Nel biennio 1946/47 i molti scritti di Aldo Moro relativi alla progettazione costituzionale e le stesse verbalizzazioni dei suoi numerosissimi interventi negli Atti della Assemblea costituente [1] mettono in grande evidenza la preminente importanza che egli attribuiva alla elaborazione della Costituzione nei suoi primi anni di impegno politico.
Se già in precedenza erano apparsi alcuni suoi assai impegnativi giudizi sul rilevante valore storico della stagione costituente che stava per iniziare nel nostro paese[2], ora la sua attenzione ai confronti costituenti si fa assolutamente pervasiva e dominante rispetto a tutti gli altri temi, tanto da scrivere che si è entrati nella “nuova storia del nostro paese” [3]; successivamente, dinanzi al progetto di costituzione, afferma che i rappresentanti popolari stanno “per assumere una responsabilità storica”[4].
Inoltre, dopo l’approvazione della Costituzione, la sua attenzione ai problemi derivanti dalla attuazione costituzionale sarà costante e tale anche da distinguerlo rispetto ad altri costituenti democristiani meno impegnati di lui nella successiva stagione politica di frontale contrapposizione fra i partiti antifascisti, nella valorizzazione delle innovazioni costituzionali e nelle varie politiche di attuazione costituzionale[5].
Né il suo impegno si limitava ai numerosi ed impegnativi interventi alla Costituente, ai molti scritti su “Studium” ed alla ventina di articoli apparsi su diversi giornali e riviste nel periodo di lavoro della assemblea costituente [6], ma la perdurante direzione fino al 1949 della rivista (quindi anche molto dopo le sue dimissioni nel giugno 1946 dalla Segreteria del Movimento laureati di Azione cattolica a causa del suo personale impegno alla Costituente), denota che Moro consapevolmente continua a dirigere e mantiene la responsabilità di una pubblicazione mensile particolarmente impegnata nei tentativi di edificare una nuova e moderna democrazia, specie alla luce dell’umanesimo cristiano [7]. Su questa rivista scrive costantemente in ogni numero pezzi firmati e non firmati, ma sicuramente da attribuirgli [8]: anzi, al di là dei suoi tanti scritti, in questo periodo egli sembra utilizzare anche altre parti della rivista per mettere in rilievo informazioni e valutazioni su aspetti dei confronti costituenti che evidentemente gli interessava di mettere in particolare evidenza : si pensi, solo per accennare ad alcuni esempi, nel 1945 all’articolo di Cassano (che era vice- Presidente del Movimento dei Laureati) sul rapporto fra Chiesa e democrazia[9] e alla equilibrata cronaca dello svolgimento della Settimana sociale di Firenze [10], malgrado che non fossero mancate valutazioni perplesse o critiche su almeno alcuni relatori da parte di autorevoli ambienti ecclesiastici; ma si veda anche la pubblicazione nel 1947 su “Studium” di alcuni importanti contributi di La Pira e di Mortati, molto positivamente presentati [11]; ciò mentre, invece, la rivista sembra ignorare nel periodo preparatorio della Costituente la pur tanto propagandata relazione di Guido Gonella al Congresso DC del 1946, così come lo era stata la precedente progettazione costituzionale di Umberto Tupini[12].
Al tempo stesso, la sollecita pubblicazione (è datata marzo 1947) da parte della omonima casa editrice del progetto di Costituzione appena approvato dalla “Commissione dei 75” e della relazione illustrativa di Ruini, nonché delle proposte elaborate da dieci costituenti democristiani all’inizio dei lavori nelle tre Sottocommissioni [13], appare rivelatrice di una valutazione decisamente positiva della stagione costituente in corso (d’altronde ciò era esplicito nei molti scritti di Moro in questa occasione ed in particolare nell’apposito editoriale su “Il popolo” del 5 marzo 1947 [14]), mentre non erano certo mancate critiche e riserve sul progetto in importanti sedi ecclesiali [15]; ciò oltre al fatto significativo che la “avvertenza” iniziale del volumetto sembra risentire molto del linguaggio e delle opinioni espresse in quel periodo da Moro sulla natura e sul valore della Costituzione in formazione [16].
Ma anche il dibattito successivo nella Assemblea plenaria, malgrado tutti i vivaci confronti ed anche i numerosi conflitti che emersero, viene complessivamente valutato in termini positivi da brevi commenti della rivista [17].
Inoltre occorre considerare che i risultati elettorali avevano segnato, attraverso la composizione del gruppo democristiano alla Costituente largamente rinnovata rispetto alla precedente esperienza del PPI, un mutamento molto profondo, con una prevalente immissione di nuove personalità (molte delle quali giovani) provenienti da esperienze diverse: molto significativo appare, ad esempio, che quasi tutti i costituenti democristiani incaricati di redigere proposte per la “Commissione dei 75” appartengano a questo tipo di classe politica, mentre gli ex popolari non riescono ad elaborare e ad imporre proprie proposte distintive [18].
In questo rinnovato contesto, il notevole valore riconosciuto al pur giovanissimo Aldo Moro è confermato dal suo intenso attivismo nei lavori costituenti e nelle attività del gruppo DC, nonché dalle rilevanti responsabilità che assume immediatamente al suo interno e che si accrescono molto rapidamente: eletto componente del Direttivo del gruppo DC fin dall’inizio dei lavori (e poi successivamente sempre confermato), nel marzo 1947, al termine dei lavori nella “Commissione dei 75”, è lui che illustra in un apposito editoriale su “Il popolo” il “notevolissimo ed organico contributo” dato dal gruppo costituente democristiano al progetto di costituzione che era stato appena adottato [19]; inoltre proprio in quei giorni viene nominato segretario del Comitato di coordinamento del gruppo DC “per la discussione sul progetto di Costituzione” [20], che stava per iniziare nel plenum della Assemblea costituente, e nel luglio seguente, alla vigilia dei grandi dibattiti finali, viene eletto vice-presidente del gruppo (Gronchi continuava ad esserne il Presidente)[21]. In parallelo nelle verbalizzazioni appare sempre più come il rappresentante del gruppo democristiano.
Ciò mentre sul versante delle attività nella Assemblea costituente Moro è subito designato a far parte della cosiddetta “Commissione dei 75”[22], incaricata della predisposizione del progetto di Costituzione, ed è componente in quest’ambito della prima Sottocommissione (competente in tema di principi generali della costituzione e di diritti fondamentali della persona); in particolare è uno dei due relatori in questa sede delle proposte in tema di istruzione e cultura; fa inoltre parte di tutti i vari importanti organi di coordinamento che vengono progressivamente formati alla Costituente per giungere al testo definitivo della Costituzione [23], impegnandovisi molto intensamente e svolgendovi sempre un ruolo molto rappresentativo sui più diversi temi del dibattito. Inoltre interviene per i democristiani nel dibattito generale sul progetto di Costituzione relativamente ai principi costituzionali fondamentali.
D’altra parte, fin dall’inizio dei lavori costituenti Aldo Moro si caratterizza (e tale viene riconosciuto dagli altri protagonisti di queste vicende ) come un costituente autorevole e capace di una visione complessiva e sistematica dei temi da affrontare, come immediatamente denotano anche alcune note vicende: fa parte del gruppetto di tre costituenti che all’inizio dei lavori della prima Sottocommissione viene incaricato di proporre un quadro sistematico delle materie da affrontare [24]; nella collaborazione informale con Meuccio Ruini, Presidente della “Commissione dei 75”, è lui che suggerisce un disegno complessivo di trattazione nel testo costituzionale di tutte le diverse materie[25]; pur relatore in un altro settore, è chiamato ad integrare i due relatori (Iotti[26] e Corsanego[27]) per la redazione di alcuni articoli in tema di famiglia [28], al termine dei lavori nella “Commissione dei 75” sono Togliatti[29] e Moro che ringraziano Ruini per l’attività da lui svolta come Presidente [30].
In un mio scritto ormai risalente nel tempo (ma che tuttora condivido ed a cui rinvio in generale), ho avuto occasione di segnalare l’erroneità dell’ approccio di non pochi dei primi commentatori nella valutazione del giovane Aldo Moro come di un provinciale e marginale esponente del mondo cattolico meridionale[31], allorché erano invece facilmente rilevabili svariati elementi che ne mettevano in rilievo l’ apprezzabile qualità culturale, il buon livello degli studi accademici e pure l’immediato riconoscimento a lui di un ruolo significativo, se non anche il possesso delle qualità di piena affidabilità in genere richieste ai massimi quadri dirigenti delle organizzazioni intellettuali dell’Azione cattolica.
Molti e convincenti sono stati gli scritti successivi di tanti autori [32] che hanno largamente confermato la buona qualità culturale e politica del giovane Moro, pur ovviamente diversa da quella di altri costituenti, fornendo anche alcune nuove importanti documentazioni in materia, tanto da rinviare necessariamente ad essi ogni eventuale nuovo approfondimento su profili del genere. Semmai, in riferimento ad alcuni perduranti intenti svalutativi relativi alla asserita totale mancanza di autonomia decisionale politica dei dirigenti laici dell’Azione cattolica [33], forse è opportuno ricordare che, al contrario, nella stessa Azione cattolica degli anni quaranta si è a lungo discusso sulle modalità dell’impegno in politica, coinvolgendo anche i dirigenti più o meno giovani delle varie articolazioni organizzative, ivi compreso lo stesso Aldo Moro, come risulta pure dalla documentazione già da tempo resa nota [34]. Questa stessa attiva partecipazione di Moro alle complesse scelte a livello nazionale sui rapporti fra AC e Dc in occasione delle elezioni per la Costituente dovrebbe contribuire anche a ridurre i ricorrenti dubbi relativi al suo impegno nelle liste democristiane per la Costituente, malgrado gli indubbi problemi creati dalla necessità della collaborazione (non sempre facile) dei nuovi e più giovani esponenti delle organizzazioni di AC con i quadri politici locali legati alla tradizione del Partito popolare [35].
Semmai appare molto significativo che Moro, sia in questa fase, che poi durante tutta l’attività costituente, si qualifichi sempre come esponente del mondo cattolico organizzato, operante per rappresentare a livello istituzionale le sensibilità e le migliori tradizioni di una fondamentale componente della società italiana, in precedenza spesso sottovalutata, se non addirittura emarginata, nella progettazione ed animazione dell’ordinamento rappresentativo e di governo. Durante i lavori costituenti si riferisce invece spesso anche ai democristiani, che avrebbero difeso “i supremi interessi religiosi e morali del popolo italiano, interpreti fedeli del mandato ricevuto da otto milioni di cattolici militanti” [36] .
Vi è poi il problema, finora non molto chiarito, della ampiezza delle aree di attenzione di questo costituente, certamente sensibilissimo verso tematiche istituzionali di tipo generale (d’altra parte naturali in un giovane docente originariamente dedito alla filosofia del diritto), ma in apparenza meno attento verso confronti istituzionali relativi all’assetto costituzionale dei poteri. Ma proprio qui una considerazione dei tanti scritti ed attività di Moro nel 1946/7, ora largamente agevolata da questa stessa edizione nazionale, nonché delle molte iniziative da lui assunte fin dal 1939 in rapporto con la dirigenza dei movimenti intellettuali dell’AC [37], sempre più impegnati a rappresentare realisticamente anche i problemi dei moderni Stati democratici, permette di notare come sia emersa in modo molto rapido una sua attenzione anche verso questo tipo di problemi [38].
Si è messo in luce che Moro, ancora ventunenne studente universitario, commenta (in modo molto positivo) la nuova Costituzione irlandese [39] e che quindi già nel 1937 afferma che individuo e Stato devono necessariamente convivere e rispettarsi [40], ma vicende del genere appaiono semplicemente rivelatrici dell’esistenza di una precoce, se non acerba, impostazione culturale irriducibile al fascismo e favorevole invece all’esistenza di forme di Stato pluralista e rappresentativo di esigenze anche tra loro conflittuali. Però in quegli stessi anni – specie negli ambiti giuridici, da Moro ovviamente sempre più considerati in modo particolare - cominciano ad essere largamente diffuse informazioni ed opinioni dottrinali sulle vicende e trasformazioni istituzionali in corso (o quanto meno progettate) per la edificazione di moderni Stati democratici e sociali, in evidente contrapposizione ai modelli degli Stati totalitari o comunisti[41], se non per rispondere alla “letteratura della crisi” a cui spesso, ad esempio, in questo periodo si riferisce La Pira [42].
Soprattutto nel mondo romano aveva operato, seppur in modo ovviamente riservato, Alcide De Gasperi[43], attentissimo alle tante trasformazioni istituzionali che si erano manifestate in molti paesi europei per riformare e rafforzare le istituzioni democratiche, sfidate, oltre che dai totalitarismi, dalle tante trasformazioni conseguenti ai diversi processi di democratizzazione successivi alla prima guerra mondiale. Ciò emerge con chiarezza non solo da molti dei suoi scritti, ma anche dai primi documenti clandestini della DC, che pongono la riforma costituzionale come un contenuto programmatico del tutto fondamentale [44].
Al tempo stesso, le molteplici risposte delle organizzazioni del mondo cattolico ai radiomessaggi dei Pontefici producono anche una larga diffusione di stimoli ed informazioni relativamente alle trasformazioni in corso in molti Stati democratici, tramite la stesura di veri e propri commentari ai messaggi o anche iniziative programmatiche importanti come il cosiddetto Codice di Camaldoli [45]. Ciò mentre sorgono anche nel mondo cattolico veri e propri circoli di riflessione istituzionale, a cominciare dalla Francia, nel 1944 già impegnata in una importante stagione di dibattiti costituenti[46] e caratterizzata dagli stimoli di filosofi come Maritain e Mounier[47], e da quelli di giuristi come De Menthon, Mirkine Guetzévitc e Prélot[48], ma pure dal ricordo della difficile esperienza di governo di Leon Blum[49].
Tutto ciò spiega largamente il significato e l’ importanza della selezione fra i relatori laici alla Settimana sociale su “Costituzione e Costituente” (è documentata l’ attiva presenza di Aldo Moro nella sua preparazione, nonché nel suo svolgimento[50]) di vari accademici molto attenti alla modellistica dei moderni Stati democratici [51].
D’altra parte, nella nascente DC si era selezionato, specie per l’impegno di Dossetti (allora molto attivo vice-segretario della DC) e di Fanfani (al vertice della Spes), un vasto e significativo gruppo di accademici e di giuristi più o meno giovani [52], vari dei quali dediti anche a studi comparatistici[53]. Al tempo stesso, l’approccio comparatistico appare dominante nei vari contributi promossi ed elaborati dal Ministero per la Costituente.
Piuttosto appare significativo che, invece, fra i maggiori relatori ecclesiastici alla Settimana sociale prevalgano decisamente i sostenitori del primato di approcci teoretici e della preminenza della tutela degli “interessi cattolici” (Mons. Dalla Costa, Padre Messineo, Mons. Lanza[54]), tanto che in alcune delle loro relazioni non mancano neppure alcuni espliciti rilievi critici verso alcuni dei giuristi cattolici o di area democristiana che erano intervenuti su questi temi [55], forse ritenuti troppo impegnati nella valorizzazione del processo costituente, a prescindere dalle impostazioni culturali ed ideologiche, ed attenti agli stimoli derivanti dalla ricca modellistica comparata.
Fortunatamente non ci si rese conto che anche altri relatori si erano largamente ispirati al dibattito istituzionale che si era sviluppato a livello internazionale tra i vari specialisti, a prescindere da rigide impostazioni culturali od ideologiche [56].
Ma altrettanto significativa appare l’esplicita presa di posizione, durante la medesima Settimana sociale, di De Gasperi, che ammonisce che in un processo costituente come quello a cui ci si stava avviando, bisognava “fissare una pratica di convivenza civile che tiene conto delle opinioni altrui e che deve cercare una via di mezzo fra quelle che possono essere le aspirazioni di principio e le possibilità di azione”[57]. D’altra parte, nel novembre 1945 la DC nazionale designa proprio Costantino Mortati nella prima Sottocommissione “Problemi costituzionali” della seconda Commissione Forti [58], operante presso il Ministero per la Costituente, e nelle altre Sottocommissioni altri cinque esperti, fra cui Fanfani e Tosato[59], che erano stati fra i relatori della Settimana sociale più impegnati nella valorizzazione dell’importanza della ricerca di una rinnovata carta costituzionale di tipo democratico, caratterizzata da forti garanzie ma anche dall’ impegno per profonde riforme sociali[60]. D’altra parte già i primi documenti programmatici democristiani contenevano significative progettazioni istituzionali, chiaramente riferibili alle più recenti trasformazioni degli Stati democratici ed ai relativi dibattiti.
