»[121].

Nelle dinamiche interne alla Democrazia cristiana, la posizione di Moro era inequivocabilmente legata al gruppo dossettiano. Si è molto discusso di questo rapporto, dell’intensità e della qualità della partecipazione di Moro alle attività del gruppo, della perduranza di questo legame o viceversa della sua occasionalità o eccentricità rispetto alla parabola politica morotea[122]. Il crocevia è rappresentato proprio dalla costituente, dal fatto che i lavori quotidiani in sottocommissione hanno forgiato una comunanza di intenti e di vedute e fatto emergere affinità di sensibilità e di impostazione cultural-politica. Se vi è una sostanziale unanimità nel ritenere Moro pienamente inserito nel gruppo durante i lavori costituenti, la storiografia si è invece divisa sul valore ed il significato della sua militanza dossettiana. Si è discusso, innanzitutto, se ritenere questo rapporto un semplice «contatto dialettico» dovuto alla peculiarità e alla unicità del contesto costituente[123], oppure un’esperienza rilevante che «lasciò il segno» ed incise sulla personalità politica morotea[124]. Anche laddove si è riconosciuta una collaborazione intensa nella stesura del testo costituzionale, si è al tempo stesso sollevato qualche dubbio circa la reale appartenenza alla corrente, circoscrivendo di fatto questo rapporto al periodo costituente. In sintesi, le affinità indubbiamente emerse tra Moro e gli altri membri del gruppo non avrebbero portato ad una militanza «in senso stretto»[125].

Questa tesi è stata motivata, da più parti, sottolineando le diversità o le peculiarità di Moro rispetto ai principali esponenti del dossettismo (Dossetti, Fanfani, La Pira, Lazzati). L’adesione risultava, in questa interpretazione, il frutto di una generica vicinanza «di natura culturale e ideale» ma non una vera e propria «militanza nella corrente»[126]. Agostino Giovagnoli ha affermato come anche su tale versante non mancassero le distanze, sottolineando l’esistenza di «matrici sociali, culturali e anche associative piuttosto diverse»[127]. Attento ad evidenziare i non pochi elementi di condivisione e quelli di discontinuità, egli ha individuato soprattutto nella peculiare spiritualità meridionale un segno evidente di diversità dagli altri membri del gruppo[128]. Un giudizio sostanzialmente condiviso da Piero Craveri[129] ma contestato, ad esempio, da Alberto Melloni[130]. Non è una questione secondaria, considerando il notevole peso assegnato dallo stesso Giovagnoli alla spiritualità che, a suo giudizio, «ha spesso rappresentato l’elemento coagulante di una classe dirigente che non ha avuto una sua organica prospettiva ideologica»[131]. A sua volta, Francesco Malgeri, pur non mettendo in discussione la partecipazione del politico pugliese alla corrente dossettiana, ha espresso i propri dubbi sulla «convinta e solidale adesione di Moro alla visione politica e ideologica del dossettismo»[132]. Se vi era una chiara convergenza sul piano della «sensibilità politica», scrive ancora Malgeri, «è altrettanto indubbio che la sua appartenenza al dossettismo prima e a Iniziativa democratica più tardi, al di là delle affinità che lo legavano ai suoi amici, non ebbe mai atteggiamenti fideistici e fu sempre subordinata all’esigenza di una piena autonomia di giudizio»[133]. Si trattava, per dirla con altre parole, di una appartenenza che non poteva definirsi veramente «organica a quei gruppi, verso i quali Moro mantenne sempre un rapporto di collaborazione e di unità d’intenti, ma sempre nel contesto di una sua autonoma valutazione»[134]. Più brevemente, Giovagnoli ha esplicitato il medesimo concetto sostenendo che, pur nella indubbia vicinanza ai dossettiani, il politico pugliese «non si identificò del tutto con Dossetti», così come fece con le successive correnti democristiane a cui pure si legò. In questa direzione va inteso il giudizio circa la sua irriducibilità ad essere rappresentato «pienamente uomo di partito»[135]. Vi è, dunque, una tendenza a sottolineare, come ha scritto Craveri, la «marcata diversità» di Moro rispetto agli altri membri del gruppo dossettiano. Tuttavia, lo stesso Craveri ha giustamente affermato che altrettanto può dirsi per altre personalità del gruppo (citando, come esempio non esclusivo, Amintore Fanfani)[136]. In sintesi, se appare evidente che Moro avesse «una cultura abbastanza diversa da quella del nucleo originario dei professorini della Cattolica di Milano», è altrettanto chiaro che anche questi erano «rappresentativi di percorsi pluralistici»[137].

Queste ultime considerazioni mi pare possano offrire un elemento di riflessione piuttosto rilevante. Già molti decenni fa, Marcella Glisenti – testimone diretta ed interessata dell’attività del gruppo – aveva voluto mettere in evidenza l’alto grado di eterogeneità dei dossettiani, sostenendo che «essi confluirono in un’azione comune per motivi quasi contraddittori» e che furono «sufficientemente coscienti della divergenza delle loro vocazioni, oltre che delle loro personalità umane»[138]. Un giudizio condiviso da diversi studiosi. Giovanni Miccoli ha, ad esempio, sostenuto che le pur evidenti «affinità e consonanze» non comportassero l’esistenza di un «patrimonio comune, attribuibile indistintamente a tutti gli altri»[139]. A sua volta, Paolo Pombeni ha definito i dossettiani una «aggregazione composita»[140], costituita «da personalità molto spiccate con caratteristiche particolari difficilmente amalgamabili»[141]. Gli studiosi citati, com’è noto, non hanno mai inteso mettere in discussione i profondi legami tra i membri del gruppo né l’esistenza di orientamenti comuni che hanno consentito fino al 1951 di avere una linea politica identificata come dossettiana, sia dagli amici che dagli avversari. In altra occasione, ho personalmente sottolineato come sarebbe fuorviante assumere l’ipotesi di un idealtipo del militante dossettiano, sulla base del quale misurare l’intensità delle relazioni e dei legami ed il grado di partecipazione[142]. Mi sembra peraltro sia un discorso che, almeno all’interno della Dc, possa valere per altre correnti (l’analisi del grado di omogeneità o disomogeneità del gruppo degasperiano credo possa mostrare risultati ancora più significativi, per non parlare di sviluppi successivi quali Iniziativa democratica o la corrente dorotea). Anche il rilievo dato all’assenza di un “atteggiamento fideistico” e di “piena autonomia di giudizio” ritengo non sia riscontrabile solo per Moro ma sia, anzi, un tratto qualificabile le principali personalità del gruppo. In sintesi, mi pare si possa certamente parlare di una «appartenenza problematica»[143], con molte peculiarità ed alcuni distinguo, ma al tempo stesso di una partecipazione reale, intensa, condivisa che non prevedeva insomma pregiudiziali clausole di opt-out.

Una definizione senz’altro efficace l’ha fornita Pietro Scoppola – riprendendo un’espressione già utilizzata da Luigi Gui[144] – qualificando Moro come «il più degasperiano dei dossettiani», ossia la figura più capace di portare a compimento l’incontro tra le due generazioni democristiane superandone le contrapposizioni e le fratture[145]. È una definizione che coglie alcuni aspetti di distinzione dal gruppo dossettiano, per esempio sul piano della prassi di governo (a cominciare dalla soluzione centrista)[146]. Leopoldo Elia ha descritto nel seguente modo ciò che gli appariva come il nodo cruciale della questione: «gli storici dovranno affrontare il problema di una composizione non eclettica da lui realizzata tra cattolicesimo sociale (anche se il Dossetti politico non è riducibile a questa cifra) e il cattolicesimo liberale di De Gasperi, anche se l’esperienza di quest’ultimo è ben lungi dall’esaurirsi in questa formula»[147]. Una rappresentazione forse schematica ma che invita a riflettere sulla composizione di orientamenti diversi nell’esperienza politica di Moro.

Se nella biografia proposta da Mastrogregori queste riflessioni (e, direi, il tema in sé) non trovano molto spazio, in quella di Formigoni l’argomento è affrontato apertamente. La formula sintetica utilizzata è diversa ma in fondo ricalca quella scoppoliana, presentando Moro come «dossettiano (e un po’ degasperiano)»[148]. Dopo aver riportato le principali linee del dibattito storiografico sull’argomento, Formigoni ha riassunto così la questione:

possiamo dire che il giovane costituente pugliese incontrò in Dossetti la sua stessa tensione radicalmente religiosa, un analogo rispetto e passione per le dimensioni storiche della politica e dello Stato, e la comune direttiva a uscire dagli anni del fascismo e della guerra su un disegno riformatore di mutamento politico e sociale[149].

Proprio in questa centralità assegnata alla dimensione storica, nell’attenzione rivolta «ad una lettura problematica della “storia” così come si svolgeva nel trascorrere del tempo» è stato ravvisato un tratto del Moro dossettiano[150], un tratto comune al gruppo ma particolarmente al politico pugliese e a quello reggiano. Analizzando il pensiero e l’approccio intellettuale di Dossetti, Pombeni ha messo in evidenza il peso e l’importanza della sua «ansia di lettura della realtà storica», intesa quale «evento di rivelazione del significato da attribuire alla vita sociale, oltre che personale e spirituale». Senza di essa, a suo giudizio, Dossetti diventerebbe «incomprensibile»[151]. La distanza tra i due, su questo terreno, andrebbe invece ravvisata nel rifiuto moroteo di quella «torsione apocalittica che Dossetti aveva finito per dare alla sua riflessione». Un punto di vista che Moro non avrebbe potuto condividere, data la sua profonda convinzione di poter operare attraverso la paziente «presenza costruttiva nei travagli storici contemporanei»[152]. È un’osservazione molto puntuale che esemplifica bene, a mio giudizio, la diversità nelle affinità tra i due politici democristiani.

La successiva evoluzione delle vicende del gruppo spinse Moro, come molti altri, a ridefinire la propria presenza dentro il partito. Gli incontri di Rossena che chiusero l’esperienza politica dei dossettiani[153], aprirono al contempo la strada all’incontro tra i giovani vicini al politico reggiano e i giovani degasperiani. Si trattava certamente di un incontro generazionale, che pure riconosceva, in una certa misura, le ragioni degli uni e degli altri e preparava in prospettiva la via per una successione alla guida del partito[154]. Dossetti, pur annunciando il suo ritiro, invitava i suoi amici a continuare la propria battaglia nella Dc dando vita ad una formazione ad hoc, inizialmente – e, pare, un po’ scherzosamente per l’evidente richiamo al patto atlantico – indicata con la sigla Nafo (Nuova alleanza forze organizzate)[155]. La corrente prenderà il nome, com’è noto, di Iniziativa democratica[156]. La decisione di Dossetti fu un fatto notevole nella storia del partito e fu recepita da molti con una certa sorpresa (mentre De Gasperi, commenta Craveri, deve averla vissuta «come una vera e propria liberazione»[157]). Fanfani annota nel suo diario i tentativi di dissuasione fatti per far desistere Dossetti dal suo intento, con il consenso di altri tra cui Scaglia, La Pira e Rumor[158]. Luciano Dal Falco ha così descritto il clima creatosi nel consiglio nazionale (tenutosi dal 6 all’8 ottobre 1951) quando il presidente De Gasperi ha letto la lettera di dimissioni di Dossetti dalla direzione e dal consiglio stesso: «la lettera, letta in un’atmosfera di silenzio sepolcrale, ha avuto sui presenti l’effetto di un fulmine a ciel sereno»[159]. In quell’occasione Fanfani propose a De Gasperi di non accettare le dimissioni[160], successivamente ribadite e confermate. Uno schema che si ripeté l’anno successivo quando Dossetti si dimise anche da deputato[161].

In tutta questa vicenda l’atteggiamento di Moro apparve riservato. Non fu presente a Rossena (come, d’altronde, diversi altri) mentre è noto che scrisse «un biglietto affettuoso a Dossetti» in occasione delle dimissioni dalla direzione del partito[162]. Nell’intervista rilasciata nel 1984, l’allora monaco reggiano ricordava di aver cercato di «confortare Moro e di indurlo a continuare; lo confortai in tutte le maniere possibili»[163]. Il ricordo è impreciso, considerando, appunto, l’assenza di Moro in quel consesso. Sulla vicenda si è aperto un piccolo caso. Enrico Galavotti ha sostenuto che si è trattato probabilmente di un errore di trascrizione e che il riferimento fosse non a Moro ma a Rumor[164]. Formigoni ha a sua volta ipotizzato che ad essere errato non fosse il nome ma il riferimento puntuale a Rossena, dato che anche lo stesso Rumor non era stato presente agli incontri[165]. Al di là della vicenda, rimane certamente la centralità della scelta dossettiana che ha influito notevolmente sugli assetti interni alla Dc e sul prosieguo dell’esperienza politica morotea.

Come accaduto in merito al rapporto con il gruppo dossettiano, anche le analisi e le testimonianze sulla partecipazione di Moro a Iniziativa democratica hanno sottolineato cautele, reticenze, distinguo. Anche in questo caso, infatti, l’appartenenza di Moro alla corrente è indiscutibile, essendo tra i suoi fondatori, ma il suo ruolo pur «non trascurabile» non fu mai «di primissimo piano»[166]. L’omonima rivista del nuovo gruppo usciva con il primo numero il 18 novembre 1951 nelle vesti di «settimanale di orientamento politico». L’editoriale dal titolo Prospettive era una sorta di «manifesto della nuova corrente», preparato il 7 novembre durante una riunione alla presenza di una ventina di esponenti «fra i trentacinque e i quarant’anni»[167]. È certamente significativo che Moro abbia dato un solo contributo alla rivista[168] ma lo è altrettanto che le riunioni preparatorie si svolsero presso la sua abitazione[169] e che, stando alla testimonianza di Giovanni Galloni, egli fu sempre presente alle riunioni del mercoledì dei parlamentari del gruppo[170]. D’altronde lo scarso contributo moroteo va anche misurato con la breve vita della rivista stessa che partorì solamente otto numeri, durando complessivamente non più di tre mesi. In questa cornice, l’adesione di Moro è stata definita sostanzialmente «senza entusiasmi»[171], addirittura «pressoché inconsistente»[172] con un distacco che si acuì dopo la sospensione delle pubblicazioni[173]. È possibile che ciò sia stato anche la conseguenza di un cambiamento di equilibri interno alla corrente con il progressivo isolamento della «componente d’origine dossettiana»[174] che, infatti, cominciò a perdere alcuni tra i suoi uomini «più battaglieri»[175]. Non a caso, Taviani ha descritto Iniziativa democratica nei termini di «un compromesso vincente, per noi giovani degasperiani, sulla componente ex dossettiana»[176].

Per quanto l’adesione di Moro potesse essere condizionata o tiepida, è comunque rilevante che da un punto di vista organizzativo la sua presenza fosse giudicata affidabile e che l’apparato del partito a Bari venisse considerato «nelle mani» della corrente[177]. In questo periodo, l’impegno di Moro sembra concentrarsi prevalentemente sul versante dei lavori parlamentari. Dopo l’esperienza come sottosegretario nel V governo De Gasperi (non priva di problemi), egli venne eletto nel comitato direttivo del gruppo democristiano alla Camera il 9 febbraio 1950 con 82 voti, riconfermato il 7 dicembre dello stesso anno con 77 voti.

Moro e il centrismo degasperiano: la prima esperienza di governo e l’attività parlamentare

Nonostante la già ricordata svolta storiografica post 2008, le vicende della biografia morotea negli anni del centrismo (degasperiano e post-degasperiano) non sembrano aver avuto un significativo nuovo impulso, ad eccezione di qualche riflessione generale e di pochi lavori di ricerca. Mi pare, dunque, ancora valido il giudizio di Malgeri, il quale nel 2014 scriveva che «la figura di Aldo Moro negli anni del centrismo non ha ancora trovato, nel campo degli studi storici, l’attenzione dedicata ad altri momenti della sua esperienza politica»[178]. Una constatazione che può apparire, da una certa prospettiva, sorprendente data la notevole mole di lavori dedicati alla storia italiana di quegli anni. D’altra parte, è piuttosto ovvio che la minore centralità di Moro nel sistema politico italiano rispetto alle fasi successive contribuisca in buona misura a spiegare questo squilibrio di attenzione. A ciò va aggiunto un dato quantitativo che ha avuto senza dubbio la sua importanza in questa nuova stagione di scavi archivistici. Mi riferisco naturalmente alle carte del fondo Aldo Moro depositate all’Archivio centrale dello Stato che presentano un vero e proprio vuoto di anni (la stragrande maggioranza dei documenti è successiva al 1959, anno in cui Moro diventa segretario della Democrazia cristiana) mentre decisamente più utili sono quelle più personali presenti nell’archivio Flamigni.

Vi è dunque un ampio terreno ancora da sondare, sia sul piano dell’attività parlamentare, sia su quella di partito come anche sulle prime esperienze di governo. In quest’ultimo ambito vi sono state delle pioneristiche ricerche che hanno portato dei risultati apprezzabili. In particolare, il saggio di Giovanni Tarli Barbieri dedicato al Moro ministro di Grazia e Giustizia ha offerto nuovi elementi di indubbio interesse[179]. Anche la successiva esperienza di ministro della Pubblica istruzione è stata analizzata con riguardo, soprattutto, al rapporto con il mondo cattolico[180]. Nessuna ricerca invece è stata dedicata alla prima esperienza di governo di Moro, in qualità di sottosegretario agli Esteri nel V governo De Gasperi con delega all’emigrazione (maggio 1948-gennaio 1950). Eppure si tratta di un passaggio decisivo della sua biografia. Il politico dossettiano (e un po’ degasperiano) si cimenta per la prima volta con le responsabilità di governo, in un settore peraltro centralissimo, la politica estera, in un momento cruciale della Guerra fredda. Un’analisi approfondita di questa esperienza potrebbe forse contribuire a chiarire alcuni passaggi: il confronto con le ragioni delle posizioni degasperiane, il successivo superamento delle fratture interne al partito, l’approssimarsi ad un metodo pragmatico che pure è emerso come un tratto distintivo di Moro nelle analisi sinora citate.

Sulle vicende della sua partecipazione all’attività del ministero guidato dal repubblicano Carlo Sforza si è scritto sostanzialmente per sottolineare le tensioni tra i dossettiani e De Gasperi[181]. Dossetti ha rievocato il suo ruolo diretto nella nomina di Moro a sottosegretario: «Moro diventò sottosegretario agli Esteri perché lo volli io; fu una delle pochissime cose che riuscii a fare nella formazione del governo del ‘48. Però mantenendo sin dal principio – e questo è quello che io sostengo – un collocamento marginale nel ministero, totalmente marginale». Secondo questa ricostruzione, l’entrata al governo in “quota dossettiana” avrebbe comportato per Moro una sostanziale emarginazione, al punto che Dossetti ricorda di aver considerato la sua posizione «davvero pietosa». Era stata, in sintesi, una conquista puramente formale per il gruppo e per lo stesso politico pugliese[182]. La sottolineatura che questa condizione di Moro emergesse sin dall’inizio del suo incarico – e fosse quindi imputabile alle dinamiche conflittuali interne alla Dc[183] – liberava il campo dall’ipotesi che essa potesse essere la conseguenza di un incidente che caratterizzò la sua esperienza da sottosegretario: la fuga di notizie sui negoziati per il Patto Atlantico. Moro fu accusato di aver consegnato a Dossetti e al gruppo a lui legato documenti diplomatici considerati in quella fase ancora riservati. Taviani annotò nel suo diario in data 23 febbraio 1949 elementi più precisi: in una riunione dei dossettiani Moro avrebbe letto la relazione dell’ambasciatore italiano in Francia, Pietro Quaroni, e quella di Manlio Brosio, ambasciatore a Mosca, l’una positiva l’altra negativa all’ipotesi di un’entrata dell’Italia nel Patto Atlantico[184]. Sforza e alcuni settori del ministero degli Esteri accusarono Moro di scorrettezza, mentre De Gasperi ne fu molto risentito[185]. Com’è noto, la discussione in seno al partito sull’adesione italiana fu molto vivace e vide l’emergere di forti contrapposizioni interne[186]. L’opposizione al patto atlantico si ridusse progressivamente, sino al voto nei gruppi parlamentari democristiani, in cui risultarono tre soli contrari (Dossetti, Luigi Gui, Dino Del Bo) e sei astenuti. Nella seguente discussione parlamentare Moro «restò defilato»[187].

Al di là delle tensioni createsi sull’incidente e della ricostruzione di esso, rimane da indagare in toto l’esperienza morotea nel V governo De Gasperi. A giudizio di Craveri, la nomina di Moro a sottosegretario di Sforza da parte del leader trentino era legata al fatto che sul politico toscano (in quel momento candidato degasperiano alla presidenza della Repubblica) si erano sollevate non poche perplessità nel mondo cattolico e all’interno del partito. Dossetti chiedeva esplicitamente che fossero messi uomini della Dc nei posti-chiave in grado di orientare e determinare la politica estera e gli impegni internazionali dell’Italia sin dalle fasi preliminari[188]. La delega all’emigrazione tendeva però a relegare l’attività del politico pugliese ad un ambito piuttosto circoscritto (per quanto non marginale per un paese con forti flussi migratori). Com’è stato notato, si trattava di una posizione che non consentiva di svolgere «un ruolo politico primario»[189] e quindi poco rispondente alle premesse del discorso dossettiano. Nonostante questo, l’impegno profuso da Moro nella sua attività agli Esteri è stato di notevole rilievo, come si può evincere dalla non banale mole di discorsi e scritti dedicati al tema dell’emigrazione e della politica internazionale, anche dopo la chiusura della sua esperienza di governo, che questa Edizione Nazionale pubblica. Ciò fu dovuto anche alla sua attività di deputato come membro della II commissione rapporti con l’estero (compresi gli economici – colonie). Da questo osservatorio parlamentare Moro ha continuato ad occuparsi di temi internazionali con una certa competenza.