Malgrado questi sintomi evidenti di una forte attenzione verso una stagione costituente aperta al confronto con le recenti esperienze istituzionali europee, l’ambiente più espressivo dei vertici vaticani [61] sembra invece essere interessato anzitutto all’ ulteriore indurimento dei contenuti delle direttive dell’Azione cattolica italiana di fronte alla Costituente, che erano state adottate (fra non poche discussioni) al termine della Settimana sociale [62]. Così la “circolare Borghino”[63], che trasmette le “direttive” per la Costituente, mette in assoluta evidenza il primato di alcuni “interessi cattolici” ed il cosiddetto “esclusivismo clericale” e cioè la decisiva forza del mondo cattolico organizzato [64] .
Al tempo stesso, scende riservatamente in campo l’ambiente dei collaboratori de “La Civiltà cattolica”, che ritiene di doversi sostituire al sistema politico rappresentativo nella temuta ipotesi di una denunzia dei Patti Lateranensi e della conseguente necessità di ricercare nuove basi di relazione fra Stato e Chiesa: certo però le assai sommarie progettazioni costituzionali dei collaboratori di Padre Martegani[65] appaiono talmente discutibili ed espressive di visioni pre-moderne (ivi comprese le più diverse discriminazioni e perfino l’esclusione dalla carica di Presidente della Repubblica dei non cattolici) da meritare la loro subitanea e sostanzialmente clamorosa messa da parte ad opera di Mons. Dell’Acqua[66], esponente della Segreteria di Stato. Resterà peraltro anche successivamente la pretesa di alcuni ambienti vaticani di seguire con continuità lo sviluppo dei lavori costituenti sui più diversi temi, così costituendo una sorta di gruppo di pressione sui più attivi costituenti (specie democristiani), da Dossetti a La Pira, da De Gasperi a Tupini, da Moro a Piccioni.
Ciò non sembra però mutare il tono assai più aperto degli interventi di Moro su “Studium”, anzi culminante nell’editoriale “Di fronte alla Costituente” del marzo 1946[67], nel quale si motiva la necessità di ricercare l’intesa nei confronti costituzionali anche con coloro che hanno diverse impostazioni ideali, tramite “uno spirito di sopportazione, di pazienza e di rispetto”. Più in generale per Moro un “partito cristiano che non abbia un autentico spirito di amore, profonda comprensione, assoluta delicatezza, non può rendere alcun servizio né alla patria, né alla causa cristiana” [68].
Negli scritti di Moro di questo periodo appare anzitutto molto significativo che egli collochi l’opera della Costituente come un passaggio fondamentale, di eccezionale importanza, della storia recente del nostro paese: scrive, ad esempio, che “nei prossimi mesi gli italiani saranno posti dinnanzi ad una grande responsabilità, ad una possibilità unica della loro storia. Essi dovranno rifare lo Stato, ricostruire nelle sue linee essenziali la comunità nazionale”[69]. Ed ancora: il compito della Costituente “può dirsi, senza enfasi rettorica, storico” [70]
Il problema della rifondazione costituzionale gli appare, infatti, come un passaggio essenziale nella nostra moderna storia nazionale, necessitato dal fragile e modesto ordinamento statutario e comunque dal disfacimento del precedente regime istituzionale, nonché dall’assoluta necessità di individuare una tavola di valori e di regole adeguate ad una moderna democrazia in un paese come il nostro, unificatosi con grande ritardo rispetto a tanti Stati europei e senza essere stato coinvolto da significativi processi di riforma politica, sociale e di trasformazione culturale. Un paese che era ormai privo di un ordinamento costituzionale, invece del tutto indispensabile dinanzi alle vicende politiche successive alla fine della guerra, ed alle ulteriori grandi trasformazioni economiche e sociali che ne sarebbero derivate. A quest’opera sono chiamati -tra gli altri- i cristiani, che non debbono “pretendere naturalmente il monopolio della interiorità e della serietà morale, ma hanno da intraprendere arditamente questo cammino, sentendo compagni nella stessa trepidazione e nella stessa attesa tutti gli uomini di buona fede” [71].
Al tempo stesso, emerge la consapevolezza della necessità di conseguire, tramite un moderno assetto delle istituzioni democratiche, quello che Moro definisce come il “valore dello Stato” [72]: l’uso di una simile espressione “forte” per qualificare le profonde trasformazioni intervenute nella storia dei moderni Stati democratici è esplicitamente difeso “non solo con riguardo alla difesa efficace che in tal modo si può apprestare ad alcune fondamentali posizioni cristiane, ma per il valore che ha in se stesso lo Stato, per la straordinaria efficacia del vincolo di solidarietà che in esso e per esso si stabilisce, per le condizioni favorevoli che esso determina allo sviluppo di tutti i valori umani”[73]. Si noti che Moro argomenta la opportunità di un linguaggio del genere anche a causa della necessità storica, che impone di escludere uno “Stato debole, inconsistente, incolore” [74] per optare, invece, per “uno Stato forte e serio” : “il vincolo sociale in cui lo Stato si risolve e che costituisce la sua ragione di essere è, o può essere, cosa talmente importante, talmente decisiva per l’uomo, che i tipici mezzi della giustizia forte, quelli storicamente più efficaci, debbono essere adoperati con ogni impegno, perché sorga con l’immancabile aiuto di uno Stato forte e serio una società sana ed operosa”.
Sembra apparire in tutta evidenza una presa d’atto molto innovativa rispetto al dibattito precedente nel mondo cattolico: per l’esistenza e il funzionamento di un accettabile Stato democratico non è sufficiente solo un suo assetto garantista o pure un regime democratico caratterizzato dall’assenza di chiusi sistemi di potere o anche dall’esistenza di una modesta partecipazione popolare, poiché occorre invece un’intensa partecipazione popolare nelle diverse sedi istituzionali e la previsione di strumenti efficaci fra quelli tipici dello Stato di diritto per conseguire le ineludibili trasformazioni sociali che sono necessarie per la ricerca della giustizia. E’ sempre in “Valore dello Stato” che Moro scrive: “La preoccupazione cristiana di salvare la società nelle sue ricche e varie espressioni dal monopolio statale si salda intimamente con la difesa ed il potenziamento dello Stato. Vero è che non si difende la società, senza volere lo Stato e che operando con una larga, organica, storica visione per lo Stato si opera a servizio dell’uomo e della società tutta”.
Anche dopo la fine della stagione costituente ed in presenza della progettazione delle organizzazioni sovranazionali, Moro rimarrà convinto che lo Stato “è un formidabile strumento di elevazione morale e sociale”[75], al quale occorre fare necessariamente riferimento.
D’altra parte, già in vari scritti degli anni trenta[76] lo stesso Luigi Sturzo [77], che in precedenza aveva tanto criticato alcune tendenze acriticamente espansionistiche dei moderni Stati liberali, aveva riconosciuto che non pochi fra questi ultimi , malgrado errori più o meno gravi, erano però riusciti infine a conseguire diversi risultati positivi, rilevanti ed apprezzabili, nel miglioramento o superamento di molteplici e gravi problemi sociali [78].
Dopo l’esito delle votazioni, che registrano -come noto- un buon risultato elettorale per la D.C. e la sua elezione alla Costituente, Aldo Moro riprende immediatamente in vari scritti il tema che attraverso questo passaggio elettorale si è entrati in una nuova fase storica per il nostro paese, con evidenti grandi responsabilità per i nuovi protagonisti, fra cui in particolare i cattolici[79].
L’impegno di Moro nella Costituente passa per la sua immediata partecipazione alla “Commissione dei 75” incaricata di redigere il progetto della Costituzione, ed in particolare alla prima Sottocommissione, incaricata di formulare le proposte in tema di “diritti e doveri dei cittadini”: in quest’ultimo organo -come già accennato- contribuisce immediatamente alla prima articolazione dei temi da affrontare, relativi alle diverse libertà da tutelare. L’esito di questo impegno iniziale, molto faticoso ed analitico malgrado il previo lavoro già svolto dalla Commissione Forti, specie tramite la giustamente famosa relazione sui diritti pubblici subiettivi che Mortati aveva redatto in quella sede [80], suscita naturalmente vari dibattiti politici fra i componenti della Sottocommissione (fra cui la opportunità o meno di anteporre la disciplina delle libertà alla individuazione delle caratteristiche fondamentali dello Stato), ma contribuisce notevolmente a far entrare nel merito il confronto sulle situazioni soggettive da garantire; in quel contesto, ad esempio, si doveva ancora superare i dubbi di Basso e di Togliatti sulla eccessiva analiticità della disciplina costituzionale che ne sarebbe conseguita, con quindi una vasta espansione della materia costituzionale [81]. Già in quella occasione Moro esponeva, invece, la opposta tesi che le formulazioni costituzionali di principio avrebbero dovuto avere anche una funzione pedagogica, in quanto una costituzione deve avere anche valore di insegnamento per il popolo (affermazione ripetuta molte volte [82], fino all’adozione finale di un ordine del giorno relativo alla costituzione come oggetto di educazione civica[83]); al tempo stesso, diceva che “queste dichiarazioni di principio dovrebbero corrispondere all’orientamento antifascista che è comune a tutti i membri della Commissione” [84].
Emerge infatti in Moro una concezione non restrittiva della materia costituzionale (dirà di non essere “fra coloro che ritengono che la Costituzione debba essere molto sintetica” e di non credere che la Costituzione debba essere “scheletrica” [85]), in quanto essa dovrebbe corrispondere ai temi ed ai valori dominanti nella società: per usare sue espressioni, “la Costituzione racchiude le intuizioni e gli orientamenti dominanti di un popolo in relazione a tutti, si può dire, i valori umani, esprime un costume morale, indica le grandi certezze sulle quali è fondata quella convivenza che ha nella costituzione il suo fondamento” [86]; ed ancora: “La Costituzione nasce in un momento di agitazione e di emozione. Quando vi sono scontri di interessi e di intuizioni, nei momenti duri e tragici, nascono le Costituzioni, e portano di questa lotta dalla quale emergono il segno caratteristico” [87].
Pertanto Moro riconosce che le costituzioni presuppongono e incorporano anche alcuni valori ideali, la cui permanente sussistenza è quindi necessaria per la funzionalità e permanenza nel tempo delle costituzioni [88], con quindi anche la conseguente responsabilità di coloro che vi si riconoscono “di vivere (non di esibire) quegli orientamenti spirituali che devono dare il tono alla Costituzione”[89] .
Ciò perchè la costituzione deve essere necessariamente ideologica, peraltro intendendosi correttamente questa qualificazione: infatti ciò non vuol dire “che debba essere faziosa, ma semplicemente ricca di umanità, collegata al più nobile passato, capace di rispondere alle profonde ed insopprimibili esigenze dello spirito umano” [90]. Anzi, Moro attribuisce a merito della DC che sia stato respinta una sorta di neutralità ideale della costituzione, che invece “ non può non avere uno sfondo ideologico, non rispecchiare il carattere cristiano del popolo italiano” [91].
Tutto ciò evidentemente produce una Costituzione più lunga dei sommari testi costituzionali ottocenteschi e soprattutto rigida e cioè posta in una posizione di supremazia rispetto alla contingente volontà del legislatore ordinario, secondo quanto era già emerso -pur faticosamente- nel dibattito in sede di Commissione Forti e -prima ancora- alla Settimana sociale di Firenze. Ma anche una volta superata la tesi della flessibilità e quella della brevità della disciplina costituzionale, il problema continuerà a riapparire fino al confuso dibattito finale sulla Corte costituzionale ed i suoi poteri [92], che -non a caso- vedrà l’impegno di Moro fino all’ultimo termine dei lavori costituenti, con l’adozione a fine gennaio 1948, in regime di prorogatio della Costituente, della legge costituzionale n.1 del 1948 [93]; una ampia integrazione costituzionale che riuscì ad assicurare in modo adeguato le modalità di impugnativa delle leggi dinanzi alla Corte costituzionale e alcune fondamentali garanzie di indipendenza dei giudici costituzionali, così completando in buona parte il disegno costituzionale, che era rimasto pericolosamente incompleto.
La lunghezza della Costituzione è quindi in parte necessitata dai suoi valori di fondo e dalle funzioni che le sono attribuite: in particolare, se essa deve contribuire in modo sostanziale alla trasformazione politica e sociale del paese, come Moro afferma più volte in modo esplicito, fin dall’inizio dei lavori in Sottocommissione[94], essa deve di conseguenza affermare nuovi valori, enucleare nuovi principi, disciplinare nuovi istituti, garantendo anche la loro giuridica efficacia. Ciò è alla base di una delle più significative (e difficili) scelte di Moro nel dibattito costituente, allorché rifiuta motivatamente e contribuisce a far respingere i ricorrenti e diffusi tentativi di inserire parti dei nuovi principi in apposite premesse al di fuori della vera e propria Costituzione: non era certo popolare polemizzare contro l’ asserita espansione eccessiva della materia costituzionale [95] e lo stesso La Pira all’inizio aveva ipotizzato la stesura di un preambolo (seppure per evidenziare le premesse storiche della dichiarazione dei diritti). Di conseguenza i costituenti più legati alla preesistente tradizione giuridica (fra cui anche esponenti politici prestigiosi come Calamandrei) più volte avevano criticato l’inserimento di nuovi principi fondamentali e delle norme programmatiche nel testo costituzionale ed avevano proposto di toglierli dal vero e proprio testo costituzionale per inserirli in un apposito preambolo dalla incerta natura giuridica, con il rischio però di ridurne l’efficacia [96].
Al termine del faticoso confronto si giunse, invece, ad affermare soltanto che la “Costituzione dovrà essere più che possibile semplice e chiara”, dovendo contenere le sole “norme essenziali di rilevanza costituzionale e di supremazia su tutte le altre norme”, ma si lasciò alla discrezionalità della Commissione la eventuale scelta (in realtà mai concretizzatasi) di individuare “le affermazioni di principio che devono trovar posto nel preambolo della Costituzione”.
Moro richiama l’attenzione invece sull’ opportunità dell’effetto giuridico di “vincolare il legislatore …ad attenersi a questi criteri supremi che sono permanentemente validi. Ciò significa stabilire la superiorità della determinazione in sede di Costituzione di fronte alle effimere maggioranze parlamentari” [97].
Questi principi fondamentali, veri e propri caposaldi del nuovo patto costituzionale[98], vengono anzitutto individuati negli attuali tre primi articoli della Costituzione, che nella stesura del progetto erano stati tra loro distanziati, ma che proprio Moro nel suo intervento del 13 marzo 1947 chiede che siano posti uno dopo l’altro, in quanto “chiave di volta della nostra Costituzione, il criterio fondamentale di interpretazione di essa” (e questa proposta viene -come vedremo- ben presto condivisa).
Non si trattava di una scelta solo di tecnica giuridica, ma addirittura di una scelta che per Moro garantisce una piena efficacia alle massime scelte storiche operate: se “fare una Costituzione significa cristallizzare le idee dominanti di una civiltà, significa esprimere una formula di convivenza, significa fissare i principi orientatori di tutta la futura attività dello Stato” , appare palesemente inadeguato pensare che un preambolo sia sufficiente a contenere le norme che esprimono questi principi “superiori alla legge ordinaria ed inattingibili da essa” [99]. Ciò proprio perché questi principi devono aiutare a superare le nuove emergenze, se non le difficoltà, mentre “mi parrebbe, relegandole nel preambolo, di averle quasi fissate in quel punto, di averle esaurite nel passato, quasi non fossero questi i principi ai quali ispirarsi nella soluzione del nostro quotidiano problema, che non è finito, che non è risolto”[100].
Anzi, in questo importante intervento, in buona parte dialetticamente contrapposto alle convinzioni di un grande giurista come Piero Calamandrei[101], Moro appare interpretare davvero in termini innovativi la stessa concezione del moderno costituzionalismo democratico: non si può escludere dalla Costituzione tutto ciò che non possa consistere in “diritti concreti”, in “pretese nei confronti dello Stato” , rinviandolo ad un sintetico preambolo storico-politico, ma occorre invece inserire nel testo costituzionale, oltre che le nuove disposizioni in tema di garanzia dei diritti, anche le “mete da realizzare” per conseguire una piena democrazia in tema di libertà personale, di autonomia delle formazioni sociali, di democraticità e di socialità dello Stato pure nelle nuove situazioni che vengano producendosi.
Nel suo importante intervento del 13 marzo 1947 nel dibattito in Assemblea costituente Aldo Moro sviluppa pertanto alcune considerazioni fondamentali proprio in riferimento alla struttura della Costituzione repubblicana in relazione al rapporto fra i suoi valori fondamentali e la sua disciplina: egli non nega che si possa anche adottare un preambolo che evidenzi il contesto storico-politico da cui è sorta la Costituente, ma rifiuta la scelta di mettere in qualche misura da parte i principi fondamentali, “la chiave di volta della nostra costituzione”, allorché, invece, essi devono costituire “il criterio fondamentale di interpretazione di essa”, in riferimento ai quali va inteso “il valore delle norme relative ai diritti civili, ai diritti politici, ai diritti economici, ai diritti etico-sociali”. In questa prospettiva “parlare di preambolo … mi sembra veramente ancora molto poco”.
Ed ancora: “quale diritto più di questo della dichiarazione della dignità umana, della solidarietà sociale, dell’autonomia delle associazioni umane; quali principi più stabili ed immutabili di questi ? ”. Ciò con l’effetto giuridico…di vincolare il legislatore , di imporre al futuro legislatore di attenersi a questi criteri supremi che sono permanentemente validi” nella interpretazione di tutta l’attività statale[102].
Ma quale è il “punto di confluenza” comune in questa opera di costruzione di “una casa nella quale dobbiamo ritrovarci tutti insieme”, malgrado tutte le diversità e le contrapposizioni politiche ed ideologiche ? La sua netta risposta è appunto nell’ accomunante “elementare substrato ideologico” costituito dall’antifascismo e da quanto viene affermato negli attuali primi tre articoli della costituzione, “pilastri sui quali mi pare che pesi il nuovo Stato italiano” [103].
Questi principi vengono identificati anzitutto nella sovranità statale, intesa come “sovranità dell’ordinamento giuridico” e cioè della costituzione e della legge. Quanto poi al riferimento al valore fondamentale del lavoro, si tratta di un impegno solenne a immettere in modo sempre più effettivo “nell’organizzazione sociale, economica e politica del paese” le classi lavoratrici che in precedenza ne erano state sostanzialmente escluse. Moro ricorda anche la vicenda della proposta di Togliatti di parlare di “Repubblica di lavoratori”, a cui aveva personalmente assentito nel dibattito in Sottocommissione , ma a cui ora oppone il rischio di facili equivoci terminologici, se non di letture classiste , anche sulla base delle esperienze di altri paesi [104].
Quanto al principio di eguaglianza sostanziale, “si tratta di realizzare in fatto, il più possibile, l’eguale dignità di tutti gli uomini” attraverso la legislazione sociale.
Infine: “lo Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà , l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità”. Né occorre dividersi fra formazioni sociali “naturali” o “storiche”: “non c’è politica di Stato veramente libero e democratico che possa prescindere da questo problema fondamentale delicatissimo di stabilire, fra le personalità e le formazioni sociali, da un lato, lo Stato, dall’altro, dei confini, delle zone di rispetto, dei raccordi”.
Appena dieci giorni dopo dall’intervento di Moro di cui abbiamo dato atto, vengono presentati e rapidamente approvati due emendamenti relativi al contenuto ed alla collocazione di quelli che erano gli artt. 6 e 7 del progetto di Costituzione, dando così attuazione a quanto aveva appunto proposto Moro: in entrambi i casi, gli emendamenti, tra loro identici (corrispondenti a quello che ora sono gli artt. 2 e 3 della Costituzione), erano proposti da un gruppo di costituenti democristiani e da un liberale [105] e da un gruppo di costituenti comunisti[106]. Nel rapido dibattito che precede la loro votazione, interviene anche Moro per illustrare “le ragioni di opportunità” delle variazioni introdotte in riferimento a quello che è l’attuale art. 2 della Costituzione: si è voluto “chiarire nettamente il carattere umanistico che essenzialmente spetta alle formazioni sociali” che si vogliono garantire, ma si riafferma che “lo Stato veramente democratico riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell’uomo isolato, che sarebbe in realtà un’astrazione, ma i diritti dell’uomo associato secondo una libera vocazione sociale” [107].
Davvero, dopo l’intervento del 13 marzo ed i risultati che ne conseguono, Moro appare ormai come un primario protagonista dei confronti costituenti.
Già nei lavori della prima Sottocommissione e della intera “Commissione dei 75” in sede plenaria, il contributo di Moro appare particolarmente significativo ed importante: né mi riferisco solo all’altissimo numero delle volte in cui prende la parola nella prima Sottocommissione e nella Commissione plenaria, ma al fatto che successivamente interviene in Assemblea costituente -come vedremo- praticamente in tutti i settori più significativi, da quelli ricorrenti nel moderno costituzionalismo a quelli solo di recente sviluppati nelle costituzioni degli Stati democratici. Anzi, è documentata una sua attiva presenza anche nel gennaio 1948, durante il periodo di parziale prorogatio dei poteri dell’Assemblea costituente in tema di Statuti speciali delle Regioni ad autonomia particolare e di legge costituzionale relativa al completamento delle disposizioni relative alla Corte costituzionale.
Malgrado questo prolungato interesse, esteso all’intera materia costituzionale, che corrisponde ormai anche alle sue accresciute responsabilità nel gruppo dei costituenti democristiani, l’opera di Moro si caratterizza anzitutto nel confronto ricco e continuo sulle tante diverse situazioni soggettive che vengono in rilievo: qui Moro, già professionalmente molto sensibile ed esperto nei tanti problemi costituzionali connessi all’ambito processual-penalistico, è sostanzialmente aiutato in particolare dalle articolate proposte redatte sia da La Pira che da Mortati[108] in relazione a tutte le libertà civili, politiche e sociali.
Peraltro Moro appare anche molto impegnato su alcuni versanti di rilievo generale particolarmente discussi: ad esempio, si dichiara decisamente a favore della proposta di Dossetti di formalizzare in una disposizione costituzionale il diritto e dovere di resistenza individuale e collettiva “agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione”: verrebbe in gioco, infatti, un vero e proprio dovere fondamentale dei cittadini per la difesa dei massimi valori costituzionali [109]. In quell’occasione Moro parlò perfino di “giustificazione etico-giuridica “del “diritto alla rivoluzione”[110].
Inoltre concorderebbe con la proposta di La Pira di escludere che le associazioni possano operare anche per ridurre le libertà costituzionali, ma la proposta sarà sostanzialmente elusa per la temuta molteplicità da parte di molti delle possibili conseguenze che ne sarebbero potute derivare [111].
Analogamente per la proposta, anch’essa di La Pira, di affermare che “tutte le libertà garantite dalla presente Costituzione devono essere esercitate per il perfezionamento integrale della persona umana in armonia con le esigenze della solidarietà sociale ….” [112].
Per quanto riguarda le singole libertà strettamente intese, il contributo di Moro ai tanti confronti che si sviluppano non appare invece distinguersi particolarmente, specie in riferimento a classiche libertà come la libertà personale, quella domiciliare e quella di circolazione e soggiorno, dal momento che Moro esprime opinioni equilibrate e garantiste [113] .
Analogamente nell’escludere la revocabilità della cittadinanza per motivi politici[114]. Anche in relazione alla sorte dei predicati nobiliari, la sua soluzione accompagna la abolizione della concessione dei titoli nobiliari con la trasformazione del predicato nobiliare esistente in parte del cognome[115].
In relazione al fenomeno associativo, concorda con i sostenitori del divieto delle associazioni segrete e di quelle paramilitari[116] .
E’ invece attivo proponente della importante e significativa norma sui trattamenti sanitari obbligatori ed i loro limiti [117], che compone attualmente il secondo comma dell’art. 32 Cost. Altro caso nel quale una proposta di Moro appare largamente condivisa è quella relativa alla sostanziale riduzione (con una conseguente implicita laicizzazione) della prescrizione del giuramento, che ora viene previsto solo per organi e funzioni limitati [118].
Anche in un’altra occasione Moro era apparso come soggetto largamente affidabile nella ricerca di soluzioni idonee per la definizione di nuovi necessari concetti: dinanzi alla previsione del dovere di lavorare e del lavoro femminile, occorreva meglio definire i confini del concetto di lavoro, ma soprattutto darne una definizione adeguatamente larga, in modo da evitare ogni tentativo di concezione classista. Attraverso un interessante lavoro collegiale, ma su esplicito stimolo di Moro, si giungerà rapidamente ad una soluzione largamente condivisa[119], che ancora oggi caratterizza il secondo comma dell’art. 4 Cost. (“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere , secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”).
Un gruppo rilevante di interventi è relativo alla tutela ed alla valorizzazione del lavoro, con vistose conseguenze di ordine sociale: se la nota premessa politica è la necessità di affermare la “tendenza progressiva che deve avere la democrazia italiana nell’attuale momento” tramite la garanzia del conseguimento dell’eguaglianza sostanziale e l’affermazione del lavoro come valore fondamentale della convivenza [120] , Moro è, con Dossetti, proponente della disposizione sul dovere di lavorare e di quella relativa alla adeguata remunerazione del lavoro maschile e femminile , nonché alle relative tutele sindacali [121] . Alcune proposte di Moro in tema di proprietà riescono ad integrare la formula redatta da Dossetti e Togliatti [122].
Dato il settore giuridico al cui studio si era dedicato negli anni più recenti, Moro appare particolarmente attento alle forme di partecipazione popolare [123] all’attività giurisdizionale : se appare decisamente favorevole a questa partecipazione (ne parla come di “un’esperienza democratica”, ma che tuttavia vive nella storia e quindi con tutte le difficoltà che ne scaturiscono), anche al di là delle precedenti forme sperimentate con le integrazioni delle Giurie nei processi in Corte di Assise, individua nella necessità di apposite disposizioni di legge la risoluzione dei non pochi problemi emersi nella prassi , con anche la possibilità di prevedere appositi limiti.
Per quanto riguarda le sanzioni penali, le sue idee appaiono precise: “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, ma non è pensabile che il sistema sanzionatorio non si faccia carico del fatto che la rieducazione passa anche tramite la detenzione; fondamentali sono però il miglioramento della condizione dei condannati a sanzioni penali; se le pene devono tendere alla rieducazione del condannato non possono essere troppo lunghe; peraltro perplessa è la sua opinione sulla eliminazione dell’ergastolo[124].
Al tempo stesso, in Moro appare ricorrente l’attenzione verso alcuni abusi della libertà di stampa: qui Moro, che evidentemente risentiva del notevole allarmismo del mondo cattolico contro gli attentati alla “pubblica moralità” [125] , fin dalla Sottocommissione e poi nella Commissione plenaria si schiera più volte molto decisamente contro possibili abusi della stampa “pornografica”, chiedendo interventi anche di natura preventiva[126]. L’esito relativamente limitato di tutto ciò si ha con l’approvazione del sesto comma dell’art. 21 Cost., che rinvia la tutela anche preventiva in materia alle possibili determinazioni del legislatore.
Se queste ed altre attività (in questa sede necessariamente non considerate, dato il loro numero e la loro frammentarietà) denotano il ruolo molto rilevante assunto da Moro nel settore delle classiche libertà costituzionali, occorre però considerare che egli spesso si riferisce alla necessità di disciplinare le situazioni soggettive connesse all’esistenza di alcune fondamentali formazioni sociali come la famiglia, la scuola, le confessioni religiose. Qui però il confronto con gli altri costituenti appare assai meno agevole, specie quando vengono in rilievo specifiche sensibilità connesse con preesistenti rapporti conflittuali fra le classi dirigenti dei movimenti laicisti e delle organizzazioni cattoliche.
Ciò al di là del tema, notoriamente molto rilevante, della sorte dei Patti lateranensi, da più parti ritenuta - a ragione o a torto - questione assolutamente condizionante rispetto a tutto il complessivo dibattito costituente.
Come ben noto, i dibattiti intorno al problema del richiamo in costituzione dei Patti lateranensi hanno rappresentato a lungo il tema più animosamente discusso fra le diverse forze costituenti, con anche una diretta partecipazione degli ambienti vaticani, molto preoccupati per la loro sorte[127].
Aldo Moro partecipa attivamente al dibattito alla Costituente, seppure in una posizione sostanzialmente secondaria rispetto a quella di Dossetti, da lui addirittura definito come “valoroso relatore”[128] , ed è comunque agevolato dalla partecipazione attiva ai dibattiti di molti altri costituenti democristiani (fra cui in particolare La Pira e Mortati).
Anche se le originarie proposte di Dossetti, che puntavano a trattare del tema concordatario all’interno della considerazione dei rapporti con gli altri soggetti sovrani [129], vengono sostanzialmente escluse, al termine dell’intenso confronto nella prima Sottocommissione e del successivo lavoro di redazione, già la disposizione adottata dalla “Commissione dei 75” nel progetto di Costituzione afferma che il richiamo dei Patti lateranensi trova giustificazione nel preliminare reciproco riconoscimento che “lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”; con una norma del genere per Moro si riconosce che la Chiesa “ha effettivamente una sua competenza per regolare le materie che sono corrispondenti alle finalità che essa persegue nell’ambito della vita sociale e per regolarle in perfetta indipendenza quando si tratti di materie di puro interesse ecclesiastico, e invece attraverso pattuizioni bilaterali, quando si tratti di materie di interesse comune per lo Stato e per la Chiesa”[130]. Questo corrisponde esattamente con quanto auspicato da Moro: “soltanto un concordato rispetta la sovranità e l’indipendenza dei due enti, i quali per esso si incontrano in una posizione di parità che è connaturale ad entrambi” [131] .
Pertanto le materie di interesse comune per lo Stato e per la Chiesa, quali già individuate nel Concordato del 1929, devono continuare per Moro ad essere “regolate attraverso forme concordatarie e non attraverso un’arbitraria regolamentazione unilaterale da parte dello Stato”[132]; non si esclude certo che i diversi contenuti del Concordato possano migliorare, ma sempre rispettando pienamente la bilateralità nella loro elaborazione ed eventuale modificazione.
In questa occasione, le continue polemiche che accompagnano i vari dibattiti inducono Moro anche ad alcune interessanti chiarificazioni ulteriori: anzitutto la soluzione a cui si è giunti non equivale affatto al richiamo della religione cattolica come “sola religione dello Stato”, dal momento che -al contrario- si è largamente affermata “la libertà di ogni culto” e si è riconosciuto il diritto di propaganda dei diversi culti, così come ora ci si è anche impegnati perché i culti acattolici possano accedere ad intese; si tenga infatti presente che fin dalle originarie proposte di La Pira in tema di diritti di libertà (ma anche nella relazione di Dossetti) si era cercato di garantire una piena libertà religiosa a tutte le diverse confessioni religiose, in implicita dialettica con quanto sostenevano, invece, alcuni ambienti vaticani: si era scritto, infatti, da parte di questi che le diverse confessioni religiose non dovessero essere “trattate dall’autorità pubblica nello stesso modo” ed in particolare che non potessero svolgere attività di propaganda [133] . Come esito di questa scelta di tipo egualitario dei costituenti democristiani fra le diverse confessioni religiose, era stato invece approvato senza contrasti l’art. 14 del progetto di Costituzione (poi divenuto, senza modificazioni sostanziali, l’ art. 19 del testo costituzionale).