L’esperienza nell’esecutivo gli aveva, inoltre, permesso di conoscere da vicino il funzionamento del ministero e le dinamiche politico-diplomatiche, sulle quali – uscito dal governo – aveva espresso qualche perplessità. Fanfani riporta alla data del 9 novembre 1950 le lamentele di Moro per «il persistente caos al ministero degli Esteri, criticando il fatto che mentre Sforza era disposto a mutare Tarchiani (amb. A Washington) e Diana (id. Bruxelles), De Gasperi personalmente è intervenuto salvandoli»[190]. Formigoni interpreta questa critica di Moro nel quadro della battaglia condotta dai dossettiani dentro il partito – con l’assunzione della vicesegreteria da parte dello stesso Dossetti[191] – mirante «a correggere l’asse delle politiche governative»[192]. Da questi elementi emergerebbe dunque un Moro in piena sintonia con le esigenze di cambiamento promosse dai dossettiani, in quella che sarebbe stata l’ultima fase della breve stagione politica di Dossetti.

I pochi elementi a disposizione non consentono naturalmente la ricostruzione di un quadro ordinato. Certamente sappiamo di dover inquadrare l’esperienza governativa di Moro tenendo conto delle dinamiche interne al partito, in una fase estremamente delicata in cui le scelte sul piano internazionale contribuivano a determinare la fase costituente della nuova Repubblica[193]. Rimane, dunque, un quadro ampiamente frammentario con alcuni punti pressoché ignoti. Nella sua attività di governo, ad esempio, risulta a curriculum una delega esercitata «per qualche tempo» al ministero dell’Africa italiana[194]. Una pagina rimasta sconosciuta ma che pure ha qualche interesse, con riferimento alle posizioni circa il destino delle ex colonie italiane dopo il trattato di pace. Risulta, ad esempio, un parere favorevole di Moro per l’indipendenza di tutte le colonie, compresa la Somalia. Una questione che aveva sollevato richieste di chiarimenti da parte della Gran Bretagna[195]. Al di là di questi aspetti più marginali, mi pare però che un’indagine su questa esperienza da sottosegretario sia necessaria e possa essere un punto cruciale per una ricostruzione della stagione centrista nella biografia morotea.

Altrettanto funzionale a questo scopo ritengo sia l’attività parlamentare, sia in assemblea che nelle commissioni. Oltre alla citata commissione per i rapporti con l’estero – che lo impegnò per tutta la legislatura – Moro svolse un’intensa attività nella VI commissione Istruzione e belle arti (a partire dal 1° luglio 1950), un altro settore sul quale spese notevoli energie ed intervenne negli anni con continuità. Più marginali ma comunque degni di essere annotati sono gli incarichi nella Giunta per il regolamento (dall’8 al 27 maggio 1948 e ancora dal 6 agosto 1951 al 24 giugno 1953), nella Giunta per i trattati di commercio e la legislazione doganale (dal 27 luglio 1951 al 1° luglio 1952) e nella Commissione speciale per l’esame dei provvedimenti relativi alla Corte costituzionale (dal 25 settembre al 18 dicembre 1952). In questa legislatura fece anche parte della Commissione parlamentare per la vigilanza politica delle radiodiffusioni[196]. Sostanzialmente, non esiste letteratura su questi temi ed il terreno è, dunque, tutto da sondare.

Occorre, dunque, impegnarsi in una ricostruzione di questa fase biografica, intendendo in modo organico tanto l’esperienza di governo, quanto il piano politico-parlamentare e ancora quello partitico, intellettuale ed associativo cattolico. Come si è più volte ripetuto, gli aspetti da analizzare e ricostruire sono molti e riguardano nodi tutt’altro che secondari. Sul versante delle dinamiche interne in un partito composito ed articolato come quello democristiano, ad esempio, se è stata mesa a fuoco, in linea generale, la peculiare affiliazione dossettiana e post-dossettiana di Moro, è però ancora in buona parte da decifrare il peso ed il significato della sua presenza nella DC pugliese. Dalle iniziali difficoltà con la classe dirigente locale si è passati, dopo il 2 giugno del 1946, ad una fase nuova in cui il ruolo di Moro è stato tutt’altro che marginale. I principali passaggi di questa ed i rapporti tra dimensione locale e dimensione nazionale, fondamentali in un partito di massa come quello democratico-cristiano[197], rimangono dunque largamente da esplorare. Allo stesso tempo, il rapporto intensissimo con l’associazionismo cattolico, non si esaurisce con la conclusione dei ruoli direttivi dentro il Movimento laureati a cui Moro era stato chiamato. La collaborazione con le riviste dei movimenti intellettuali cattolici documentata da questa Edizione Nazionale testimonia una presenza che – seppure meno assidua e frequente, dati i crescenti impegni ed incarichi politici – continua ad essere significativa. La partecipazione ai convegni, organizzati sia a livello nazionale che locale (ed anche su questo versante andrebbe compresa la specificità del contesto pugliese), prosegue in piena coerenza (anche di approcci e di temi) con l’impegno di intellettuale cattolico che ha caratterizzato la vicenda biografica di Moro. Se, in buona misura, vi è una solida conoscenza della fase del Moro dirigente della Fuci e del Movimento laureati (inclusa la direzione della rivista «Studium») rimane invece da analizzare e comprendere l’intera fase successiva.

I criteri adottati per la curatela degli scritti e dei discorsi

Il lavoro di raccolta di scritti e discorsi che viene qui presentato offre certamente fondamentali elementi per avviare i percorsi di ricerca indicati. Tra i 261 testi raccolti ve ne sono, infatti, molti inediti o scarsamente conosciuti ed utilizzati dalla storiografia. Confrontando i risultati con le principali raccolte esistenti gli elementi di novità sono significativi. Per quanto concerne la restituzione del lungo ed intenso lavoro in Assemblea costituente risultano 46 nuovi contributi (da intendersi come insieme di interventi su un tema specifico in una precisa seduta e, quindi, annoverabili latu sensu come un “unico discorso”) ma i nuovi interventi raccolti (brevi, medi o lunghi che siano) sono ben 111. Sul piano dell’attività parlamentare, vanno inoltre aggiunti 9 nuovi contributi relativi alla prima parte della I legislatura (1948-1951). Sul versante degli scritti pubblicati sulle varie riviste si annoverano 46 articoli non presenti in altre raccolte. Un discorso a parte riguarda le pubblicazioni sulla rivista «Studium», quasi interamente raccolte nel volume curato da Giorgio Campanini[198]. Ad essa si aggiungono ora ulteriori 6 articoli. Tra le carte di archivio sono stati rinvenuti inoltre 9 dattiloscritti inediti – in larga parte completi e solo in alcuni casi con brevi parti mancanti – nonché diverse pubblicazioni che sarebbero state altrimenti difficili da reperire.

In sintesi, si può ora fare riferimento ad una raccolta organica in grado di offrire un quadro sostanzioso delle principali attività politiche ed intellettuali di Moro dalla Costituente alla fine dell’esperienza dossettiana che orientativamente coincide con la fine del 1951. Un lavoro che si auspica possa essere utile a tutti gli studiosi che vorranno confrontarsi con questa fase, sotto tanti punti di vista, cruciale della biografia morotea.

I criteri che hanno guidato la curatela del volume sono coerenti con l’impostazione complessiva data dall’Edizione nazionale delle Opere di Aldo Moro. Sono qui raccolti i testi che rientrano nella categoria di scritti e discorsi caratterizzati da una propria pubblicità, cioè non riservati o annoverabili tra i documenti di lavoro (appunti, note, commenti). Gli articoli apparsi su quotidiani, periodici e riviste attestano la pluralità delle pubblicazioni, sostanzialmente riconducibili ai ruoli istituzionali e associativi assunti. Naturalmente, numerosi sono i testi pubblicati su «Studium» durante gli anni della sua direzione (1945-1948). Assieme alla rivista espressione del Movimento laureati, Moro pubblica su altri periodici come «Coscienza», «Ricerca» e «L’Assistente ecclesiastico» che fanno riferimento all’associazionismo cattolico. Sempre dal mondo cattolico provengono altre testate come «L’Avvenire d’Italia», «La vita del popolo», «Il Domani d’Italia» in cui appaiono, seppure saltuariamente, alcuni contributi di Moro mentre più numerosi sono gli articoli scritti per testate afferenti alla Democrazia cristiana, quali il quotidiano «Il Popolo» e i periodici «Civitas» e «Popolo e libertà». Nella stampa generalista vanno annoverati i testi apparsi sui settimanali «Il Mondo» e «La Gazzetta del lunedì» ma soprattutto sul quotidiano meridionale «La Gazzetta del Mezzogiorno».

Per quanto concerne i discorsi, il riferimento è fondamentalmente all’attività parlamentare. Sia per i lavori in Assemblea costituente che nella prima legislatura si è scelto di rimandare alla documentazione presente in rete, precisamente al portale storico della Camera dei deputati, in modo da facilitare l’individuazione ed il reperimento delle discussioni in cui i discorsi di Moro si inseriscono. Ad eccezione delle relazioni scritte, tutti i discorsi parlamentari sono resoconti stenografici, per i quali si possono naturalmente presentare questioni di autenticità o di piena corrispondenza con l’intervento originario. È, con tutta evidenza, un problema non risolvibile. Nel caso dei discorsi relativi alle commissioni parlamentari (II commissione “Rapporti con l’estero - compresi gli economici - colonie” e VI commissione “Istruzione e belle arti” o nei casi di commissioni riunite) si precisa, inoltre, che si tratta di documenti delle commissioni in sede legislativa. La scelta degli interventi da inserire è stata il più possibile orientata a ridurre l’adozione di criteri arbitrali. Si è cercato soprattutto di individuare testi che avessero una struttura riconoscibile, che – seppure brevi o brevissimi – potessero restituire in maniera compiuta la posizione di Moro su un determinato argomento.

I problemi maggiori riguardano, com’è facile intuire, gli atti dell’Assemblea costituente ed in particolare i lavori in sottocommissione. Questo volume ha dovuto confrontarsi con i molti problemi che, per loro stessa natura, questi interventi pongono. Quanti e quali di questi possano annoverarsi tra gli scritti e i discorsi è, infatti, una questione tutt’altro che banale. La natura stessa delle riunioni non consente infatti molto spesso di recuperare discorsi compiuti che possano essere comprensibili in modo autonomo ed essere dotati di una propria – seppur elementare – struttura argomentativa. Si rischia, invece, di affidarsi a brani frammentati ed episodici, di cui è difficile restituire il senso all’interno di una discussione spesso complessa ed articolata. Lo sforzo che si è compiuto è andato, dunque, nella direzione di recuperare quanti più testi possibile, in modo da arricchire il quadro degli interventi proposti da Moro, ma al contempo di selezionare solo quelli in grado di restituire una posizione politica, culturale, intellettuale del politico pugliese all’interno del dibattito. I testi qui presentati – che, dunque, non contemplano tutti gli interventi ma solo quelli che rispettano i criteri (sebbene intesi in senso piuttosto ampio) per essere considerati all’interno di una raccolta di scritti e discorsi – arricchiscono, comunque, e sostanzialmente, come si è detto, il panorama delle raccolte esistenti.