Quanto all’inaccettabile quadro politico dominante in Italia nel 1929, “certamente non vanno le nostre simpatie al Governo che stipulò il Trattato ed il Concordato con la Chiesa cattolica, ma è certo che, sia pure per finalità oscure, esso in quel momento non faceva che condurre a termine un lungo processo che si era già svolto ed era già in maturazione nella coscienza degli italiani. Quindi non possiamo, per una ragione formale, pur dando debito peso al motivo politico ….., ripudiare dei patti che hanno una straordinaria importanza per aver realizzato la pace religiosa nell’ambito del popolo italiano”[134].
Infine, se “per alcune ragioni di dettaglio non possiamo rifiutare di riconoscere i motivi che impongono di includere il Concordato nella Costituzione”, non si nega che le parti discutibili dell’accordo possano essere in futuro modificate [135].
Un ambito nel quale Moro non ottiene parte dei risultati che si riprometteva riguarda il settore scolastico, proprio là dove gli era stato affidato il difficile compito, in quanto uno dei due relatori all’interno della prima Sottocommissione della “Commissione dei 75” [136], di ricercare un’intesa accettabile fra mondo cattolico ed ambienti laici in questa materia caratterizzata da tradizionali, acute contrapposizioni. Una materia ben conosciuta da Aldo Moro nella sua oggettività sociale ben prima del suo impegno culturale ed universitario, dal momento che i suoi genitori si erano distinti sul piano professionale come maestri molto impegnati in istituzioni scolastiche pubbliche operanti in alcune aree meridionali fra le più gravemente caratterizzate dal sottosviluppo e dall’analfabetismo, prima che il padre venisse assumendo crescenti responsabilità nel settore dell’organizzazione amministrativa statale dell’ispettorato scolastico elementare [137].
In effetti l’ampia relazione di Moro appare costruita anzitutto sull’argomentata presentazione di una serie di diritti personali e sociali che incidono sulla materia: il diritto all’istruzione del minore, secondo le sue scelte personali e quelle della famiglia di appartenenza, nonché l’accesso gratuito all’istruzione garantito dalle istituzioni pubbliche per incontestabili motivi sociali, per tutto il periodo dell’istruzione obbligatoria e con la possibilità di giungere ai più alti livelli degli studi nel caso degli studiosi maggiormente capaci e meritevoli.
In quest’ambito viene anche configurato il diritto all’insegnamento di ciascun docente, secondo le sue libere opzioni, seppure all’interno delle disposizioni di legge.
Ciò di cui Moro discute molto è la esclusiva o predominante titolarità della funzione educativa dello Stato anche in difformità dagli orientamenti familiari, secondo suoi particolari indirizzi pedagogici : per lui una scelta del genere rivelerebbe addirittura l’esistenza di “uno Stato totalitario onnipotente ed onnisciente, con la sua religiosità ed eticità collettivistica” [138] e dovrebbe quindi essere radicalmente respinta. Ciò non significa peraltro che fra le funzioni sociali di un moderno Stato democratico non vi sia quella di organizzare scuole e di vigilare sul buon funzionamento delle scuole create dai privati; anzi, le due iniziative devono “coesistere a parità di condizioni, in quanto entrambe assolvono, pur accentuando questo o quel punto del processo educativo, la stessa essenziale funzione di formazione della personalità in senso individuale e sociale” [139]. A questo proposito, anzi, Moro cerca di distinguersi, se non di contrapporre la sua opinione a quella espressa da Gonella, che al Congresso DC dell’aprile 1946, aveva invece parlato “di una funzione suppletiva dello Stato in materia di educazione”. Evidentemente non basta questa polemica di Moro con l’allora Ministro per la Pubblica istruzione e la sua affermazione che, invece, lo Stato ha certamente competenza ad “educare per il suo prestigio morale, quando sa meritarlo”[140], per eliminare o ridurre le vivaci contrapposizioni di vari costituenti non democristiani [141] alle parole di Gonella, ritenute espressive della effettiva linea propositiva dei democristiani in materia.
D’altra parte lo stesso tono largamente obiettivo della relazione di Moro cambia notevolmente quando - a riprova delle tante tensioni accumulatesi nel settore scolastico - la sua attenzione si sposta al “problema dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche”: egli, infatti, dichiara di temere fortemente che si intenda sostituire “una religione laica della libertà od una mistica collettiva” alla “coscienza religiosa del nostro popolo”, mentre invece “lo Stato non ha per sé stesso alcuna verità da insegnare né in materia religiosa né in altra materia. Esso è organizzatore di scuole, ove accoglie democraticamente il contenuto educativo che la coscienza sociale , espressa dai padri di famiglia, gli presenta e gli impone”. Questa netta visione sull’esistenza di una forte consapevolezza di natura religiosa nella coscienza sociale del paese è per di più fondata sulla discutibile asserzione che la larghissima dichiarazione di appartenenza alla confessione religiosa cattolica in sede di censimento equivalga alla consapevole volontà di quei cittadini di voler disporre di una istruzione pienamente corrispondente alla propria opzione religiosa: non a caso, in uno dei suoi interventi nella prima Sottocommissione afferma che è “un fatto incontestabile” il “diffuso sentimento religioso nell’ambito del popolo italiano, sentimento raccolto in un’ unica professione religiosa, salvo esigue minoranze; condizione questa che rende nel nostro Paese particolarmente facile risolvere il problema del collegamento di una entità di così complessa natura, quale è la scuola, con le aspirazioni profonde di ordine religioso del popolo italiano” [142].
A questo proposito potrebbe allora parlarsi della errata convinzione di Aldo Moro (così come di molti altri costituenti democristiani) della mitica esistenza di una dominante “Italia cattolica”, malgrado gli ormai vistosi processi di secolarizzazione (di cui egli dovrà presto prendere atto [143]) e della stessa esistenza di scuole capaci davvero di soddisfare la coscienza religiosa degli studenti cattolici.
Ma se già i risultati elettorali avevano messo in evidenza un buon risultato delle liste democristiane con però il conseguimento da parte loro solo della maggioranza relativa dei voti[144], dall’esito deludente di alcune fasi dei lavori costituenti a cui aveva seguito una solo modesta reazione da parte dell’opinione pubblica cattolica, Moro ne deriva che “la civiltà cristiana nel suo patrimonio di fede e di moralità è oggi in pericolo” anche a causa del tramonto di una rigida tradizione morale che assicurò, sia pur talvolta attraverso a rinunce, la vera libertà dell’uomo”[145]. Ciò mentre nel paese continuava a svilupparsi, invece, una diffusa e vivace polemica “contro la civiltà del passato, contro il costume morale consolidato nel nostro popolo, contro le radici ideali più vive ed efficaci delle nostra coscienza cristiana” [146].
D’altra parte, alla relazione di Moro corrisponde quella di Concetto Marchesi[147], autorevole professore universitario comunista, notoriamente molto espressivo della tradizione laicista; una relazione (come abbiamo accennato) espressamente polemica con quanto scritto di recente in materia da Umberto Tupini e da Guido Gonella, ma soprattutto costruita su un’idea dell’ istruzione come “problema nazionale” e della scuola come garante dell’unità nazionale, senza alcuna significativa apertura verso il ruolo in materia della famiglia e delle confessioni religiose.
Dalla nettissima divaricazione concettuale delle due relazioni e dalle coerenti diversificate progettazioni ipotizzate, scaturisce un dibattito particolarmente lungo ed animoso, che si sviluppa inizialmente nella prima Sottocommissione, poi nella Commissione plenaria dei 75, per poi giungere a lunghi dibattiti finali nella primavera del 1947 nella assemblea plenaria della Costituente.
In questo lungo periodo si sviluppano molte contrapposizioni e divaricazioni, anche attraverso la stesura e diffusione di appositi Manifesti ed Appelli da parte di esperti e polemisti sui maggiori temi della scuola italiana [148].
A polemiche e distinzioni in ambienti dello stesso mondo cattolico perfino verso Aldo Moro [149], imputato di non tutelare adeguatamente gli interessi delle scuole private, vi fu però una risposta di notevole interesse generale dello stesso Moro, che scrisse riservatamente a Veronese [150], Presidente nazionale dell’Azione cattolica, di “questa Costituzione, faticosamente negoziata fra dieci milioni di marxisti con molte appendici moderate, massoniche ed anticlericali e otto milioni di democristiani (ma fino a quando ?), (che) non può riprodurre completamente i nostri punti di vista. E’ bene che si sappia che altri in Italia non la pensano come noi ….” .
Malgrado la larga e reciproca incomprensione fra i relatori, alcune intese di fondo vengono però conseguite, ma esse inizialmente appaiono solo parziali (diritto sociale alla istruzione, “libertà della scuola e diritto delle scuole non statali ad ottenere la parificazione”, apertura della scuola ai capaci e meritevoli) lasciandosi però aperti alcuni dei più complessi problemi (indeterminatezza dei poteri statali di condizionamento delle iniziative private, insegnamento della cultura religiosa). Ma evidentemente si procede oltre, dopo la pur faticosa adozione dell’art. 7 della costituzione nel marzo 1947, se Moro poco dopo scrive in un apposito articolo di stampa di “compromesso accettabile” dinanzi ad “un non equivoco riconoscimento della libera iniziativa nell’ insegnamento” e della rinuncia alla “esclusiva competenza dello Stato in materia di istruzione”: da queste scelte ne sarebbe “derivato un sistema misto di competenze, un parallelismo fra l’iniziativa statale e quella privata che, se onestamente realizzato attraverso la futura legislazione scolastica, dovrebbe assicurare all’Italia un equilibrio di iniziative a vantaggio della cultura e della libertà” [151].
Nel dibattito finale nell’assemblea costituente Moro espone in sostanza una nuova relazione, piuttosto diversamente impostata rispetto a quella iniziale[152], nella quale anzitutto rende esplicitamente omaggio alla scuola pubblica ed anzi afferma che “anche la scuola dello Stato è nostra”, per poi cercare di caratterizzarne una possibile sua larga apertura alla libertà, al raccordo con le famiglie, al pluralismo, alla effettiva accettazione dell’apertura ai capaci e meritevoli. Appare piuttosto evidente il venir meno di alcuni temi precedentemente divisivi, specie dopo la decisione del richiamo in Costituzione dei Patti Lateranensi e quindi anche di quello che allora era l’art.6 del Concordato, specificamente dedicato all’ “insegnamento della dottrina cristiana” nelle scuole pubbliche [153] e pienamente accettato dal Vaticano.
Quindi Moro ora scrive di “compromesso accettabile” e definisce la disciplina “non del tutto sodisfacente”, ma tuttavia capace di “garantire libertà ed efficienza alle nostre scuole” [154].
Era, invece, del tutto imprevista la presentazione ed adozione dell’emendamento Corbino, su cui Moro non interviene [155]. Ne scriverà però polemicamente come un episodio rivelatore della “generale ostilità ed incomprensione” verso i democristiani, rimasti quasi “soli a combattere”, e ne dedurrà un “avvenire che si annuncia tempestoso” [156].
Restava comunque una forte diversità di opinioni sul concetto di laicità nel sistema educativo: “uno Stato che ignori la religione o le religioni, che si limiti a garantire ad esse condizioni di libertà”, in realtà si allontana dalla piena identificazione con ciò che l’uomo invece sente molto profondamente [157].
Un settore nel quale appariva difficile trovare un’intesa era rappresentato anche dall’ordinamento familiare, al di là della stesso impegno speso dai due relatori (Iotti e Corsanego): se pertanto all’inizio ci si contrappone per la configurazione non egualitaria dei coniugi e per il trattamento dei figli illegittimi, nonché per la previsione dell’indissolubilità matrimoniale, le stesse ricostruzioni teoriche divergono notevolmente fra i diversi esponenti politici: ad esempio, nel dibattito iniziale Basso polemizza vivacemente perfino con la definizione come “naturale” della famiglia, per lui invece solo istituzione storica, e Dossetti, al contrario, si riferisce ai “diritti primordiali e fondamentali della famiglia, del tutto pari a quelli della persona”. Il tentativo di trovare una mediazione passa dapprima per Togliatti, che parla di associazione “naturale”, e poi per Moro, che si riferisce ad “una famiglia, comunque costituita, come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e di funzionalità umana, possa inserirsi nella vita sociale”[158]. La stessa indissolubilità matrimoniale era stata da lui spiegata come l’esito razionale della dignità umana degli sposi e non come l’esito “del meccanismo brutale della natura” [159].
Probabilmente da queste prime aperture scaturisce la proposta di integrare il gruppo dei relatori e le successive proposte da parte di questi ultimi di nuovi articoli[160], che sono all’origine delle successive, pur faticose intese. In quel contesto Moro afferma che la definizione come “società naturale” della famiglia (e non di “diritto naturale” come pur avevano proposto altri costituenti democristiani) significa semplicemente che essa ha “una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte ad una realtà che non può menomare né mutare” [161] .
Resta però come nodo irrisolto il problema della prescrizione della indissolubilità del matrimonio a tutela della unità della famiglia , il cui inserimento nel testo costituzionale infine riesce momentaneamente a prevalere tramite la decisione in tal senso, a stretta maggioranza, della Commissione plenaria dei settantacinque, salvo però la successiva opposta determinazione adottata pochi mesi dopo in sede di Assemblea plenaria della Costituente [162]. Queste opposte determinazioni suscitano forti reazioni fra i democristiani, tanto che Moro ne parlerà come di una sconfitta su “un punto che era estremamente importante per noi” e ne farà derivare “un grave monito che dobbiamo raccogliere”, dal momento che sembra emergere una nuova discutibile moralità [163].
Per comprendere la delusione di Moro, al di là dello stesso esito nel dibattito costituente, è interessante considerare però anche la sua motivazione “puramente naturale” addotta a sostegno della stabilità del vincolo matrimoniale : “il matrimonio è caratterizzato dalla definitività di un impegno che investe molteplici interessi e incide non solo su coloro che hanno ricevuto il vincolo, ma anche su coloro che da questo vincolo hanno ricevuto la vita”[164]. D’altra parte, per Moro “l’indissolubilità contrasta con la libertà intesa come arbitrio e con il valore della persona concepita in termini di felicità. Ma essa invece coincide puntualmente con la libertà morale e con la dignità umana che si afferma, se è necessario, con il sacrificio di interessi contingenti in vista di una superiore finalità sociale”[165].
Più in generale il giudizio finale per Moro è allarmato, perché le soluzioni che si sono date in generale alle disposizioni incidenti su sensibilità etiche “non sono state tra loro coerenti ed informate ad un unico principio”; inoltre tutto ciò produce nel mondo cattolico un pericolo per la “civiltà cristiana nel suo patrimonio di fede e di moralità” a causa del “minor vigore e la minore coscienza con cui è sentita e vissuta in quest’ora storica dal popolo italiano” [166] . Moro vede anzi il pericoloso sorgere di una “nuova moralità” più aderente ai bisogni umani, ma che in realtà si attenua, perché la moralità vera è “fondata sul dovere, disciplina gli impulsi ed esige rinunzie” [167].
La vicenda quindi si inscrive nei diversi sintomi di mutamento e crisi della cultura dominante nel paese, malgrado l’apparente forte prevalenza numerica dei cattolici.
Diversamente da quanto spesso rappresentato, Aldo Moro – pur essendo componente della prima Sottocommissione - contribuisce pure molto all’elaborazione delle disposizioni costituzionali relative all’assetto istituzionale, sia a causa di sue specifiche sensibilità (si pensi, ad esempio, ai temi connessi all’ordinamento giudiziario, alle tante conseguenze del primato della Costituzione sul dettato costituzionale o perfino all’immodificabilità della forma repubblicana [168]), sia perché non sono mancate le riunioni plenarie della Commissione dei 75, chiamata a decidere anche sui nodi irrisolti lasciati dalle altre Sottocommissioni[169]. Inoltre l’accrescimento progressivo delle responsabilità di Moro nel gruppo costituente democristiano lo porta naturalmente ad impegnarsi anche di persona su altri temi istituzionali (ad esempio, le Regioni, la Corte costituzionale, la stessa forma di governo): successivamente ciò sarà la regola durante i lunghi confronti che si svolsero nell’assemblea plenaria della Costituente fino all’approvazione finale del testo costituzionale e poi perfino nel gennaio 1948 in sede di esercizio della prorogatio di alcuni poteri costituenti.