I commenti, le interruzioni, le veloci interlocuzioni non sono state riportate e sono annotate negli abstract introduttivi o nelle note a piè di pagina solamente laddove ritenute significative, cioè condizionanti il discorso ed i ragionamenti dell’intervento di Moro. L’apparato delle note si limita, anche in questa peculiare tipologia di testi, a rendere comprensibile e fruibile la lettura dell’intervento. Non sempre si è riusciti ad offrire un quadro al tempo stesso sintetico e comprensivo degli interventi ma il lavoro di curatela è andato nella direzione di fornire quanti più elementi di contestualizzazione possibile, pur nei limiti indicati. Il rimando al dibattito originario – e la sua facile reperibilità – costituisce, comunque, uno strumento di grande utilità per tutti coloro che volessero recuperare il più ricco quadro d’insieme. Si è scelto, inoltre, di inserire nelle note i soli elementi utili ad una chiarificazione del testo mentre non si è intervenuti con note esplicative laddove in esso vi siano rimandi evidenti. Ad esempio, se nell’intervento di Moro è chiaro il riferimento ad un emendamento o ad un articolo o discorso, non si è ritenuto necessario fare alcuna ulteriore nota. Il criterio seguito è, dunque, di non specificare nell’apparato delle note ciò che si evince chiaramente nel testo. Questo per evitare un eccessivo e non necessario appesantimento della lettura.

Come per tutti i volumi dell’Edizione Nazionale, anche qui i testi sono disposti in ordine cronologico. Anche nel caso degli interventi in Assemblea costituente e alla Camera dei deputati si è scelto il criterio diacronico e non quello tematico, che pure è presente in diverse raccolte. Esso permette di non isolare in una sezione ad hoc i lavori costituenti (come nel volume curato da Rossini) ma di inserirli dentro l’evoluzione temporale delle pubblicazioni morotee – permettendo quindi un raffronto con gli articoli di commento ai lavori in sottocommissione e in assemblea (utili, in questo senso, soprattutto gli articoli usciti per «Studium»). Allo stesso tempo, permette di non raggruppare interventi svolti in tempi diversi secondo un principio tematico (come nel volume curato da Loiodice e Pisicchio), con il pericolo di estrapolazioni e conseguenti difficoltà di contestualizzazione nel dibattito. Nel caso, ad esempio, di più interventi sullo stesso tema in sedute diverse (eventualità molto diffusa nei lavori parlamentari), non si è scelto quindi di accorpare i testi ma di rispettarne l’ordine cronologico di discussione. Nel rispetto di questo criterio ordinativo, si fa riferimento laddove possibile, perché noto, alla data di scrittura (o di pronunciamento) e non di pubblicazione.

In merito alle personalità citate nei vari scritti e discorsi, preciso inoltre che le note biografiche vanno intese in relazione al testo e, quindi, al momento in cui esso è stato scritto o pronunciato. Ciò significa che sono specificati quegli elementi che rimandano al ruolo o alla funzione svolta in quel preciso momento dalle personalità citate e non ai dati relativi alle successive fasi delle loro biografie. Per gran parte di esse è comunque presente il rimando alla voce del Dizionario biografico degli italiani (DBI) che consente, ovviamente, un inquadramento completo.

Il lavoro di reperimento dei testi si è svolto non solo nelle emeroteche di diversi istituti pubblici e privati in cui sono raccolte le collezioni delle riviste citate, né solamente nelle fonti digitali disponibili (come, ad esempio, il portale della Camera dei deputati) ma anche nelle carte di archivio ed in particolare nei fondi concernenti le carte istituzionali e private di Moro, sia all’Archivio centrale dello Stato che all’Archivio Flamigni. Nell’indicare negli abstract introduttivi i casi di testi già raccolti in altri volumi, si è scelto di limitare le citazioni ai soli lavori principali (al di là del giudizio di valore che su di essi può essere espresso) senza fare riferimento alle moltissime ma più marginali raccolte esistenti. In particolare, si è limitato il rimando ai volumi primo e secondo degli Scritti e discorsi curati da Giuseppe Rossini[199]; al volume relativo agli interventi in Assemblea costituente curato da Aldo Loiodice e Pino Pisicchio[200]; al volume concernente i discorsi parlamentari curato da Emilia Lamaro[201]. Ad essi si aggiunge la raccolta (quasi) completa di articoli apparsi sulla rivista «Studium», curata da Giorgio Campanini[202].

L’ultima avvertenza concerne i testi giuridici di Moro, i quali – pur pubblicati negli anni di nostro interesse – non sono stati raccolti in questo volume ma, per la loro evidente peculiarità ed unicità tipologica, sono oggetto di una pubblicazione ad hoc.

Note

  1. Giovanni Battista Scaglia ha esplicitamente scritto di una weltanschauung fucina caratterizzante il pensiero moroteo; cfr. G.B. Scaglia, “Aldo Moro dall’azione cattolica all’azione politica”, introduzione a A. Moro, Al di là della politica e altri scritti. «Studium» 1942-1952, a cura di G. Campanini, Roma, Studium, 1982, p. 19.

  2. La prima articolata e raffinata ricostruzione è in R. Moro, “La formazione giovanile di Aldo Moro”, Storia contemporanea, 4-5, 1983, pp. 803-968. Diversi sono stati i contributi che hanno ulteriormente arricchito la comprensione di questa stagione. Si veda in ultimo Id., “La formazione intellettuale di Aldo Moro”, Aldo Moro nella storia della Repubblica, a cura di N. Antonetti, Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 41-57. Recentemente lo stesso Renato Moro ha scritto di un «caso di approdo alla democrazia del dopoguerra» emblematico di un’intera generazione di giovani ma al tempo stesso «probabilmente il più estremo di essi, perché radicato in uno sviluppo individuale estremamente originale»; Id., “Aldo Moro dalla rinascita alla crisi della democrazia in Italia”, in Una severa conquista. Aldo Moro e la democrazia in Italia, a cura di T. Torresi, Bari, Cacucci, 2019, p. 55.

  3. Cfr. Moro, Aldo, Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro, Sezione I, Scritti e Discorsi, Vol. 1, Gli anni giovanili (1932-1946), a cura di Gaetano Crociata e Paolo Trionfini, edizione e nota storico-critica di Tiziano Torresi, Bologna, Università di Bologna, 2021. Su questi anni si veda anche T. Torresi, “Aldo Moro nei suoi scritti giovanili: radici e prospettive di una cultura politica”, in Una vita, un paese. Aldo Moro e l’Italia del Novecento, a cura di R. Moro e D. Mezzana, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014, pp. 157-175. L’apporto dato da Moro alla cultura cattolica del tempo si inseriva all’interno di un quadro ricco di contributi in cui soprattutto la rivista degli intellettuali cattolici, «Studium», svolgeva un ruolo di grande rilevanza; cfr. T. Torresi, La scura alla radice. «Studium», la cultura cattolica e la guerra (1939-1945), Roma, Studium, 2021.

  4. Su questo passaggio cfr. R. Fornasier, Vittorino Veronese. Un cristiano d’avanguardia, Roma, Studium, 2011, pp. 68-80.

  5. Cfr. P. Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano. Aldo Moro e Studium (1945-1948), Roma, Studium, 2011.

  6. Cfr. G. Formigoni, Aldo Moro. L’intelligenza applicata alla mediazione politica, Milano, Centro Ambrosiano, 1997, pp. 17-24.

  7. Cfr. R. Moro, Aldo Moro negli anni della FUCI, Roma, Studium, 2008.

  8. Per una lettura dei passaggi principali di questa transizione cfr. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 59-65.

  9. Per una ricostruzione della riforma statuaria cfr. L. Ferrari, “Gli statuti dell’Azione cattolica del 1946”, Italia contemporanea, n. 130, 1978, pp. 57-83 e Id., Una storia dell’Azione cattolica, Genova, Marietti, 1989, pp. 221-249. Si vedano inoltre M. Casella, “Gli Statuti generali dell’Azione Cattolica Italiana (1923-1969)” e M.C. Giuntella, “Gli Statuti della FUCI e del Movimento Laureati dal 1906 ad oggi” in Gli Statuti dell’Azione cattolica italiana, a cura di E. Preziosi, Roma, Editrice AVE, 2003, rispettivamente alle pp. 70-79 e 114-118.

  10. Relazione tenuta da mons. Adriano Bernareggi al congresso nazionale dei Laureati cattolici del gennaio 1947, pubblicata con il titolo “Problemi della cultura cattolica nell’ora presente”, Studium, n. 2, febbraio 1947.

  11. G.L. Mosse, “L’opera di Aldo Moro nella crisi della democrazia parlamentare in Occidente”, in A. Moro, L’intelligenza e gli avvenimenti. Testi 1959-1978, Milano, Garzanti, 1979, pp. IX-X. Questo testo è frutto di un’intervista allo storico di origini tedesche curata da Alfonso Alfonsi, recentemente riedita con la prefazione di Renato Moro ed un saggio introduttivo di Donatello Aramini, cfr. G.L. Mosse, Intervista su Aldo Moro, a cura di A. Alfonsi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015.

  12. G.L. Mosse, La cultura dell’Europa occidentale nell’Ottocento e nel Novecento, Milano, Mondadori, 1987, pp. 475 e 482-483.

  13. Citato in M. Casella, Cattolici e costituente. Orientamenti e iniziative del cattolicesimo organizzato (1945-1947), Perugia, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987, p. 95.

  14. Su Cassano come tipico intellettuale militante cattolico si veda P. Acanfora, “Un intellettuale cattolico al servizio della democrazia”, introduzione a G. Cassano, La democrazia tra passione e servizio, Roma, Studium, 2016, pp. 27-58.

  15. Giuseppe Cassano, “Mondo professionale”, «Coscienza», a. VII, n. 19, 5 ottobre 1953. Allo stesso Giuseppe Cassano, dirigente per molti anni dell’Unione giuristi cattolici italiani (UGCI) e del Movimento laureati era stato chiesto, all’inizio del 1947, di chiarire ruolo e funzioni delle unioni professionali. Cfr. Id., “I compiti delle unioni professionali”, «Coscienza», a. I, n. 2-4, febbraio 1947.

  16. R. Moro, “I movimenti intellettuali cattolici”, in Cultura politica e partiti nell’età costituente. I. L’area liberal-democratica. Il mondo cattolico e la Democrazia cristiana, a cura di R: Ruffilli, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 206.

  17. Sulla figura di Paronetto si veda T. Torresi, Sergio Paronetto. Intellettuale cattolico e stratega dello sviluppo, Bologna, Il Mulino, 2017.