Semmai in questa fase dei lavori costituenti mutano abbastanza vistosamente il tono dei confronti fra le diverse parti politiche, adesso più attente a considerazioni partitiche e spinte anche a recuperare le loro specificità programmatiche (specie in un periodo preelettorale, di scissioni e di crisi dei Governi) e le loro tradizioni istituzionali, specie in riferimento all’assetto dei poteri.
Per di più in quest’ambito in genere si manifesta anche un diverso e migliore rapporto fra i partiti della tradizione laico-liberale, sia moderati che radicali, e la Democrazia cristiana, di quanto fosse avvenuto nel settore dei nuovi principi e valori costituzionali, mentre i riferimenti comparati di tutti questi movimenti politici si concentrano sulle più recenti esperienze delle democrazie europee e sui relativi dibattiti. Ciò mentre la progettazione istituzionale dell’area socialcomunista continua a risentire invece ancora molto delle diverse mitologie giacobine (magari rivisitate durante i dibattiti costituenti francesi del 1944/6), se non del tentativo di imitare la modellistica sovietica : questo era già emerso largamente nei lavori della Commissione dei 75 [170], ma nell’Assemblea plenaria della Costituente residua una forte contrapposizione delle sinistre alle Regioni, al governo parlamentare, ai poteri e alla configurazione dell’organo di giustizia costituzionale, ai poteri del Presidente della Repubblica [171] .
Basti in questa sede ricordare quanto -ancora durante il dibattito generale su progetto della Costituzione e cioè nella primavera 1947- dissero su temi assolutamente centrali dell’assetto istituzionale esponenti politici importanti come Laconi e Basso[172], che ancora si dolevano della complessità del sistema dei pesi e contrappesi, valutato come “tendenza a limitare, a correggere, a bilanciare l’azione popolare, tendenza che suona sfiducia nel popolo e nei suoi organi rappresentativi ….”; ciò mentre per Nenni[173] sembrava evidente nel progetto di Costituzione la volontà di “frapporre fra l’espressione della volontà popolare e l’esecuzione della stessa volontà popolare quanto più ostacoli, quanto più diaframmi possibili”; al tempo stesso, egli si riferiva a rischi di abusare dei referendum e considerava impossibile affidare alla Corte costituzionale il giudizio di costituzionalità delle leggi. Infine per un lungo periodo hanno continuato per Togliatti ad essere inammissibili sia le leggi regionali che gli ipotizzati poteri della Corte costituzionale [174].
Al tempo stesso i democristiani, molto impegnati nell’imitazione del migliore costituzionalismo europeo, non erano però ancora riusciti a tradurre in precisi modelli istituzionali i loro risalenti modelli di convergenza del pluralismo sociale nell’assetto degli organi rappresentativi [175] ed anzi si divisero vistosamente tra loro nei lunghi e confusi dibattiti relativi alla composizione del Senato, malgrado, ma forse anche a causa della forte personalità di Mortati, relatore sul punto. In questa circostanza e perfino in un contesto di palese divisione fra i costituenti democristiani (ad esempio, Tosato, Ambrosini[176] e Fuschini) e soprattutto di evidente intesa fra i filoni liberali ed i partiti della sinistra, Piccioni, segretario nazionale della D.C.[177], presenta un apposito ordine del giorno, “firmato anche dall’on. Moro” [178], nel quale si cercava di ipotizzare una composizione del Senato su una base territoriale regionale mediante una ripartizione “con metodo democratico, mediante elezioni a doppio grado alle quali concorrano tutti gli appartenenti alle categorie sociali e in modo da promuovere la coordinazione degli interessi dei gruppi con l’interesse generale” . Si trattava, con tutta evidenza, di un ultimo tentativo per salvare la antica proposta di composizione del Senato tramite una rappresentanza socio-politica, tentativo peraltro rapidamente respinto dalla Assemblea con la convergenza di quasi tutti gli altri gruppi. Pochi giorni dopo, mentre già si discuteva animosamente del sistema elettorale da adottare al Senato, Moro parla di una sconfitta subita (era stata “sopraffatta una tesi che gli era cara”)[179].
Evidentemente pesavano in modo negativo per i democristiani gli indubbi successi da loro conseguiti sul piano della configurazione dei principi fondamentali e dello stesso richiamo nella Costituzione dei Patti lateranensi: ciò induce le altre forze politiche a impegnarsi per ricercare una sorta di compensazione del primato delle proposte democristiane tramite l’affermazione di valori e principi tipici della tradizione “laica” [180] e di riduzione delle innovazioni possibili in tema di istituzioni (ad esempio, si pensi alla diffusa ostilità verso le proposte sull’assetto del Senato -come accennato- e sull’attribuzione di poteri ampi alle Regioni [181]). Ma si può anche ricordare che fu respinto l’emendamento Mortati che mirava a sottoporre ad alcuni controlli i partiti politici [182]
Da tutto ciò una dinamica diversa nei rapporti fra i diversi gruppi che operano alla Costituente, con una vistosa difficoltà di riprodurre il clima che si era sviluppato nella prima Sottocommissione: Moro, deluso dal fallimento di tante speranze e spesso duramente impegnato per le sue accresciute responsabilità politiche nel contenimento delle iniziative degli altri gruppi politici, in questo periodo non casualmente scrive di un certo “pessimismo dei migliori circa la sorte della democrazia” e delle tante incertezze ancora esistenti [183].
Anche se molti obiettivi relativi al consolidamento dell’assetto istituzionale vengono infine conseguiti, questi solo alcune volte sono il frutto di sistematiche innovazioni ( così in tema di Regioni, di Corte costituzionale, di non modificabilità dell’assetto repubblicano), ma più comunemente derivano da una serie di puntuali innovazioni tra loro coerenti (alcuni poteri del Presidente della Repubblica e delle Camere[184]) e che confermano le scelte fatte in tema di forma di governo. Solo in pochi casi gli interventi di Moro appaiono particolarmente motivati: eccezione si ha per la spiegazione della sua ostilità ad ammettere che la Costituzione preveda l’espressione del voto segreto nell’approvazione delle leggi : Moro non respinge la possibilità “della votazione a scrutinio segreto (che potrebbe essere prevista in via regolamentare) ma solo a consacrare costituzionalmente questo strumento di votazione che ha già dato luogo a tanti inconvenienti” [185].
Avvicinandosi al termine dei lavori costituenti, le critiche di Moro si fanno più frequenti e forse maggiori, specie dopo la soluzione data all’assetto senatoriale e le significative riduzioni finali dei poteri delle Regioni, pur infine accettate: “il risultato non è del tutto soddisfacente” anche se “non si può negare il valore storico della impostazione dei problemi e della assunzione di responsabilità” e pure se “ la stabilità e la forza dell’esecutivo sono state garantite, malgrado la irragionevole opposizione della sinistra, in modo sufficiente” [186]. Ma poi pesano anche la debolezza morale di molti e la complessiva “modesta vitalità spirituale del popolo italiano” , su cui gli stessi pubblici poteri possono poco[187]: “cose di questo genere possono avvenire , perché un popolo in qualche misura, per inerzia o per rilassatezza, vi consente, senza trovare forme efficaci ed espressive di ripulsa”.
Come ben noto, l’adozione finale della Costituzione avviene con una larghissima maggioranza di voti a favore [188], in un naturale clima di grande soddisfazione, tanto più perché il clima politico generale, sia a livello nazionale che internazionale, era ormai divenuto tutt’altro che sereno e ci si stava avviando alle decisive elezioni politiche del 1948.
Una situazione del genere aggrava però il normale difficile rapporto fra una nuova Costituzione e la realtà politica contingente, nella quale si manifestano inevitabilmente parziali delusioni degli stessi costituenti più impegnati [189] e che è spesso percorsa da distinzioni e contrapposizioni diverse e maggiori (fra i partiti ed al loro interno) di quelle che si erano manifestate all’inizio della fase costituente, di norma caratterizzato da maggiori forme di collaborazione fra le diverse forze politiche ed anche dal peso particolare lasciato ad esperti e specialisti. E ciò a prescindere dalle specifiche polemiche (che peraltro non mancano) sul nuovo testo costituzionale e sui diversi protagonisti dei dibattiti costituenti [190].
Mentre quindi -al di là delle manifestazioni ufficiali, naturalmente un po’ enfatiche a causa dell’adozione della Costituzione - mancano particolari esaltazioni dei risultati conseguiti ( ma gli effetti prodotti dalle nuove Costituzioni andrebbero considerati nel medio-lungo periodo !) [191], le accresciute e rilevanti contrapposizioni politiche cominciano a pesare notevolmente sulle valutazioni del testo costituzionale da parte dei maggiori partiti.
Lo stesso mondo cattolico più espressivo degli ambienti vaticani appare soddisfatto solo in parte ed anzi non mancano certo polemiche prese di posizione: si scrive di Costituzione lunga e prolissa, opera prevalente di politici (quasi che fosse possibile altrimenti !) , diffusamente compromissoria, con alcune buone disposizioni ma molte disposizioni oscure, con alcune pericolose innovazioni e molte incertezze nell’equilibrio dei poteri [192].
Anzi, perfino lo stesso nucleo dei costituenti più attivi e significativi appare percorso da dubbi ed insoddisfazioni: ad esempio, i “dossettiani” (che sicuramente possono essere annoverati fra coloro che più si impegnarono), si esprimono positivamente (seppure con alcuni limiti) sul nuovo testo costituzionale solo attraverso un noto ed articolato saggio di Giorgio La Pira [193], oltre che con un primo immediato scritto di Moro di sostanziale esaltazione – malgrado alcune carenze e contraddizioni – di una carta costituzionale espressiva “di una democrazia fondata sul lavoro e sui valori umani” [194].
Nel singolare silenzio di Dossetti sembra aver pesato molto la sua ormai profonda crisi nei rapporti politici con De Gasperi, anche se non appare certo credibile la sua successiva ricerca di una colpevole responsabilità dei democristiani per non aver percorso una strada di tipo presidenziale nella progettazione della forma di governo da perseguire [195]: non appare individuabile, infatti, fra gli scritti di Dossetti del periodo costituente un giudizio davvero perplesso sul testo costituzionale e sui costituenti più impegnati nei dibattiti sulla forma di governo, né vi è alcuna convincente traccia della asserita insufficienza riformista delle proposte in tema di forma di governo, con specifico riferimento alla attività svolta dalla seconda Sottocommissione [196].
Se tesi critiche del genere appaiono quindi meramente strumentali al tentativo di giustificare la polemica interna al partito, dal momento che non emergono tracce precise di conflitti di questo tipo durante i lavori costituenti, è però invece evidente la diffusione nel gruppo dossettiano del dubbio che al grande impegno in sede di elaborazione costituzionale di tanti esponenti di questa tendenza avesse corrisposto nel partito il consolidamento di tutta una serie di rapporti di forza ostili al mutamento politico e sociale, contro la speranza di tanti “dossettiani”: non mi sembra casuale, ad esempio, che La Pira nel suo commento si ponga anche il problema se la nuova Costituzione “sia uno strumento giuridico storicamente vitale” e cioè “adeguato a quelle riforme di struttura che vanno operate nell’attuale ordinamento sociale, economico e politico”[197].
Può sembrare paradossale, ma le parole più chiare nella valorizzazione della nuova Costituzione le troviamo in alcuni interventi di Don Sturzo, che pure in precedenza non si era trattenuto da giudizi assai critici su alcune parti dei nuovi principi costituzionali: la sua acuta consapevolezza del valore storico delle Costituzioni e del loro ruolo insostituibile nel consolidamento delle moderne democrazie gli fanno più volte scrivere che adesso occorre attuare e rispettare la nuova Costituzione, anche al di là dei dubbi e delle riserve [198].
D’altra parte diviene ormai vistosa la momentanea intenzione, se non la vera e propria scelta, della maggioranza politica emersa dalle elezioni dell’aprile 1948 di rinviare l’attuazione di buona parte delle tante innovazioni costituzionali non immediatamente efficaci. Scelta a cui immediatamente corrispondono da parte delle opposizioni politiche, polemiche durissime, che ipotizzano l’esistenza di una vera e propria volontà di “disfare” la Costituzione [199].
Per di più, nel frattempo nel maggior partito di opposizione si manifestano anche alcune posizioni espressamente critiche verso le cosiddette “illusioni costituzionali” [200], con però il rischio conseguente di indebolire la spinta di attuazione costituzionale, Si tratta di posizioni curiosamente omogenee a intenti svalutativi delle intese costituenti che furono espressi in alcuni limitati ambienti democristiani, a cui seguì perfino la proposta di qualche isolato esponente politico di operare per l’adozione di una diversa Costituzione [201].
Tutto ciò, per di più, in un preoccupante clima generale di disorientamento “dell’ opinione pubblica del mondo intero”, e addirittura in un “momento triste ed oscuro per il nostro popolo” che avrebbe potuto essere superato solo con il deciso impegno personale dei più consapevoli e “l’accettazione leale ed aperta della libertà e della giustizia per tutti” [202].
Può allora meglio comprendersi l’importanza ed il significato profondo della successiva esplicita manifestazione di piena soddisfazione che, all’ inizio del 1948, Aldo Moro esprime per la avvenuta adozione a larghissima maggioranza della Costituzione: “questa concordia realizzata, mentre tanti e così gravi sono i motivi di dissenso che rendono aspra la vita sociale e politica in Italia e nel mondo, dà a noi cattolici profonda soddisfazione” per la larga unità conseguita e per averla attivamente promossa. Anzi - egli scrive - di un’armonia conseguita quasi unanimemente intorno a “questa costituzione rigidamente democratica ed arditamente sociale”, un vero e proprio “patto di lealtà reciproca”, che andrà attuato e difeso “nell’anno tempestoso che adesso comincia”.
Moro appare ben consapevole delle tante difficoltà che ora iniziano: “tutte le leggi sono affidate per la loro attuazione alle forze sociali ed alla coscienza morale dei popoli, sicché un orientamento di solidarietà e di serietà che sia dato una volta in una fortunata congiuntura storica ha da essere conservato e rafforzato dalla vigilanza delle forze sociali che lo hanno espresso da sé e dalla permanente validità della coscienza morale della società tutta. Perciò questo buon inizio non è soltanto motivo di compiacimento, ma propone problemi morali e sociali per i quali occorre sensibilità non minore di quella che ci ha sostenuto finora” [203]. Da ciò per Moro deriva anche un altro e forse più arduo impegno richiesto ai cattolici italiani, chiamati ad attuare, “nei duri giorni che ci aspettano”, la costituzione nella “concretezza storica”, con “la serenità, l’equilibrio, l’ansia di giustizia, il rispetto integrale per l’uomo che hanno finora ispirato il loro lavoro nell’incontro fecondo con le altre correnti politiche”.
Non a caso, nel noto convegno dei giuristi cattolici del 1951, famoso anche per molti intenti polemici di Dossetti che investirono in parte lo stesso esito costituente, Aldo Moro si impegna invece nel tentativo di cercare di concretizzare i nuovi diritti sociali come esito delle nuove funzioni sociali attribuite allo Stato [204] , in adempimento di una sua sicura scelta attuativa del disegno costituzionale, al fine di cercare di arricchire la “democrazia puramente politica” con istituti “di umanità e di giustizia”, come aveva scritto nel momento della progettazione costituzionale [205]; per comprendere lo spirito, infatti, con cui affronta temi del genere è opportuno rileggere anche quanto aveva scritto a proposito della necessità di “dare alla democrazia un completo e concreto contenuto di operante solidarietà, mentre troppo spesso limitiamo le nostre cure e la nostra fiducia soltanto alle fredde e rigide linee di una democrazia puramente politica”.
La prima edizione degli Atti, edita nel 1946/1949 (e più volte ristampata) con il titolo generale di Atti della Assemblea costituente comprende – tra l’altro- molti volumi di verbalizzazione delle discussioni in Assemblea, nella Commissione plenaria dei 75, nelle tre Sottocommissioni; inoltre sono state stampate le Relazioni e proposte presentate nelle Sottocommissioni , nonché un volume relativo all’attività svolta dai costituenti (qui risultano circa trecentocinquanta interventi di Moro nella prima Sottocommissione, nella Commissione dei 75 e nella Assemblea plenaria della Costituente) ; tutte queste pubblicazioni sono accessibili in via informatica presso il sito della Camera dei deputati.
Larga parte di questi materiali sono stati riediti da parte della Camera dei deputati, Segretariato generale, come La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea costituente, Roma 1971 (numerose le ristampe successive). ↑
Si vedano in particolare A. Moro, Ricostruire lo Stato , in “Pensiero e vita” marzo 1945, e Di fronte alla Costituente , in “Studium” 1946 n.3. ↑
Ad es, si vedano A. Moro, Una nuova storia; Presenza spirituale; Un’azione immediata. ↑
A. Moro, Spunti sulla costituzione. ↑
A cominciare da A. Moro, Inizio, in “Studium” 1948 n.1 e Le funzioni sociali dello Stato, in Funzioni e ordinamento dello Stato moderno, Quaderni di Iustitia n.2, Ed. Studium 1953, p. 40 ss.
Più in generale cfr. U. De Siervo, Moro dal centrismo al centro-sinistra: il problema della attuazione del disegno costituzionale, in Aldo Moro: cattolicesimo e democrazia nell’Italia repubblicana, “Istituto per la storia della resistenza in provincia di Alessandria quaderno 11”, p. 43 ss. ↑
Nel periodo fra il giugno 1946 e la fine del 1947 risultano, oltre ai numerosi scritti pubblicati in tutti i numeri di “Studium”, tre articoli apparsi su “Il popolo”, quattro su “Popolo e libertà”, uno su “Vita del popolo”, due su “Ricerca” , tre su “Coscienza”, due sull’”Avvenire d’Italia”, due su “L’assistente ecclesiastico”, uno su “Il domani d’Italia”. Inoltre la relazione di Moro alla “Commissione dei 75” sui problemi scolastici è stata pubblicata su “Humanitas” del gennaio 1947 ed in parte su “Ricerca” del marzo 1947. ↑
Per tutti, cfr. R. Moro, I movimenti intellettuali cattolici, in Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, a cura di R.Ruffilli, il Mulino, Bologna 1979, I p. 159 ss. ; G.B. Scaglia, Introduzione. Aldo Moro dall’Azione cattolica all’azione politica, e G.Campanini, Nota critico-bibliografica, in A.Moro, Al di là della politica ed altri scritti. “Studium” 1942-1952, Ed. Studium, Roma !982, p. 30 ss., e p. 55 ss.; P. Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano. Aldo Moro e “Studium” (1945 – 1948), Ed. Studium, Roma 2011, p. 17 ss., p. 77 ss, Quest’ ultimo autore ha scritto di “Studium” come di una rivista che nel periodo costituente viene collocandosi su posizioni “dossettiane” (Aldo Moro “politico dossettiano”. Problemi storiografici e percorsi di ricerca, in Aldo Moro nella storia dell’Italia repubblicana, a cura di Mondo contemporaneo, Franco Angeli, Milano 2011, p. 99). ↑
A cominciare dagli Editoriali, che non sono firmati ma che sono sicuramente di A. Moro (G. Campanini, Nota critico-bibliografica, cit., p. 51). ↑
G.Cassano , Chiesa e democrazia, Studium 1945, p. 349 ss. Ma si considerino anche i numerosi altri interventi sul rapporto fra democrazia e cristianesimo che appaiono sulla rivista (P.Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano cit., p. 77 ss.). Su Cassano (1906/1987) si veda P. Acanfora, La democrazia fra passione e servizio, Ed. Studium , Roma 2016.
A sua volta Moro scriverà in un editoriale (A.Moro, Una nuova storia, “Studium” 1946 n.6/7) che “la democrazia …è nella vita sociale e politica il frutto lungamente e faticosamente maturato dell’annunzio evangelico di dignità umana e di socialità spontanea e costruttiva”. Successivamente scriverà di cristiani “che sentono lo sviluppo democratico coerente alle grandi idee cristiane di dignità umana e di fratellanza” (A. Moro, Democrazia integrale, “Studium” 1947 n.4). ↑
G. B., La “Settimana sociale” di Firenze, “Studium” 1945, p. 374 ss. ↑
Si veda in “Studium” 1947: G. La Pira, I diritti civili nella nuova Costituzione, n.1 p. 7 ss. (si tratta del progetto presentato da La Pira alla Prima sottocommissione; un testo nel quale, ad esempio, si sosteneva una opinione assai diversa da quella degli “esperti” di Civiltà cattolica su un tema importante come la libertà religiosa ) e C. Mortati, Il potere legislativo nel progetto di Costituzione, e La Regione nell’ordinamento costituzionale italiano, n. 7/8, p. 242 ss. e n. 11, p. 331 ss.(si tratta di due appositi ampi articoli).
Su La Pira (1904/1977) si veda B. Bocchini Camaiani in DBI ; su C. Mortati (1891/1985) si veda F. Lanchester, in DBI. ↑
La relazione di G. Gonella, Il programma della Democrazia Cristiana per la nuova Costituzione, SELI, Roma 1946 non solo è stata stampata e diffusa molto largamente, ma è stata esaltata (solo per fare un esempio fra i tanti possibili) da un noto commentatore ecclesiastico come “relazione principale del consesso” e “discorso notevole per la grandiosità del quadro giuridico in esso trattato, per la solida e cristiana impostazione dei problemi, per la densità dei concetti”( A. Brucculeri S.J., Il congresso nazionale della Democrazia cristiana, Civiltà cattolica 1946, p. 330).
Su Gonella (1905/1982) si veda G. Campanini in DBI.
Si tenga però presente che alla relazione Gonella non sembra riferirsi neppure la di poco successiva “Relazione sui principi relativi ai rapporti civili” di Giorgio La Pira, che pure cita numerose fonti di ispirazione per la stesura delle sue proposte (fra cui in particolare la relazione di Mortati sui “diritti pubblici subiettivi”, redatta nell’ambito della Commissione Forti, ed il cosiddetto “progetto Mounier”).
Comunque Aldo Moro -come vedremo- nella sua relazione alla prima Sottocommissione dissentì da un importante passaggio di questa relazione, che era stato oggetto di esplicite forti critiche da parte di esponenti politici di altre tendenze politiche (vedi nota 141).
Quanto alla proposta di Tupini ( U. Tupini, La nuova Costituzione, presupposti, lineamenti, garanzie, SELI, Roma 1946) il testo è stato stampato come uno dei “contributi delle commissioni di studio della Democrazia cristiana” , ma restando un contributo personale di Tupini, presidente della “Commissione di studi per la Costituente” , al fine di stimolarne l’attività ( 1889/1973, F. Mazzei DBI) . Peraltro la Commissione non sembra esser giunta alla formulazione di una propria proposta unitaria. ↑
La nuova Costituzione italiana. Progetto e relazioni di Ruini, La Pira, Corsanego, Moro, Dossetti, Fanfani, Taviani, Mortati, Tosato, Leone, Ambrosini, Ed. Studium, Roma 1947.
Significativa la spiegazione delle scelte operate: “abbiamo dato preferenza alle relazioni presentate sugli argomenti fondamentali dell’ordinamento costituzionale dei deputati che professano in campo politico l’idea cristiana. Esse infatti esprimono un punto di vista unitario sui vari problemi della costituzione e sono poi particolarmente ricche di quelle intuizioni morali ed umane di cui abbiamo parlato” (ivi, p. 8). ↑
A. Moro, L’apporto democristiano alla nuova costituzione. Ma si vedano anche, nei soli mesi di febbraio e marzo 1947 : A. Moro, Nuova costituzione e principi cristiani e Valori morali e ordine costituzionale , “L’avvenire d’Italia”, 14 e 23 febbraio; Aspetti della nuova costituzione, “Coscienza” n. 2-4; Fedele al mandato, “Popolo e libertà”, 16 marzo . ↑
Basti considerare A. Messineo S.J., Il progetto di Costituzione della Repubblica italiana, in La Civiltà cattolica, 1947 p. 449 ss. e gli articoli dell’8 e del 28 febbraio 1947 de “Il quotidiano”(La nuova Costituzione, L’ICAS e il progetto costituzionale), nonché Un commento alla Costituzione italiana, ( che riproduce i rilievi critici dell’ICAS), in L’Osservatore romano, 3/4 marzo 1947.
Ciò senza considerare il peso dei drastici giudici critici di Sturzo sulla prima parte del progetto (Note sul progetto di Costituzione, “Il giornale d’Italia”, 4 marzo 1947), che saranno superati solo al termine dei lavori costituenti (L. Sturzo, Libertà politica e Costituzione, “Il popolo” 20 marzo 1949). ↑
“La Costituzione esprime nelle sue linee essenziali la formula di convivenza sociale, raccoglie le tradizioni sacre del passato, dà forma e consistenza alle aspirazioni più vive dell’anima popolare” (La nuova Costituzione italiana. cit, p. 7). ↑
Cfr. L’elaborazione della Costituzione italiana, in “Studium” 1947 n.4 pp. 139/140 e La nuova Costituzione entra in vigore, in “Studium” 1948 n.1 pp. 45/6. ↑
Si vedano le poche e sommarie notizie sulla riunione informale del luglio 1946 tenutasi presso il convento dei Santi Giovanni e Paolo al Celio, con l’intervento della Direzione nazionale della DC e di alcuni costituenti, a cui si è sommariamente riferito Dossetti, e che avrebbe dovuto rappresentare le aspettative costituzionali dei più maturi parlamentari : A colloquio con Dossetti e Lazzati, intervista di L.Elia e P.Scoppola, Il Mulino, Bologna 2003, pag. 63; E. Galavotti, Il professorino. Giuseppe Dossetti tra crisi del fascismo e costruzione della democrazia 1940-1948 ss., Il Mulino, Bologna 2013, pp.406/407. ↑
A. Moro, L’apporto democristiano alla nuova costituzione. ↑
Presidente di questo organo era Tupini e gli altri tre componenti erano costituenti autorevoli come Ambrosini, Fanfani e Mortati (documentazione reperita nell’Archivio Flamigni). ↑
Cfr. Atti e documenti della Democrazia cristiana. 1943/1967, a cura di A. Damilano, Ed. Cinque lune, Roma 1968, vol. I, p.352.Per alcuni dati su G. Gronchi (1887/1978) si veda G. Sircana in DBI. ↑
Per una precisa ed esauriente considerazione delle funzioni e delle vicende della Commissione, cfr. L. Elia, La Commissione dei 75 , il dibattito costituzionale e l’elaborazione dello schema di costituzione, in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell’Italia, Nuova Cei, Milano 1989, Vol. XIV, p. 125 ss, ↑
Risulta, infatti, esser stato molto presente nei diversi ed importanti organi di coordinamento che furono creati, fra cui in particolare il Comitato di redazione: S. Bova, L’elaborazione della carta costituzionale nel “comitato di redazione”, in La fondazione della Repubblica, a cura di E. Cheli, Il Mulino 1979, p. 314 ss. ↑
Gli altri erano il socialista Lelio Basso e Mario Cevolotto del Partito democratico del lavoro. E’ Moro che il 30 luglio 1946 illustra queste proposte alla Sottocommissione (A. Moro, Sui lavori della Sottocommissione. Lo schema di Moro). ↑
Si veda il racconto dello stesso Ruini in Comitato nazionale per la celebrazione del primo decennale della promulgazione della Costituzione, IV I precedenti storici della Costituzione (Studi e lavori preparatori), Giuffrè, Milano 1958, p. 137.
Sulla importante figura di Ruini, mazziniano ed esponente di Democrazia del lavoro, fortemente motivato a conseguire una moderna costituzione democratica e politico di fiducia di De Gasperi (ma ben introdotto pure nell’ambiente vaticano) , malgrado la sua nota adesione alla massoneria, si può vedere S. Campanozzi, Il pensiero politico e giuridico di Meuccio Ruini, Giuffrè, Milano 2002, e A.A.V.V., Senato della Repubblica, Meuccio Ruini: la presidenza breve, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004. ↑
Costituente comunista, relatrice nella prima Sottocommissione ( 1920/1999, G.Sircana, in DBI). ↑
Costituente democristiano, relatore nella prima Sottocommissione ( 1892/1963, G. Ignesti, in DBI). ↑
Prima sottocommissione, seduta del 6 novembre 1946. A. Moro, L’autonomia della famiglia. ↑
Palmiro Togliatti, segretario nazionale del PCI, era autorevole ed attivo componente della “commissione dei 75”; 1893/1964, F. Andreucci, in DBI. ↑
Si veda la verbalizzazione del suo breve intervento nella Adunanza plenaria del 1 febbraio 1947. ↑
Mi riferisco a U. De Siervo, Il contributo di Aldo Moro alla formazione della Costituzione repubblicana, in “Il Politico” 1979, n.2, poi ripubblicato con il titolo Il contributo alla Costituente in Cultura e politica nell’esperienza di Aldo Moro, a cura di P. Scaramozzino, Giuffrè 1982, p. 79 ss.(le prossime citazioni si riferiscono a questa versione). ↑
Per tutti, si vedano, oltre ai saggi di Norberto Bobbio (Diritto e Stato negli scritti giovanili), Giuliano Vassalli (L’opera penalistica) , Roberto Ruffilli (Religione, diritto e politica) , in Cultura e politica cit., gli scritti di R. Moro ( quanto meno La formazione giovanile di Aldo Moro, in Storia contemporanea 1983 n. 6, p. 803 ss.; La formazione giovanile di Aldo Moro. Dall’impegno religioso a quello politico, in Convegno di studi in memoria di Aldo Moro nel ventennale della sua scomparsa, Bari 28 maggio 1998, Servizio editoriale universitario, 2001, p. 51 ss. ; Aldo Moro negli anni della Fuci, Studium 2008, Roma; La matrice montiniana: Giorgio La Pira e Aldo Moro nella crisi del fascismo, in Moro e La Pira. Due percorsi per il bene comune, Edizioni polistampa, Firenze 2017, p. 245 ss.; La formazione intellettuale di Aldo Moro, in Aldo Moro nella storia della Repubblica, a cura di Nicola Antonetti, Il mulino, Bologna 2018, p. 41 ss.); M. Salvati, Moro e la nascita della democrazia repubblicana, in Una vita, un paese. Aldo Moro e l’Italia del Novecento, a cura di R. Moro e D. Mezzana, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, p. 33 ss.; G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, Il Mulino, Bologna 2016; T. Torresi, Sergio Paronetto intellettuale cattolico, e stratega dello sviluppo, Il Mulino, Bologna 2017. ↑
M. Mastrogregori, Moro. La biografia politica del democristiano più celebrato e discusso nella storia della Repubblica, Salerno editrice, Roma 2016, p. 62 ss. ↑
Si veda in particolare la documentata ricostruzione di M. Casella, Cattolici e Costituente. Orientamenti e iniziative del cattolicesimo organizzato (1945 – 1947), ESI, Napoli 1987, p. 141 ss., 166 ss., 171 ss., 180 ss. ↑
Per informate ed equilibrate ricostruzioni della vicenda si veda R.Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro. Dall’impegno religioso a quello politico , cit., p. 65 ss.. p. 86 ss.; G. Formigoni, Aldo Moro cit., p. 54 ss. ↑
Fra i molti, cfr. A. Moro, L’apporto democristiano alla nuova costituzione; Fedele al mandato. ↑
Si vedano in particolare i molteplici rapporti con Paronetto (T. Torresi, Sergio Paronetto cit., p. 217 n.21, 269, 288 ss., 470). ↑
Tanto da rilevare la discutibile assenza nel programma editoriale del 1942 dei Laureati di un volume dedicato allo Stato (M. L. Paronetto Valier, “Esami di coscienza”. Una iniziativa editoriale, in Studium 1975, n.5, pp. 747/8). Successivamente non sembra abbia pesato neppure l’adesione al gruppo dossettiano, di cui si è erroneamente asserito il mancato impegno relativamente ai profili istituzionali (ma chi ha sostenuto opinioni del genere ha dimenticato quanto meno il grande peso di Mortati, impegnatissimo nella seconda Sottocommissione e nella Assemblea plenaria, nonché di Antonio Amorth).