  18. Cfr. G. Formigoni, Aldo Moro, cit., p. 61. Su questi temi si veda anche A. Giovagnoli, Le premesse della ricostruzione. Tradizione e modernità nella classe dirigente cattolica del dopoguerra, Milano, Nuovo Istituto Editoriale Italiano, 1982.

  19. Sulla definizione di uno specifico topos dell’intellettuale cattolico nell’Italia del secondo dopoguerra cfr. P. Acanfora, “Cultura politica e cattolicesimo democratico nell’Italia del secondo dopoguerra”, in Les cultures politiques en Italie. Des origines à la fin de la «première» République, sous la direction de S. Visciola, «Revue Babel. Collection Civilisations et Sociétés», n. XVI, 2018, pp. 290-323 (soprattutto pp. 298-311).

  20. Non solo le testate che facevano direttamente riferimento alle due organizzazioni ma anche la casa editrice «Studium» promuoveva pubblicazioni congruenti a questa impostazione, continuando una linea editoriale inaugurata nel 1934 con la creazione della collana “Quaderni professionali”. Cfr. A. Mazzini, “Linee di una storia centenaria”, in Edizioni Studium. Catalogo storico (1927-2017), Roma, Studium, 2016, p. 73. Per il periodo qui considerato, si vedano, a titolo puramente esemplificativo, pubblicazioni quali G. Pasquariello, Il commercialista. Nel suo aspetto etico-giuridico-professionale (1946) o L. Scremin, Appunti di morale professionale per i medici (1947).

  21. Cfr. A. Moro, Al di là della politica e altri scritti. «Studium» 1942-1952, cit.

  22. Cfr. P. Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano, cit.

  23. G. Formigoni, L’Azione cattolica italiana, Milano, Editrice Àncora, 1988, pp. 84-85. Sul contributo dei gruppi intellettuali in costituente si veda ancora R. Moro, “I movimenti intellettuali cattolici”, cit., pp. 159-262 e Id., “Il contributo culturale e politico dei cattolici nella fase costituente”, in Dalla Fuci degli anni ‘30 verso la nuova democrazia, a cura di M.C. Giuntella, R. Moro, Roma, Ave, 1991, pp. 31-89.

  24. A. Moro, “Osservatorio 1”, «Studium», a. XLII, n. 6-7, giugno-luglio 1946, p. 169.

  25. La lettera di Aldo Moro a Vittorino Veronese è citata in M. Casella, Cattolici e costituente, cit., pp. 335-336 e in altri lavori, quali, ad esempio, G. Miccoli, “La Chiesa di Pio XII nella società italiana del dopoguerra”, in Storia dell’Italia repubblicana. Vol. 1. La costruzione della democrazia, Torino, Einaudi, 1994, p. 562; si veda anche il saggio del 1998, recentemente riedito, di F. Malgeri, “Il contesto politico”, in I cattolici democratici e la Costituzione, a cura di N. Antonetti, U. De Siervo, F. Malgeri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2017, p. 146. Più recentemente ancora in G. Formigoni, Aldo Moro, cit., p. 78 e R. Moro, “Aldo Moro dalla rinascita alla crisi della democrazia in Italia”, cit., p. 62.

  26. A. Moro, “Il problema costituzionale della scuola”, «L’Assistente Ecclesiastico», a. XVII, n. 4, aprile 1947, p. 103.

  27. In una ricchissima ed originale relazione tenuta il 12 maggio 2010 al convegno “La patria difficile delle società del XXI secolo. Una riflessione sul senso dell’unità nazionale, ricordando Aldo Moro”, Emilio Gentile ha sottolineato la visione umanistica dell’idea di nazione in Moro, segnata dall’influenza dello storicismo crociano e dell’umanesimo cristiano – così permeante la weltanschauung degli intellettuali cattolici nell’immediato dopoguerra; cfr. E. Gentile, “Il senso umano della patria”, in Aldo Moro. Un percorso interpretativo, a cura di A. Alfonsi e L. d’Andrea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018, pp. 117-130. Sull’elaborazione dell’idea di nazione, anche in rapporto alla “patria europea”, si veda inoltre P. Acanfora, “Le due patrie. Coscienza nazionale e unificazione europea in Aldo Moro (1944-1961)”, in Una vita, un paese, cit., pp. 177-199.

  28. Cfr. P. Acanfora, “La Democrazia cristiana degasperiana e il mito della Nazione: le interpretazioni del Risorgimento”, «Ricerche di Storia Politica», n. 2, 2009, pp. 177-196.

  29. Sul tema rimangono fondamentali i lavori di F. Traniello, Religione cattolica e Stato nazionale. Dal Risorgimento al secondo dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 2007 e G. Formigoni, L’Italia dei cattolici. Dal Risorgimento a oggi, Bologna, Il Mulino, 2010. Sulla peculiarità cattolica del mito della nazione nell’Italia fascista cfr. soprattutto, R. Moro, Il mito dell’Italia cattolica. Nazione, religione e cattolicesimo negli anni del fascismo, Roma, Studium, 2020.

  30. Si vedano, a titolo esemplificativo, l’articolo di L. Sturzo, “La DC nella storia di un secolo”, «Il Popolo», 1° agosto 1948 e la conferenza, pronunciata a Bruxelles il 20 novembre 1948, di A. De Gasperi, “Le basi morali della democrazia”, in A. De Gasperi, L’Europa. Scritti e discorsi, a cura di M.R. De Gasperi, Brescia, Morcelliana, 2004, pp. 55-71.

  31. Cfr. P. Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano, cit., pp. 73-92.

  32. Cfr. M. Mastrogregori, Moro, Roma, Salerno Editrice, 2016, p. 61.

  33. Dopo aver richiamato le reticenze di Moro ad un coinvolgimento diretto nell’azione politica di partito, Mastrogregori scrive che «il paradosso, l’enigma consistono in questo: non appena egli entra nel gioco politico, non solo il disagio e la distanza spariscono, ma Moro assume subito, stranamente, ruolo e funzioni di guida efficiente, di responsabilità, di influenza in mezzo a capi come De Gasperi, Togliatti, Basso». Ibidem, p. 62.

  34. La partecipazione all’attività de «La Rassegna» sarebbe alla base delle voci circolate in merito alla presunta richiesta di Moro di entrare nel partito socialista italiano. A dare credito a questa lettura (che non ha trovato alcuna conferma) è stato soprattutto il giornalista comunista Aniello Coppola nelle pagine della sua biografia di Moro dedicate al “faticoso” ingresso nella Dc; cfr. A. Coppola, Moro, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 13-15. Nella sua biografia, Mastrogregori riprende questa presunta notizia, aggiungendo che la medesima richiesta era stata avanzata da Moro al partito comunista. La fonte sarebbe il diario di Antonio Segni che in data 19 marzo 1960 riportava le parole di Eugenio Reale in cui questi dichiarava che nel 1944 fu egli stesso a respingere la domanda di iscrizione. Cfr. M: Mastrogregori, Moro, cit., pp. 64-65.

  35. G. Formigoni, Aldo Moro, cit., pp. 51-52.

  36. R. Moro, La formazione intellettuale di Aldo Moro, cit., p. 55.

  37. Cfr. M. Mastrogregori, Moro, cit., p. 62.

  38. G. Formigoni, Aldo Moro, cit., pp. 56-57.

  39. Com’è noto, una parte dell’Ac, guidata da Luigi Gedda, aveva spinto per la presentazione di liste proprie da affiancare a quella democristiana. La posizione prevalente, sostenuta da Veronese «che sull’argomento si era consultato con Piccioni e con Aldo Moro», fu invece di optare per una partecipazione di uomini dell’Ac nelle liste della Dc. Cfr. F. Malgeri, “Il contesto politico”, cit., p. 132.

  40. G. Formigoni, Aldo Moro, cit., p. 70.

  41. Ivi, p. 72.

  42. Sulla sua attività di professore universitario si veda soprattutto G. Balzoni, Aldo Moro il professore, Roma, Lastaria, 2016 e Id., “Moro professore”, Aldo Moro. Gli anni della «Sapienza» (1963-1978), Roma, Studium, 2018, pp. 129-137.

  43. R. Moro, “Aldo Moro”, in “I costituenti della Sapienza”, «Nomos. Le attualità nel diritto», n. 3, 2017; consultabile all’indirizzo: https://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/nomos/renato-moro-aldo-moro/ (ultima lettura 22 gennaio 2022).

  44. Il lavoro di riferimento su questo tema è certamente P. Pombeni, Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana (1938-1948), Bologna, Il Mulino, 1979. Sul contributo di Giuseppe Dossetti in Assemblea costituente, si veda soprattutto G. Dossetti, La ricerca costituente 1945-1952, a cura di A. Melloni, Bologna, Il Mulino, 1994; E. Galavotti, Il professorino. Giuseppe Dossetti tra crisi del fascismo e costruzione della democrazia, 1940-1948, Bologna, Il Mulino, 2013. In ultimo per un sintetico ma ricco ed equilibrato profilo P. Pombeni, Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano, Bologna, Il Mulino, 2013.

  45. Cfr. A. Moro, Scritti e discorsi, vol. 1, 1940-1947, a cura di G. Rossini, Roma, Edizione Cinque Lune, 1982, pp. 370-504.

  46. Cfr. A. Loiodice, P. Pisicchio, Moro e la costituente. Principi e libertà, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1984.

  47. Di Capua, per sottolineare il notevole impegno nei lavori costituenti, ha ricordato che Moro «con un pizzico di civetteria, al momento della elezione del primo parlamento repubblicano, fa scrivere nel suo breve ritratto biografico nella “Navicella”, di essere “intervenuto 119 volte nelle discussioni” alla Assemblea costituente»; cfr. G. Di Capua, “Aldo Moro costituente”, Appunti, n. 20, marzo-aprile 1979, p. 48. In realtà, come si può vedere in questa raccolta, gli interventi, singolarmente considerati, sono molti di più, mentre i “contributi” qui riprodotti – che accorpano una pluralità di interventi sul medesimo tema e nella medesima seduta – sono 111.

  48. A. Loiodice, “Verso uno Stato a misura d’uomo”, in A. Loiodice, P. Pisicchio, Moro e la costituente, cit., p. IX-XVIII.

  49. Cfr. U. De Siervo, “Il contributo di Aldo Moro alla formazione della Costituzione repubblicana”, «Il Politico», n. 2, giugno 1979, pp. 193-224. Lo stesso saggio con il titolo “Il contributo alla Costituente” è stato ripubblicato nei quaderni promossi dalla stessa rivista: cfr. Cultura e politica nell’esperienza di Aldo Moro, a cura di P. Scaramozzino, Milano, Giuffré, 1982, pp. 79-121. Diversi sono poi stati i contributi nel tempo sino al recente saggio U. De Siervo, “Moro e lo Stato”, in Aldo Moro nella storia della Repubblica, a cura di N. Antonetti, Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 195-206.

  50. Cfr. R. Ruffilli, “Religione, diritto e politica”, in Cultura e politica nell’esperienza di Aldo Moro, cit., pp. 41-78. I numerosi interventi sul tema sono in buona parte raccolti in Id., Istituzioni, società, Stato, vol. III. Le trasformazioni della democrazia: dalla Costituente alla progettazione delle riforme istituzionali, a cura di M.S. Piretti, Bologna, Il Mulino, 1991.