Più in generale, sulla concezione di Stato nel giovane Moro, cfr. R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro cit., p. 942 ss. ↑
R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro cit., p. 881 ss. ↑
R. Moro, La formazione giovanile di Aldo Moro cit., p. 883. ↑
Sugli intensi confronti di quegli anni nel mondo cattolico, per tutti si veda G, Campanini, La democrazia nel pensiero politico dei cattolici (1942 - 1945) e N. Antonetti, Cattolici verso la Costituente: cultura politica e problemi istituzionali, in Cattolici, Chiesa, Resistenza, a cura di De Rosa, Il mulino, Bologna 1997, p. 491 ss., 615 ss.. ↑
Ad esempio, proprio nei mesi iniziali della Presidenza della Fuci, appaiono molte le occasioni di incontro fra l’ impegnato studente Aldo Moro ed il noto ed attivissimo professor Giorgio La Pira (convegni di Camerino, Macerata, Firenze), che proprio allora era molto intensamente impegnato nella stagione di “Principi” (mi permetto di rinviare a U. De Siervo, Il doveroso impegno sociale, in Principi contro i totalitarismi e rifondazione costituzionale, vol. III dell’edizione nazionale delle opere di Giorgio La Pira, Fup, Firenze 2019, p. XXX ss.). Si tenga anche presente che Moro, al di là della condivisa spiritualità domenicana, ben conosceva “Vita cristiana” su cui La Pira aveva scritto più volte e su cui lo stesso Moro scrive nel 1940: e proprio nel 1939/40 La Pira pubblica “Principi” come supplemento di questa rivista. Quindi, pur condividendosi l’opinione della relativa diversità di approccio e di impostazione culturale di La Pira e di Moro, non può certo sottovalutarsi l’influenza su Moro dell’intenso impegno critico e propositivo di La Pira. ↑
In questa fase Alcide De Gasperi (1881/1954) appare impegnatissimo a tessere la rete di rapporti fra le diverse componenti del mondo cattolico che potevano essere coinvolte nel tentativo di riedificazione di un rinnovato movimento politico rappresentativo della tradizione cattolico-democratica; in generale cfr. P.Craveri in DBI. ↑
Sulla permanente attenzione di De Gasperi alle evoluzioni istituzionali e costituzionali nei diversi paesi europei, fino a tutti gli anni trenta, ha giustamente richiamato l’attenzione P. Pombeni (La questione costituzionale in Italia, Il Mulino, Bologna 2016, p.123 ss., p. 139 ss.). Si vedano in particolare i suoi tanti scritti sotto pseudonimo, ora ripubblicati in A.De Gasperi, Scritti e discorsi politici, Vol. II, tomo 3, Il Mulino, Bologna 2007. ↑
Per tutti, si vedano: R. Moro, Il mito dell’Italia cattolica. Nazione, religione e cattolicesimo negli anni del fascismo, Studium ed., Roma 2020, p. 536 ss.; M. Bocci, Oltre lo Stato liberale. Ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico fra fascismo e democrazia, Bulzoni ed., Roma 1999; G. Gonella, Principi di un ordine sociale: note ai Messaggi di s.s. Pio 12, Civitas gentium, Città del Vaticano 1944; P. Pombeni, Il contributo dei cattolici alla fase costituente: la formazione della Carta fondamentale, in Scalfaro dalla Costituente al Quirinale. Cinquant’anni di storia italiana, a cura di G. A.Cerutti, Interlinea, Novara 2019, p. 24 ss.
Sul valore, ma anche sul mito, del Codice di Camaldoli ( Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli, Studium, Roma 1945), si veda M.L. Paronetto Valier, Il codice di Camaldoli, in “Studium” 1978, n.1, p. 61 ss., e fra gli scritti più recenti A. A. Persico, Camaldoli e il suo mito: la controversa vicenda del Codice, in Una scuola di teologia per laici. Le settimane di cultura religiosa di Camaldoli nella storia della Chiesa e della società italiana (1936 – 1946), a cura di T. Torresi, Ed. Camaldoli, 2017, p.239 ss.; T. Torresi, Sergio Paronetto cit., p. 307 ss. ↑
Mi permetto di rinviare a U. De Siervo, Le idee e le vicende costituzionali in Francia nel 1945 e 1946 e la loro influenza sul dibattito in Italia, In Scelte della Costituente e cultura giuridica, Il Mulino, Bologna 1980, I p. 301 ss. ↑
I cui estremi anagrafici sono rispettivamente 1882/ 1973 e 1905/1950. ↑
Mentre Francois de Menthon (1900/ 1984), costituzionalista ed antinazista, era il relatore per il MRP alla Costituente francese, Mirkine Guetzevitch (1892/1955), era un noto comparatista collegato anche a Sturzo, e Marcel Prélot (1898/ 1972), noto costituzionalista e studioso delle idee politiche, era stato fra i fondatori di partiti francesi di ispirazione cattolica. ↑
Esponente politico socialista (1872/1950), era stato – tra l’altro- Presidente del Consiglio nel periodo del Fronte popolare e successivamente aveva sottoposto a intensa critica il regime parlamentare francese. ↑
F. Malgeri, Il contesto politico, in N.Antonetti, U. De Siervo, F. Malgeri, I cattolici democratici e la Costituzione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017, p. 122 ss., n.236; Mario Casella, Cattolici e Costituente cit, p.151 ss. ↑
Si pensi in particolare alle relazioni di G. Gonella, di F. Pergolesi, di A. Fanfani, di E. Tosato, di A. Amorth, o all’ampio intervento in quella sede di G. La Pira, in Costituzione e Costituente, Ed. Icas, Roma 1946.
Inoltre si consideri che non solo Mortati nei volumi del Ministero per la Costituente è il commentatore della Costituzione di Weimar (C. Mortati, La Costituzione di Weimar, Sansoni, Firenze 1946), ma che Tosato nella sua relazione alla Settimana sociale attinge considerazioni e proposte da un importante testo di Kelsen (vedi la nota 56). ↑
Sulla funzione dei giuristi nelle stagioni costituenti e sulle caratteristiche del fenomeno in Italia nel 1946/7, mi permetto di rinviare a U. De Siervo, Il ruolo dei giuristi alla Costituente, in I costituenti della Sapienza (atti del convegno – Roma 30 novembre 2017) , Cedam, Milano 2021 , p. 1 ss. ↑
Si pensi in particolare ad Ambrosini, Amorth, Balladore Pallieri, Mortati, Pergolesi, Tosato. ↑
Su questi tre autorevoli relatori si vedano rispettivamente, le informazioni anagrafiche: 1872/1961, B.Bocchini Camaiani, DBI; 1897/1978, E. Botto, DBI; 1905/1950. Sul contesto complessivo del confronto si veda F. Malgeri, . Azione cattolica, Costituente, costituzione, in Chiesa e Azione cattolica alle origini della costituzione repubblicana, a cura di F.Malgeri E. Preziosi, AVE, Roma 2005, p. 5 ss.
Di tutt’altra impostazione appare, invece, il contributo di mons. A. Bernareggi (Costituzione e costituente cit. p. 239 ss.), che cercò di mediare il riconoscimento del valore del prossimo processo costituente con i preoccupati moniti di Pio XII impliciti nel testo della “lettera apostolica di sua Santità Pio XII per la 19 Settimana sociale” (Costituzione e costituente cit., p. 9 ss.) ↑
In particolare fu oggetto di svariate polemiche proprio il famoso volume di C. Mortati, La Costituente. La teoria. La storia. Il problema italiano, Darsena, Roma 1945. ↑
In particolare ho segnalato che alcuni importanti passaggi della relazione di Egidio Tosato sulla rigidità e sulla giustizia costituzionale risentono in modo palese delle opinioni espresse negli anni precedenti da Hans Kelsen (U. De Siervo, I cattolici democratici e le scelte della Costituente, in N. Antonetti, U. De Siervo, F. Malgeri, I cattolici democratici e la Costituzione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017, cit., p. 226 e n.24). ↑
Costituzione e Costituente, Ed. Icas, Roma 1946, p. 315. ↑
U.Forti (1878/1950) ordinario di diritto amministrativo, nel 1944 è nominato dal Governo Badoglio Presidente di una Commissione per la riforma amministrativa e nel 1945 dal Governo Parri Presidente della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato. ↑
Per A. Fanfani( 1908/1999) si veda G. Formigoni, DBI, mentre per E. Tosato (1902/1984) si consideri che era un noto costituzionalista cattolico, che sarà relatore nella “Commissione dei 75” della Costituente sulla “forma di governo”, uno dei temi più rilevanti. ↑
Gli altri componenti di designazione della DC erano Giuseppe Dossetti (1913/1996, su cui si veda P.Pombeni DBI), Salvatore Scoca (1894/1962), Giuseppe Fuschini (1883/1949, su cui si veda C. Novelli DBI), Attilio Piccioni (1892/1976, su cui si veda F. Mazzei DBI).
Per valutare l’ importanza dell’attività svolta dalla Commissione Forti nell’ambito istituzionale , se ne vedano quanto meno gli Atti: Ministero per la Costituente, Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, Relazione all’Assemblea costituente, Failli ed., Roma 1946. Utili documentazioni sui confronti che vi si svolsero sono in Alle origini della Costituzione italiana. I lavori preparatori della “Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello stato” (1945-1946), a cura di G. D’Alessio, Il Mulino, Bologna 1979. ↑
Su di esso, cfr. R. Sani, Da De Gasperi a Fanfani. La “Civiltà cattolica” e il mondo cattolico nel secondo dopoguerra. 1945- 1962, Morcelliana, Brescia 1986; A. Riccardi, Roma “città sacra” ‘ Dalla Conciliazione all’operazione Sturzo, Vita e pensiero, Milano 1979; G. Sale, De Gasperi, gli USA e il Vaticano all’in;izio della guerra fredda, Jaca book, Milano 2005, pag.97 ss.; G. Sale, Il Vaticano e la Costituzione, Jaka book, , Milano 2008, p. 29 ss.; P. Pombeni, La questione costituzionale in Italia, Il Mulino, Bologna 2016, p. 90 ss., p.158 ss. ; F. Occhetta, Le radici della democrazia. I principi della costituzione nel dibattito fra gesuiti e costituenti cattolici, Jaca book, Milano 2012, p. 67 ss. ↑
M. Casella, Cattolici e Costituente. Orientamenti e iniziative del cattolicesimo organizzato (1945 – 1947) cit., p. 150 ss, 184 ss., F. Malgeri, Il contesto politico cit., p.133 ss. Si noti che lo stesso Casella (p. 151 n.23) si riferisce anche ad una bozza di odg finale della Settimana sociale più moderato che era stato proposto in quell’occasione da Moro. ↑
Mons. Giuseppe Borghino era allora vice-Direttore dell’Azione cattolica. ↑
M. Casella, Cattolici e Costituente. Orientamenti e iniziative del cattolicesimo organizzato (1945 – 1947) cit., pag. 186 ss. ↑
Giacomo Martegani (1902/1981), è stato direttore de “La civiltà cattolica” dal 1939 al 1955. ↑
Note di mons. A. Dell’Acqua sui progetti di costituzione dei padri della Civiltà cattolica, in G.Sale, Il Vaticano e la Costituzione, cit., p. 198 ss. Su Angelo Dell’Acqua (1903/1972) si veda E.Galavotti DBI. ↑
A. Moro, Di fronte alla Costituente, 1946, .3. ↑
A. Moro, Osservatorio 1. 1946. n.8/9 ↑
A. Moro, Di fronte alla Costituente, 1946, 3. ↑
A. Moro, Osservatorio 1. 1946. n.8/91 ↑
A. Moro, Di fronte alla Costituente, Studium 1946, n.3. ↑
Di per sé questa espressione linguistica era stata utilizzata -ma in diverso significato- da Moro nei suoi scritti di filosofia del diritto, addirittura come titolo di un capitolo del testo del 1946 -1947 (A. Moro, Appunti sull’esperienza giuridica, Lo Stato, 1946 – 1947) per indicare il fondamento etico dello Stato. Ma addirittura C. Schmitt aveva intitolato Valore dello Stato e significato dell’individuo una sua opera giovanile . ↑
A. Moro, Valore dello Stato, Studium 1947 n.3. Naturalmente Moro scriveva di riferirsi a “uno Stato libero e giusto, uno Stato soprattutto che conosca e riconosca i suoi limiti”.
Sul tema, più in generale si veda P. Acanfora, Un nuovo umanesimo cristiano. Aldo Moro e “Studium” (1945 – 1948), cit., p.95 ss. ↑
Che - si noti - sarebbe ricercato solo “per una malintesa pregiudiziale cristiana spiritualistica e personalistica”. ↑
A. Moro, Al di là dello Stato, “Studium” 1948 n.5. ↑
L. Sturzo, La società, sua natura e leggi, (1935), ora in La società. Sua natura e leggi. Sociologia storicistica, Zanichelli, Bologna 1960, p, 269; L. Sturzo, Politica e morale, (1938), Coscienza e politica (1953), ora in Zanichelli, Bologna 1972, p. 374. ↑
Su cui (1871/1959) si veda F.Malgeri, DBI. ↑
Mi permetto di rinviare a U. De Siervo, Costituzione, in Lessico sturziano, a cura di A. Parisi e M. Cappellano, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, p. 175 ss. ↑
A. Moro, Una nuova storia, e Osservatorio 1. ↑
C. Mortati, in Ministero per la Costituente. Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, Relazione all’Assemblea costituente, Roma, 1946, I, p. 79 ss. ↑
Sui lavori della Sottocommissione. Lo schema di Moro.
Si ricordi che all’inizio dei lavori costituenti erano alquanto diffusi, specie fra i costituenti dei partiti della sinistra, i dubbi sulla rigidità costituzionale: U.De Siervo, Scelte e confronti costituzionali nel periodo costituente. Il progetto democratico cristiano e le altre proposte, in Jus. 1979, n.2, p.150 ss. Si veda pure l’opinione di Vezio Crisafulli, allora giurista impegnato nel PCI: V. Crisafulli, Politica e Costituzione. Scritti “militanti”, a cura di S. Bartole e R. Bin, Franco Angeli, Milano 2018, p. 107 ss.
Ciò mentre era molto evidente la scelta dei democristiani, che condividevano le esemplari opinioni espresse da Tosato alla Settimana sociale di Firenze (Garanzia delle leggi costituzionali, in Costituzione e Costituente, ICAS, Roma 1946, p. 131 ss.). In tal senso si era anche più volte espresso Mortati nella Commissione Forti. Lo stesso Moro è stato esplicito nell’affermare che non bastava limitare il solo potere esecutivo, ma che occorreva riferirsi pure al potere legislativo (La persona umana. I principi dei rapporti civili). ↑
Solo per fare alcuni esempi : A. Moro, L’uomo sociale; Diritto di cittadinanza. I principi dei rapporti civili; Le libertà associative ed i loro limiti. I principi dei rapporti civili; Il progetto di costituzione. ↑
Si veda la seduta pomeridiana dell’Assemblea costituente dell’11 dicembre 1947, durante la quale l’ordine del giorno Franceschini, Moro, Ferrarese e Sartor, relativo all’insegnamento dell’ordinamento costituzionale nelle scuole, risulta “approvato all’unanimità”. ↑
A.Moro, Sui lavori della sottocommissione. Lo schema di Moro.