  51. Cfr. N. Bobbio, “Diritto e Stato negli scritti giovanili”, Cultura e politica nell’esperienza di Aldo Moro, cit., p. 1-22.

  52. Cfr. R. Moro, “La formazione giovanile di Aldo Moro”, cit.

  53. Cfr. G. Di Capua, “Aldo Moro costituente”, cit., pp. 41-48.

  54. Si vedano, ad esempio, la serie di volumi pubblicata da Il Mulino: La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria all’Assemblea costituente, a cura di E. Cheli, Bologna, Il Mulino, 1979; Cultura politica e partiti nell’età della costituente, a cura di R. Ruffilli, 2 voll., Bologna, Il Mulino, 1979; Scelte della Costituente e cultura giuridica, a cura di U. De Siervo, 2 voll., Bologna, Il Mulino, 1979. Per una rassegna degli studi di quegli anni cfr. G. Melis, “Gli studi recenti sull’Assemblea costituente. Rassegna storiografica”, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», n. 10, 1981, pp. 449-510.

  55. Cfr. Cultura politica e partiti nell’età della costituente, tomo I: l’area liberal-democratica. Il mondo cattolico e la democrazia cristiana, a cura di R. Ruffilli, Bologna, Il Mulino, 1979; Democrazia cristiana e Costituente: bilancio storiografico e prospettive di ricerca, a cura di G. Rossini, Roma, Cinque Lune, 1980; P. Pombeni, Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana, cit.; P. Scoppola, Gli anni della Costituente tra politica e storia, Bologna, Il Mulino, 1980. Per una bibliografia degli studi condotti in quegli anni si veda la voce “Costituzione e movimento cattolico” curata da Ugo De Siervo e Leopoldo Elia in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, tomo I, vol. 2, I fatti e le idee, a cura di F. Traniello e G. Campanini, Torino, Marietti, 1981, pp. 232-246.

  56. È impossibile rendere qui conto della vastità degli studi intrapresi sul tema. Per dare un’idea, in qualche misura esemplificativa, dello sviluppo si vedano i contributi nella seconda metà degli anni Ottanta di Mario Casella sul mondo cattolico, Cattolici e costituente, cit. e di Silvio Tramontin sulla Dc, “La Democrazia cristiana dalla Resistenza alla Repubblica”, in Storia della Democrazia cristiana, vol. I Le origini: la Dc dalla resistenza alla Repubblica (1943-1948), Roma, Cinque Lune, 1987, pp. 13-176. Nel decennio successivo si veda, per alcuni utili riferimenti storiografici, l’introduzione di Pietro Scoppola “La democrazia italiana” a F. Bonini, Storia costituzionale della Repubblica. Profilo e documenti (1948-1992), Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1995 (2 ed.), pp. 11-35 e il brillante volume di sintesi di P. Pombeni, La costituente. Un problema storico-politico, Bologna, Il Mulino, 1995. Soprattutto cfr. i già citati importanti tre volumi I cattolici democratici e la Costituzione, a cura di N. Antonetti, U. De Siervo, F. Malgeri, 1998 nonché i saggi di M. Casella, “Clero e politica nell’immediato secondo dopoguerra (1945-1948)” e N. Antonetti, “Cattolici verso la Costituente: cultura politica e problemi istituzionali”, in Cattolici, Chiesa, Resistenza, a cura di G. De Rosa, Bologna, Il Mulino, 1997, rispettivamente pp. 565-614 e 615-652. Non sono mancati successivamente altri utili contributi che hanno portato alla luce una nuova documentazione come, ad esempio, G. Sale, Il Vaticano e la Costituzione, Milano, Jaca Book, 2008.

  57. Cfr. U. De Siervo, “Il contributo di Aldo Moro alla formazione della Costituzione repubblicana”, cit., pp. 200-207.

  58. Ibidem, pp. 209-210.

  59. Ibidem, pp. 210-213.

  60. Ibidem, pp. 218-219.

  61. Ibidem, pp. 222-224.

  62. Si tratta di brevi interventi a convegni poi pubblicati come atti, come ad esempio il convegno tenutosi ad Alessandria del 29-30 maggio 1982 ed in particolare gli interventi di M.S. Piretti, “Il pensiero di Aldo Moro all’Assemblea costituente”, e di R. Balduzzi, “Il collegamento fra principi fondamentali, prima e seconda parte della Costituzione, nel pensiero di Aldo Moro (Premessa e spunti per una ricerca)”, in Aldo Moro: cattolicesimo e democrazia nell’Italia repubblicana, Alessandria, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria, 1983, rispettivamente pp. 79-85 e 87-114; il convegno tenutosi a Bari il 28 maggio 1998 ed in particolare l’intervento di N. Antonetti, “La cultura politica ed istituzionale di Aldo Moro negli anni della costituente”, in Convegno di studi in memoria di Aldo Moro nel ventennale della sua scomparsa, Bari, Servizio editoriale universitario, 2001, pp. 97-101. Si vedano inoltre, in questa chiave interpretativa del bagaglio culturale politico-giuridico del Moro costituente, le pagine in A. Giovagnoli, La cultura democristiana, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 206-210.

  63. Non focalizzato esclusivamente sui lavori della costituente ma con molte riflessioni ad essi relative è l’introduzione di G.B. Scaglia, “Aldo Moro dall’azione cattolica all’azione politica”, cit., pp. 11-48. Si vedano inoltre le veloci pagine dedicate a questa fase in G. Campanini, Aldo Moro. Cultura e impegno politico, Roma, Studium, 1992, pp. 40-45 e le osservazioni sintetiche ma pregnanti in G. Formigoni, Aldo Moro. L’intelligenza applicate alla mediazione politica, cit., pp. 25-33.

  64. Cfr. P. Pisicchio, Scuola e persona. Il dibattito sulla Scuola alla Costituente attraverso gli interventi di Aldo Moro, Bari, Cacucci, 1987.

  65. Cfr. P. Pisicchio, Politica ed economia. Il dibattito sullo Stato sociale alla Costituente attraverso gli interventi di Aldo Moro, Bari, Cacucci, 1992.

  66. R. Moro, “Aldo Moro nelle storie d’Italia”, in Aldo Moro nella storia dell’Italia repubblicana, Milano, Franco Angeli, 2011, p. 69.

  67. R. Moro, “Un bilancio tra storiografia e politica”, in Aldo Moro. Gli anni della «Sapienza», cit., p. 23.

  68. Ibidem, pp. 21-25.

  69. Oltre al saggio di R. Moro, “Aldo Moro nelle storie d’Italia”, cit., pp. 17-69, si vedano i saggi di G. Formigoni, “Il rinnovamento della storiografia su Aldo Moro dopo il 2008”, in Aldo Moro. Gli anni della «Sapienza», cit., pp. 27-38 e P. Acanfora, “La storiografia di Aldo Moro e gli archivi dell’Istituto Luigi Sturzo”, in Aldo Moro nella storia della Repubblica, cit., pp. 17-31.

  70. Da quel convegno hanno avuto origine i saggi raccolti in “Aldo Moro nella storia dell’Italia repubblicana”, apparsi prima sulla rivista Mondo contemporaneo, n. 2, 2010 e poi nel già citato volume edito da Franco Angeli nel 2011, nonché altri contributi, di taglio però più interpretativo, raccolti in Aldo Moro nella dimensione internazionale. Dalla memoria alla storia, a cura di A. Alfonsi, Milano, Franco Angeli, 2013.

  71. Si vedano, ad esempio, i volumi promossi dall’Accademia di studi storici Aldo Moro che hanno esattamente l’obiettivo di proporre riflessioni di ampio spettro sulla figura morotea, Aldo Moro nella dimensione internazionale, cit. (2013) e Aldo Moro. Un percorso interpretativo, cit., (2018). Quest’ultimo raccoglie interventi presi in un arco di tempo piuttosto lungo e quindi non ascrivibile al solo tornante del 2008.

  72. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 8.

  73. La biografia di Moro è pubblicata da Guido Formigoni nel medesimo anno in cui è pubblicata anche la sua Storia d’Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, Il Mulino, 2016.

  74. M. Dau, “Introduzione” a A. Moro, Governare per l’uomo, a cura di M. Dau, Roma, Castelvecchi, 2016, pp. 5-6.

  75. E. Galli della Loggia, Credere tradire vivere. Un viaggio negli anni della Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2016, p. 107, nota 11.

  76. Mi pare si evinca piuttosto chiaramente dalla rassegna di C. Giorgi, “Cultura cattolica ed elaborazione costituzionale”, in “Il cattolicesimo politico nella storia dell’Italia repubblicana: le interpretazioni degli storici”, «Mondo contemporaneo», n. 2-3, 2018, pp. 75-84.

  77. Cfr. P. Pisicchio, Pluralismo e personalismo nella costituzione italiana. Il contributo di Aldo Moro, Cacucci, Bari, 2012. La novità rispetto ai già citati lavori precedenti è nel saggio introduttivo “Pluralismo e personalismo nella costituzione italiana”, pp. 41-67.

  78. M.S. Piretti, “Le masse, parte attiva della Repubblica”, in Aldo Moro. Un percorso interpretativo, cit., pp. 183-193 (la citazione è a p. 190).

  79. Cfr. U. De Siervo, “Un moderno Stato costituzionale”, in Aldo Moro. Un percorso interpretativo, cit., pp. 221-225.

  80. M. Salvati, “Moro e la nascita della democrazia repubblicana”, Una vita, un paese, cit., p. 33.

  81. Ci si riferisce ovviamente alla già citata intervista edita all’indomani della morte del politico pugliese di Alfonso Alfonsi allo storico di origine tedesca George Mosse, “L’opera di Aldo Moro nella crisi della democrazia parlamentare in Occidente”, cit. e alla sua riedizione del 2015.

  82. Cfr. G. Tognon, “Il Moro di Pietro Scoppola. Storia di una lucida meditazione”, in Democrazia, impegno civile, cultura religiosa, a cura di C. Brezzi e U. Gentiloni Silveri, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 259-279. Sulla rilevanza della personalità di Moro negli studi di Scoppola (paragonabile solamente a quella di Alcide De Gasperi) si veda soprattutto la ricostruzione di Agostino Giovagnoli, Chiesa e democrazia. La lezione di Pietro Scoppola, Bologna, Il Mulino, 2011.

  83. M. Salvati, “Moro e la nascita della democrazia repubblicana”, cit., pp. 53-55.

  84. In una lettera inviata a Renzo De Felice, Mosse scriveva: «Sometime ago the Aldo Moro Foundation asked to make an interview with me to be used as an intoduction to Aldo Moro’s works which they intend to publish. I was not very enthusiastic, but finally agreed after having made clear my opposition to popular fronts, compromesso storico etc. […]. My fear is that I might be destorted into supporting alliances with the Communists or made to appear supporting popular fronts or even negotiations with terrorists in which I do not all believe». La lettera non è datata puntualmente ma si ritiene sia stata scritta tra l’autunno del 1978 e l’inverno 1979. Cfr. “Carteggio George L. Mosse – Renzo De Felice, a cura di D. Aramini e G.M. Ceci, «Mondo contemporaneo», n. 3, 2007, p. 93.

  85. Renato Moro ha scritto in merito: «ricordo personalmente i commenti ironici sul solito, impreparato e dilettantesco intellettuale americano che non poteva capire la politica e la storia italiana (e tantomeno le complesse alchimie della tradizione cattolico-democratica o quella del “compromesso storico”), e che finiva così per perdersi in inutili generalizzazioni»; cfr. R. Moro, “Introduzione” a Una vita, un paese, cit., p. 17.

  86. Su Moro cfr. soprattutto il saggio “Partito e società nel pensiero di Aldo Moro” apparso prima nel 1981 sulla rivista della Lega democratica «Appunti di cultura e politica» e poi confluito in F. Traniello, Da Gioberti a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 235-243.

  87. Sulla complessiva ricezione della storiografia mossiana in Italia si rimanda al volume di D. Aramini, George L. Mosse, l’Italia e gli storici, Milano, Franco Angeli, 2010. In merito all’intervista su Moro si vedano le pp. 63-66.

  88. R. Moro, “Aldo Moro nelle storie d’Italia”, cit., pp. 68-69.

  89. R. Moro, “Prefazione” a G.L. Mosse, Intervista su Aldo Moro, cit., p. XVII.

  90. Cfr. P. Acanfora, “Aldo Moro «politico dossettiano». Problemi storiografici e percorsi di ricerca”, in Aldo Moro nella storia dell’Italia repubblicana, cit., pp. 81-104 o anche Id., Un nuovo umanesimo cristiano, cit. Le sollecitazioni mossiane emergono, ad esempio, anche nell’analisi della “strategia dell’attenzione” che Moro elabora verso il partito comunista; cfr. G.M. Ceci, Moro e il PCI. La strategia dell’attenzione e il dibattito politico italiano (1967-1969), Roma, Carocci, 2013.

  91. R. Moro, “Introduzione” a Una vita, un paese, cit., p. 18.

  92. Ivi, pp. 19-20.

  93. Ivi, p. 20.

  94. Cfr. D. Aramini, “«Un innovatore del contesto politico»: Aldo Moro nel pensiero di uno dei più grandi storici del XX secolo”, in Una vita, un paese, cit., pp. 271-290.

  95. Cfr. M. Salvati, “Moro e la nascita della democrazia repubblicana”, cit., pp. 33-55; P. Acanfora, “Le due patrie”, cit., pp. 177-199; G.M. Ceci, “«Moro apre ai comunisti»? Aldo Moro, la Dc e il Pci (196-1969)”, pp. 363-384; G. Panvini, “L’immagine di Aldo Moro nell’estrema destra (1960-1978)”, pp. 779-800.

  96. La rivista «Mondo contemporaneo» ha dedicato ad essa un focus ad hoc con interventi di Paolo Acanfora, “George L. Mosse e la società di massa della seconda metà del Novecento”; Piero Craveri, “Società e verità nel pensiero politico di Aldo Moro”; Richard Drake, “Aldo Moro, l’Italia e l’impero americano”; Philippe Foro, “Une belle analyse d’hisotire immédiate”; Maria Salvati, “Uno sguardo comparato sul sistema politico italiano”; cfr. George L. Mosse, “Intervista su Aldo Moro”, «Mondo contemporaneo», n. 1, 2016, pp. 135-164.

  97. Cfr. le dispense predisposte da Moro per il corso di Filosofia del diritto dell’Università di Bari del 1942-43; A. Moro, Lo Stato. Corso di lezioni di Filosofia del diritto tenute presso l’Università di Bari dell’anno accademico 1942-43, raccolte a cura e per uso degli studenti, Padova, Cedam, 1943. Specifica Guido Formigoni che le dispense erano «formalmente apparse “a cura degli studenti”, come era consueto, ma con una precisione e un ordine che fa pensare alla presenza sicura della mano dello stesso docente»; cfr. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 46. Le dispense sono state poi riedite ed integrate per l’a.a. 1946-47 e nel 1978 per l’editore Cacucci di Bari.

  98. M. Salvati, “Moro e la nascita della democrazia repubblicana”, cit., p. 39.

  99. Sulla concezione del partito – ma anche sulla prassi di gestione di questo – si vedano oltre al classico lavoro di F. Traniello, “Partito e società nel pensiero di Aldo Moro”, cit., i lavori di Paolo Pombeni ed in particolare il recente saggio “Moro e il partito”, in Aldo Moro nella storia della Repubblica, cit., pp. 59-79. Nel saggio Pombeni sottolinea l’importanza, per questi aspetti, della formazione di Moro, il quale «era stato formato come dirigente dell’associazionismo cattolico delle élite laiche, il che significa che si portava dietro la mentalità di chi deve “tenere insieme” la sua compagine» (p. 59). Le interpretazioni sulla peculiare capacità di mediazione di Moro ha influenzato anche la lettura relativa alla tipologia di leadership, significativamente definita “federatrice”; cfr. M. Marchi, “Aldo Moro segretario della Democrazia cristiana. Una leadership politica in azione (1959-1964)”, in Aldo Moro nella storia repubblicana, cit., pp. 105-136. Per una veloce rassegna storiografica del Moro “uomo di partito” cfr. F. Malgeri, “Aldo Moro nelle storie della Democrazia cristiana”, in Aldo Moro nella storia repubblicana, cit., pp. 71-80.

  100. Sarebbe sterminata la letteratura storiografica su queste tematiche. Certamente anche le letture più tipiche, come la classica rappresentazione del “Giolitti cattolico”, sottolineavano la funzione di mediazione, di tessitura e cucitura tra le parti politiche svolta da Moro in chiave di alleanza e di governo, per quanto in un’ottica neo-trasformistica e conservatrice. Si veda su questo la ricca ed articolata analisi di R. Moro, “Aldo Moro nelle storie d’Italia”, cit. Un esempio di questa paziente tessitura con riferimento al mondo cattolico è in A. D’Angelo, Moro, i vescovi e l’apertura a sinistra, Roma, Studium, 2010 e M. Marchi, “Moro, la Chiesa e l’apertura a sinistra. La ‘politica ecclesiastica’ di un leader post-dossettiano”, «Ricerche di storia politica», n. 2, 2006, pp. 147-180. Quanto alla prassi di governo e all’esistenza di un peculiare “metodo” moroteo si veda il saggio, con molti spunti di interesse, di G. Melis, “Moro e la prassi di governo”, in Aldo Moro nella storia della Repubblica, cit., pp.153-174.

  101. Sui rapporti con l’opposizione comunista – senza dubbio magna pars in riferimento al dialogo con l’opposizione – si rimanda all’analisi storiografica di P. Acanfora, “Il dialogo tra democristiani e comunisti”, “Il cattolicesimo politico nella storia dell’Italia repubblicana: le interpretazioni degli storici”, cit., pp. 179-192. Il ruolo di Moro nel dialogo con il Pci fu, com’è noto, decisivo in diverse stagioni della vita politica italiana ed ebbe soprattutto nella cosiddetta “strategia dell’attenzione” e poi nella tesi degli “equilibri più avanzati” o della “terza fase” le espressioni più sistematiche e strutturate. Si veda per la prima G.M. Ceci, Moro e il PCI, cit. e per la seconda A. Giovagnoli, “Moro e la crisi degli anni Settanta”, in Una vita, un paese, cit., pp. 97-104. Per entrambe si rimanda poi alle analisi proposte da Formigoni nella sua biografia Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., soprattutto pp. 229-243 e 283-336.

  102. M. Salvati, “Moro e la nascita della democrazia repubblicana”, cit., p. 41.

  103. La gran parte della storiografia dedicata a Dossetti ha sottolineato l’emergere della sua leadership proprio nei lavori costituenti. Si veda, a titolo esemplificativo, P. Pombeni, Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana, cit., soprattutto pp. 223-306.

  104. A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 61.

  105. Nel discorso del 22 febbraio 1986 per il conferimento dell’Archiginnasio d’oro a Bologna, disse: «Mi soccorse, quasi tutti i giorni, la collaborazione costruttiva con l’intelligenza acuta e pensosa di Aldo Moro»; citato in G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 74. Si veda anche C. Guerzoni, Aldo Moro, Palermo, Sellerio, 2008, p. 49.

  106. Ha scritto De Siervo che Moro e Dossetti avevano il ruolo di «interpreti ufficiali del partito e del gruppo, mentre Tupini [era] parzialmente limitato dalla carica di presidente [della I sottocommissione] che ricopr[iva] e La Pira svolge[va] il ruolo di espositore delle linee ideologiche di fondo». Cfr. U. De Siervo, “Il contributo alla Costituente”, cit. p. 103, n. 64.

  107. M. Salvati, “Moro e la nascita della democrazia repubblicana”, cit., p. 42.

  108. Ivi, p. 43.

  109. Ivi, pp. 45-51.

  110. A. Giovagnoli, “L’ispirazione cristiana della politica in Aldo Moro”, in Aldo Moro nella storia della Repubblica, cit., pp. 176-178.

  111. Cfr. M. Mastrogregori, Moro, cit., pp. 65-70.

  112. Cfr. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., pp. 73-83.

  113. Ivi, p. 73.

  114. Ivi, pp. 75-76.

  115. Ivi, p. 77.

  116. Ivi, p. 79.

  117. Anche su questo singolare punto, il saggio di Ugo De Siervo è stato pionieristico; cfr. U. De Siervo, “Il contributo di Aldo Moro alla formazione della Costituzione repubblicana”, cit., p. 207.

  118. R. Moro, “Aldo Moro”, cit.

  119. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., pp. 73-74.

  120. Ivi, pp. 82-83.

  121. Ivi, p. 87.

  122. Per un’analisi rimando a P. Acanfora, “Aldo Moro «politico dossettiano». Problemi storiografici e percorsi di ricerca”, in Aldo Moro nella storia dell’Italia repubblicana, cit., pp. 81-104.

  123. Così, ad esempio, Nicola Antonetti, “La cultura politica e istituzionale di Aldo Moro negli anni della Costituente”, cit., p. 101.

  124. Cfr. L. Elia, “Introduzione” a A. Moro, Scritti e discorsi, vol. I, cit., p. XXVI.

  125. Cfr. G. Galloni, 30 anni con Moro, Roma, Editori Riuniti, 2008, pp. 35-36.

  126. N. Antonetti, “La Democrazia cristiana negli anni di De Gasperi”, in Storia del movimento cattolico in Italia, vol. V. L’età di De Gasperi, a cura di F. Malgeri, Roma, Il Poligono, 1981, p. 241.

  127. A. Giovagnoli, La cultura democristiana, cit., p. 206.

  128. Ivi, p. 208.

  129. Cfr. la voce “Aldo Moro” scritta da P. Craveri per il Dizionario biografico degli italiani (DBI): https://www.treccani.it/enciclopedia/aldo-moro_(Dizionario-Biografico)/

  130. Cfr. A. Melloni, “L’utopia come utopia”, in G. Dossetti, La ricerca costituente, 1945-1952, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 32. Melloni ha scritto di una «prioritaria e previa sintonia spirituale» tra Dossetti, La Pira, Lazzati e Moro.

  131. A. Giovagnoli, La cultura democristiana, cit., p. 96. Su queste tematiche cfr. anche Id., Le premesse della Ricostruzione, cit.

  132. F. Malgeri, “Moro democristiano: dalla nascita del partito al consiglio nazionale di Vallombrosa”, in Aldo Moro nell’Italia contemporanea, a cura di F. Perfetti, A. Ungari, D. Caviglia, D. De Luca, Firenze, Le Lettere, 2011, p. 53.

  133. F. Malgeri, “Moro e il centrismo”, in Una vita, un Paese, cit., p. 58.

  134. F. Malgeri, “Aldo Moro nelle storie della Democrazia cristiana”, in Aldo Moro nella storia repubblicana, cit., p. 75.

  135. A. Giovagnoli, “Aldo Moro: un democristiano atipico”, in “Moro e la lunga crisi del sistema politico italiano”, a cura di M.S. Piretti, «Contemporanea», 1, 2008, p. 95.

  136. P. Craveri, “Aldo Moro” (DBI), cit.

  137. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 83.

  138. M. Glisenti, “Avvertenza per una storia da scrivere”, in «Cronache Sociali», 1947-1951, a cura di M. Glisenti e L. Elia, Roma, Landi, 1961, vol. I, p. 9.

  139. G. Miccoli, “L’esperienza politica (1943-1951)”, in Giuseppe Dossetti. Prime prospettive e ipotesi di ricerca, a cura di G. Alberigo, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 18.

  140. P. Pombeni, Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana, cit., p. 391.

  141. Ivi, p. 225, n. 10.

  142. Cfr. P. Acanfora, “Aldo Moro «politico dossettiano»”, cit., p. 89.

  143. Ivi, pp. 89-101.

  144. Luigi Gui ha utilizzato questa espressione in “Moro due anni dopo”, supplemento all’agenzia diretta da Corrado Belci «Il Confronto», del 7 maggio 1980.

  145. P. Scoppola, “Aldo Moro nella tradizione democratico cristiana, in Aldo Moro. Il cristiano, l’intellettuale, il politico, Roma, Ave, 1987, pp. 33-34.

  146. Sulla «soluzione centrista di De Gasperi» cfr. F. Malgeri, “Moro e il centrismo”, cit., p. 60. Circa alcune considerazione sul metodo di governo degasperiano cfr. P. Acanfora, “Aldo Moro «politico dossettiano»”, cit., pp. 101-104.

  147. L. Elia, “Introduzione” a A. Moro, Scritti e discorsi, vol. I, cit., p. XXVI.

  148. A sostegno dell’importanza assegnata al tema, è questo il titolo di un intero paragrafo; cfr. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., pp. 83-97.

  149. Ivi, pp. 83-84.

  150. P. Pombeni, “Moro e il partito”, cit., p. 60.

  151. P. Pombeni, Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano, cit., p. 12.

  152. P. Pombeni, “Moro e il partito”, cit., p. 60.

  153. Sugli incontri di Rossena, un’analisi ricca fondata sugli appunti dei presenti è in cfr. E. Galavotti, “Cronache da Rossena. Le riunioni di scioglimento della corrente dossettiana nei resoconti dei partecipanti (agosto-settembre 1951)”, Cristianesimo nella Storia, 32, 2011, pp. 563-731.

  154. Cfr. G. Mantovani, Gli eredi di De Gasperi. Iniziativa democratica e i giovani al potere, Firenze, Le Monnier, 1976 e G. Tassani, La terza generazione. Da Dossetti a De Gasperi tra Stato e rivoluzione, Roma, Edizioni Lavoro, 1988.

  155. L’idea fu di Achille Ardigò. Cfr. E. Galavotti, “Cronache da Rossena”, cit., p. 585.

  156. Su Iniziativa democratica si veda F. Malgeri, “De Gasperi e l’età del centrismo”, in Storia della Democrazia cristiana, vol. II De Gasperi e l’età del Centrismo (1948-1954), Roma, Cinque Lune, 1987, pp. 134-140 e V. Capperucci, Il partito dei cattolici. Dall’Italia degasperiana alle correnti democristiane, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 508-530.

  157. P. Craveri, De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 588.

  158. Si veda quanto il politico aretino scrive il 30 settembre 1951 in A. Fanfani, Diari, vol. II, 1949-1955, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011, p. 244.

  159. L. Dal Falco, Diario politico di un democristiano, a cura di F. Malgeri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, p. 97.

  160. Cfr. A. Fanfani, Diari, cit., p. 245 (8 ottobre 1951).

  161. Ivi, pp. 299 e 301 (11 e 18 luglio 1952).

  162. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 97.

  163. A colloquio con Dossetti e Lazzati, cit., pp. 92-93.

  164. Cfr. E. Galavotti, “Cronache da Rossena”, cit., pp. 566-567, n. 10.

  165. Cfr. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 403, n. 141. Formigoni ipotizza che «Dossetti si riferisse in generale ai contatti avvenuti nel periodo di Rossena».

  166. Ivi, p. 97.

  167. P.E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 251.

  168. Cfr. A. Moro, “Scuola ai margini”, Iniziativa democratica, 20 gennaio 1952.

  169. Cfr. G. Tassani, La terza generazione, cit., pp. 57-58 e G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 97.

  170. Cfr. G. Galloni, 30 anni con Moro, cit., p. 45.

  171. Così, ad esempio, Corrado Corghi, Guardare alto e lontano. La mia Democrazia cristiana, Reggio Emilia, Consulta, 2014, p. 242 e Giovanni Galloni, Antologia di Iniziativa democratica, Roma, Ebe, 1973, p. 36.

  172. F. Malgeri, “Moro democristiano”, cit., p. 55.

  173. Cfr. G. Galloni, 30 anni con Moro, cit., p. 47.

  174. C. Corghi, Guardare alto e lontano, cit., p. 243.

  175. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 98.

  176. P.E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, cit., p. 252.

  177. Ivi, pp. 252-253.

  178. F. Malgeri, “Moro e il centrismo”, cit., p. 57.

  179. Cfr. G. Tarli Barbieri, “Moro, ministro di Grazie e giustizia”, in Aldo Moro nella storia repubblicana, cit., pp. 95-117.

  180. Cfr. D. Gabusi, “Aldo Moro ministro della Pubblica Istruzione. Tra ideali educativi e interventi di governo della scuola”, in Aldo Moro nella storia repubblicana, cit., pp. 119-136.

  181. Cfr. F. Malgeri, “Moro democristiano”, cit., pp. 53-55; M. Mastrogregori, Moro, cit., pp. 77-78.

  182. A colloquio con Dossetti e Lazzati, cit., p. 85.

  183. Non a caso nell’intervista Dossetti richiama, in questa emarginazione di Moro, il ruolo di Giulio Andreotti e la sua influenza su De Gasperi.

  184. Cfr. P.E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, cit., p. 139.

  185. A colloquio con Dossetti e Lazzati, cit., pp. 83-84. Nell’intervista Scoppola afferma che De Gasperi «se la legò al dito». Di un De Gasperi «letteralmente infuriato» scrive Aniello Coppola, riprendendo quanto riportò Giovanni Di Capua in un suo testo sull’adesione italiana al patto atlantico; cfr. A. Coppola, Moro, cit., p. 17.

  186. Il lavoro più rigoroso e completo sul tema è quello di G. Formigoni, La Democrazia cristiana e l’alleanza occidentale (1943-1953), Bologna, Il Mulino, 1996.

  187. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 90.

  188. Cfr. P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 359.

  189. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 88.

  190. A. Fanfani, Diari, cit., 158.

  191. Su questa stagione dossettiana cfr. G. Formigoni, “Dossetti vicesegretario della DC (1950-1951). Tra riforma del partito e nuova statualità”, in La «memoria pericolosa» di Giuseppe Dossetti, Trento, Il Margine, 1997, pp. 38-59.

  192. G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, cit., p. 92.

  193. Formigoni ha recentemente rappresentato il periodo tra il 1947 e il 1949 come una «duplice fase costituente», caratterizzata dalla definizione degli assetti istituzionali e politici interni e dalla cristallizzazione della Guerra fredda sul piano globale; cfr. G. Formigoni, Storia d’Italia nella guerra fredda, cit., pp. 87-155. In questa direzione mi pare vada intesa la tesi espressa da Federico Romero che definisce l’entrata dell’Italia nel patto atlantico «un fattore di identità nazionale» e quindi «il coronamento del processo di fondazione della Repubblica»; cfr. F. Romero, “Gli Stati Uniti in Italia: il Piano Marshall e il Patto Atlantico”, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. I. La costruzione della democrazia, Torino, Einaudi, 1994, pp. 273-274.

  194. Cfr. P. Acanfora, “Aldo Moro politico dossettiano”, cit., p. 101.

  195. Cfr. il telegramma dell’ambasciatore a Londra, Gallarati Scotti, al ministro degli Esteri, Sforza, del 6 agosto 1949 in I documenti diplomatici italiani. Undicesima serie 1948-1953, volume III, doc. n. 98, pp. 117-118.

  196. Archivio centrale dello Stato, Presidenza del consiglio dei ministri, Segreteria particolare De Gasperi, b. 24, fasc. 151, “Radio audizioni italiane”, probabilmente databile tra l’ottobre del 1947 e il gennaio del 1948.

  197. C’è naturalmente una letteratura non priva di interesse sulla dialettica locale-nazionale nella storia della Democrazia cristiana – non di rado focalizzata sul piano delle correnti interne al partito – ma il terreno resta ancora largamente inesplorato. Per una valutazione bibliografica si veda T. Baris, “Partiti, correnti radicamento territoriale” in “Il cattolicesimo politico nella storia dell’Italia repubblicana: le interpretazioni degli storici”, Mondo contemporaneo, n. 2-3, 2018, pp. 193-205.

  198. A. Moro, Al di là della politica e altri scritti. «Studium» 1942-1952, a cura di G. Campanini, Roma, Studium, 1982.

  199. Cfr. A. Moro, Scritti e discorsi, vol. I, 1940-1947, a cura di G. Rossini, Roma, Edizione Cinque Lune, 1982 e Id., Scritti e discorsi, vol. II, 1951-1963, a cura di G. Rossini, Roma, Edizione Cinque Lune, 1982.

  200. A. Loiodice, P. Pisicchio, Moro e la Costituente. Principi e libertà, Napoli, Edizione Scientifiche Italiane, 1984.

  201. A. Moro, Discorsi parlamentari, a cura di E. Lamaro, vol. I (1947-1963), Roma, Camera dei deputati, 1996.

  202. A. Moro, Al di là della politica e altri scritti.