Ciò mentre era dominante un contesto informativo (specie dei cosiddetti “giornali indipendenti”) quanto mai scettico sulle innovazioni possibili e sullo svolgimento del dibattito costituente : Costituente e lotta politica. La stampa e le scelte costituzionali, a cura di R.Ruffilli, Firenze, Vallecchi 1978.; M.S. Piretti, Il rapporto Costituente-Paese nelle relazioni dei prefetti, nelle lettere alla Costituente e nella stampa di opinione, in La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria alla Assemblea costituente, Il Mulino, Bologna pag. 1979, p. 467 ss.; P. Pombeni, La questione costituzionale in Italia, cit., p. 118 ss. ↑
A. Moro, La solidarietà sociale. I principi dei rapporti civili; L’autonomia della famiglia. ↑
A. Moro, Spunti sulla costituzione. ↑
A. Moro, Il progetto di costituzione . ↑
A. Moro, Aspetti della nuova costituzione. ↑
A. Moro, Spunti sulla Costituzione. ↑
A. Moro, Nuova costituzione e principi cristiani; Valori morali e ordine costituzionale. ↑
A. Moro, Aspetti della nuova costituzione. Relazione dell’on. Prof. Aldo Moro. ↑
In una delle ultime sedute dei lavori costituenti era stato, infatti, improvvisamente adottato, per di più in assenza di moltissimi costituenti, un emendamento proposto dal costituente socialista Giuseppe Arata ( 1901/1990) che avrebbe rimandato al legislatore ordinario la disciplina delle modalità attraverso le quali le leggi sarebbero state impugnabili presso la Corte ( A. Moro, La composizione della Corte costituzionale; La Corte costituzionale e l’incostituzionalità delle leggi). Le reiterate proteste di vari costituenti, fra cui in particolare Moro, portano alla proposta dello stesso Ruini in sede di relazione finale all’Assemblea costituente sul progetto costituzionale, a nome del Comitato di redazione (seduta del 22 dicembre 1947), di prevedere, invece, la necessità di una apposita legge costituzionale in materia, che venne in effetti presentata nel gennaio 1948 e immediatamente approvata dalla Costituente in sede di prorogatio ( A. Moro, Sulla Corte costituzionale ). ↑
Legge costituzionale 9 febbraio 1948 n.1, “Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale”. ↑
Già nella riunione dell’11 settembre 1946 Moro parla “della tendenza progressiva che deve avere la democrazia italiana” e di “carattere dinamico che deve avere lo Stato democratico”. Successivamente parla anche di “Stato interventista” e di necessità di “un effettivo progresso sociale” (A. Moro, L’economia liberale. I principi dei rapporti sociali (economici); Lavoro e pianificazione. I principi dei rapporti sociali (economici). ). Ma poi, definendosi “antimilitarista”, afferma che “l’ ordinamento dell’esercito deve riflettere la struttura democratica dello Stato” (A. Moro, La difesa della patria. I principi dei rapporti politici).
D’altra parte è nota la originaria disponibilità di Moro (poi corretta) a votare perfino l’emendamento di Togliatti che proponeva di parlare di “Repubblica democratica dei lavoratori” (si veda la n.104). ↑
Sembra abbastanza evidente un crescente distacco dell’opinione pubblica dai dibattiti costituenti, attribuito da Moro (A. Moro, Nuova costituzione e principi cristiani) e da Ruffilli (Partiti, cultura politica e masse nella formazione della Repubblica democratica cit., p. X e segg.) a prevalenti responsabilità della stampa. Si veda pure la nota 84. ↑
Si veda la ricostruzione delle vicende relative ai diversi ordini del giorno, prima nella Prima sottocommissione e poi nella Assemblea plenaria della “ Commissione dei 75”, in U. De Siervo, Scelte e confronti cit., p. 166 ss. ↑
A. Moro, Il progetto di costituzione. ↑
“Questa sana accettabile ideologia che io ho racchiuso nelle due espressioni -libertà e giustizia sociale- si ritrova in questi tre articoli della Costituzione” (ibidem). ↑
A. Moro, Il progetto di costituzione. ↑
Ibidem. Si vedano pure le argomentazioni contenute in A. Moro, Nuova Costituzione e principi cristiani , contrarie a relegare nel preambolo le maggiori disposizioni costituzionali. ↑
Su Calamandrei (1889/1956) si veda S. Rodotà, DBI. ↑
A. Moro, Il progetto di costituzione.. ↑
In occasione di questo intervento, Moro spiega che con la predisposizione di una costituzione “noi attendiamo ad una grande opera: la costruzione di un nuovo Stato. E costruire un nuovo Stato- se lo Stato è -com’è certamente- una forma essenziale, fondamentale di solidarietà umana, costruire un nuovo Stato vale quanto prendere posizione intorno ad alcuni punti fondamentali inerenti alla concezione dell’uomo e del mondo” .(Ibidem). ↑
Ho cercato di ricostruire la significativa vicenda in U. De Siervo, Il contributo alla Costituente cit., p. 91 ss. ↑
I proponenti erano: Fanfani, Grassi (1883/1950. G. Quagliarello DGI ) , Moro, Tosato, Bulloni (1895/1950), Ponti (1896/1961), Clerici (1896/1961). ↑
I proponenti erano Amendola (1907/1980. M. Fatica DBI), Laconi, Iotti, Grieco. ↑
A. Moro, I diritti inviolabili dell’uomo. ↑
Per Mortati ci si riferisce essenzialmente alla sua nota relazione “sui diritti subiettivi politici” redatta nell’ambito della Commissione Forti e largamente assunta a base anche delle proposte di Basso e di La Pira nella Prima sottocommissione della “Commissione dei 75”. ↑
A, Moro, La sovranità dello Stato e il diritto di resistenza. Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti. Come è noto, questa proposta viene approvata dalla “Commissione dei 75” ed andrà a costituire il secondo comma dell’art. 50 del progetto di Costituzione (“Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”), ma verrà eliminata in Assemblea plenaria (nella seduta del 5 dicembre 1947) su finale proposta di Mortati, per asseriti motivi di opportunità, una volta che erano state analiticamente garantite le diverse situazioni soggettive. ↑
Ibidem. ↑
Si veda la seduta del 25 settembre 1946 della prima Sottocommissione. ↑
Si veda la seduta del 2 ottobre 1946 della prima Sottocommissione. I dubbi alquanto diffusi sulle possibili conseguenza di disposizioni del genere agevolarono un generico rinvio del voto sulla disposizione. ↑
A. Moro, La libertà personale. I principi dei rapporti civili ; Il rispetto dell’indagato. I principi dei rapporti civili ; La libertà domiciliare. I principi dei rapporti civili; Le libertà associative ed i loro limiti. I principi dei rapporti civili. ↑
A. Moro, Diritto di cittadinanza. I principi dei rapporti civili ; Sulla stampa pornografica ; La stampa pornografica. ↑
A. Moro, La concessione dei titoli nobiliari. I principi dei rapporti civili; Sui titoli nobiliari. ↑
A. Moro, Le associazioni segrete. Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento. ↑
A. Moro, Il trattamento sanitario obbligatorio. ↑
A. Moro, Il giuramento. ↑
A. Moro, Il lavoro. I principi dei rapporti sociali (economici). ↑
A. Moro, Tendenze progressive della Costituzione. I principi dei rapporti civili; La Repubblica e il lavoro. Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti. Nella seduta dell’11 ottobre 1946 si era riferito ad una “nuova Italia, in così larga parte socialcomunista e in così larga parte democristiana …orientata nel senso di un effettivo progresso sociale” (A. Moro, Lavoro e pianificazione. I principi dei rapporti sociali (economici) ). ↑
A. Moro, La retribuzione del lavoro per l’uomo e per la donna. I principi dei rapporti sociali (economici) ; Lavoro e pianificazione. I principi dei rapporti sociali (economici). ↑
A. Moro, Il diritto di proprietà. I principi dei rapporti sociali (economici). ↑
A. Moro, Partecipazione popolare e amministrazione della giustizia. ↑
A. Moro, La pena dell’ergastolo, Revisione degli articoli da deferire al Comitato per il coordinamento; Sulla stampa pornografica ; La pena e la rieducazione del condannato. ↑
R. Moro, Il mito dell’Italia cattolica, cit. p. 330 ss. ↑
A. Moro, La libertà di stampa. I principi dei rapporti civili. ↑
Basti considerare F. Malgeri, Il contesto politico cit., pag.133 ss.; M. Casella, Cattolici e Costituente. Orientamenti e iniziative del cattolicesimo organizzato (1945 – 1947) cit., G. Sale, De Gasperi, gli USA e il Vaticano all’inizio della guerra fredda, cit. ↑
A. Moro, Aspetti della nuova costituzione ↑
G.Dossetti, Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti e la libertà di opinione, di coscienza e di culto, in Assemblea costituente, Atti della Commissione per la Costituzione, vol.II, Relazioni e proposte, p. 61 ss.
Una ampia selezione degli interventi di Dossetti alla Costituente è in G.Dossetti, La ricerca costituente cit., p. 208 ss. ↑
A. Moro, I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica. ↑
A. Moro, Osservatorio 2, Studium 1946 n.12. ↑
A. Moro, I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica. ↑
G. Sale, Il Vaticano e la Costituzione, cit. p. 148 ss.; F. Occhetta, Le radici della democrazia. I principi della Costituzione nel dibattito fra gesuiti e costituenti cattolici, cit. p. 200 ss. ↑
A. Moro, I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica. ↑
Ibidem ; si veda anche A. Moro, Stato e Chiesa. Intervista con Aldo Moro, ↑
Le relazioni erano: C. Marchesi, Relazione sui principi costituzionali riguardanti la cultura e la scuola, e A. Moro, Relazione sui principi dei rapporti sociali (culturali), in Assemblea costituente, Atti della commissione per la Costituzione, Vol. II Relazioni e proposte, p. 35 ss. e p. 45 ss. (la relazione di Moro nella presente opera è pubblicata come A. Moro, Diritti individuali ed esigenze sociali nell’educazione. I principi dei rapporti sociali (culturali) ). ↑
R. Moro, Storia di una maestra del sud che fu la madre di Aldo Moro, Giunti ed. / Bompiani, Firenze / Milano, 2022. ↑
A. Moro, Diritti individuali ed esigenze sociali nell’educazione. I principi dei rapporti sociali (culturali). ↑
Ibidem. ↑
Ibidem. ↑
Si vedano, ad esempio :C. Marchesi, Principi costituzionali riguardanti la cultura e la scuola ; L. Preti, Assemblea costituente, Ass. plenaria, 17 aprile 1947. Concetto Marchesi, era costituente comunista e relatore sui problemi scolastici nella “Commissione dei 75” ( 1878/ 1957, L. Canfora in DBI) , mentre Luigi Preti era costituente socialista (1877/1970, L. D’Angelo in DBI). ↑
A. Moro, in Prima sott., 30 ottobre 1946. ↑
R. Moro, Il mito dell’Italia cattolica cit., p. 378 ss. ↑
Moro aveva subito notato che dall’esito elettorale ne sarebbe potuto derivare anche un “disappunto” (A. Moro, Osservatorio 1, n. 6/7 1946) . ↑
A. Moro, Ammonimento, Studium 1947 n.5. ↑
Ibidem. ↑
C. Marchesi, Principi costituzionali riguardanti la cultura e la scuola, in Atti della Commissione per la Costituzione, II Relazioni e proposte, p. 35 ss. ↑
M. Casella, Cattolici e costituente cit, p.339 ss. ↑
Per l’ampia lettera polemica di Rivara, cfr. Ibidem, p. 330 ss. ↑
Su Veronese (1910/1986) si veda F. Malgeri DBI. La lettera di Moro è in Ibidem, pp. 335/336. ↑
A, Moro, Il problema costituzionale della scuola. Questa soluzione era stata in realtà già anticipata da Moro nel dicembre 1946 (A. Moro, L’insegnamento della religione). ↑
A. Moro, La libertà della scuola. ↑
“L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra Santa Sede e lo Stato.
Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e di professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall’Ordinario diocesano.
La revoca del certificato da parte dell’Ordinario priva senz’altro l’insegnante della capacità di insegnare.
Pel detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dall’autorità ecclesiastica”. ↑
A. Moro, Il problema costituzionale della scuola. ↑
Si veda Assemblea costituente, Seduta del 29 aprile 1947. ↑
A. Moro, La Democrazia cristiana per la libertà della scuola. ↑
A. Moro, Osservatorio 1, Studium n.4/1947. ↑
A. Moro, La famiglia e lo Stato. ↑
A. Moro, Osservatorio 2, 1946 n.11. ↑
A. Moro, La famiglia e lo Stato, L’autonomia della famiglia, La tutela della famiglia, La protezione dei figli illegittimi. ↑
A. Moro,. L’autonomia della famiglia. ↑
Si vedano le relative verbalizzazioni : Commissione per la costituzione, Adunanza plenaria 15 gennaio 1947 e Assemblea costituente 23 aprile 1947. ↑
Osservatorio 2, Studium n.5 1947. ↑
A. Moro, L’indissolubilità del matrimonio. ↑
A.Moro, Ammonimento; Osservatorio 2, Studium 1947 n.5 . ↑
A. Moro, Ammonimento. ↑
Si veda Osservatorio 2, Studium 1947 n.5. ↑
A. Moro, La forma repubblicana. Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti. ↑
A. Moro, L’elezione del Presidente della Repubblica; Le Regioni: formazione e competenze; La magistratura. ↑
Si considerino, ad esempio, le molteplici prese di posizione assunte specialmente durante i lavori della Seconda sottocommissione e poi nella Assemblea plenaria della Commissione dei 75 (U. De Siervo, Scelte e confronti cit., p. 178 ss., p. 187 ss.). ↑
Si considerino le proposte di due autorevoli esponenti comunisti come Vincenzo La Rocca (1894/1968), autore della Relazione sul potere esecutivo, in Atti della Commissione della Costituzione, vol II, p. 177 ss. E Ruggero Grieco (1893/1955), I comunisti e la creazione dell’ente Regione, UESISA, Roma 1947. ↑
Ibidem . Per essenziali informazioni biografiche su Laconi e Basso si vedano rispettivamente: 1916/1967, G. Sircana DBI; 1903/1978, P. Craveri, DBI. ↑
Per essenziali informazioni biografiche su Nenni si vedano : 1891/1980, M. Gervasoni, DBI. ↑
Si vedano le citazioni in U. De Siervo, Scelte e confronti cit., p 194. ↑
Sulla irrisolta eterogeneità dei tentativi dei democristiani di attuazione della riforma della seconda Camera e sulla parzialmente diversa progettazione di Mortati, mi permetto di rinviare U. De Siervo, Parlamento, partiti e popolo nella progettazione costituzionale di Mortati, in Il pensiero giuridico di Costantino Mortati, a cura di M.Galizia e P. Grossi, Milano 1990, Giuffrè ed., p.315 ss. ↑
Costituzionalista (1886/1985), si era impegnato in politica già con Sturzo prima del fascismo. Costituente e relatore nella “Commissione dei 75” sulle autonomie regionali e locali. ↑
Attilio Piccioni (1886/1985) è divenuto Segretario nazionale della DC nel settembre 1947. ↑
Assemblea costituente, seduta del 17 settembre 1947. L’odg verrà respinto il 23 settembre 1947. ↑
A, Moro, Il sistema elettorale del Senato della Repubblica. ↑
Si pensi alle norme finali in tema di pluralismo scolastico o di matrimonio. ↑
Mi permetto di rinviare a U. De Siervo, La ripresa del regionalismo nel dibattito costituente, in Il regionalismo italiano dall’Unità alla Costituzione e alla sua riforma, a cura di S.Mangiameli, ISSIRFA 2012, vol. I, p. 65 ss. A questo lungo e complesso dibattito Moro sembra partecipare come sensibile responsabile del gruppo, seguendo anche problemi apparentemente marginali, come la individuazione dell’elenco delle Regioni o la necessità di speciali norme transitorie per il Friuli-Venezia Giulia. Si veda pure A. Moro, Osservatorio, n.2 1947. ↑
Sul vano tentativo di sostenere questa proposta, si veda A. Moro, Sulla democraticità dei partiti politici. ↑
A. Moro, Ritorno all’uomo; Un’azione consapevole. ↑
Si vedano, ad esempio, i rapidissimi interventi nelle sedute dal 21 al 24 ottobre 1947 che nel loro insieme contribuiscono a caratterizzare la forma di governo. ↑
A. Moro, La funzione legislativa e lo scrutinio segreto. ↑
A. Moro, Le battaglie costituzionali. ↑
A. Moro, Osservatorio 2, 1947 n.12. ↑
Il 22 dicembre 1947 il risultato della votazione a scrutinio segreto sul testo costituzionale fu di 453 voti favorevoli e 62 contrari. ↑
Muta lo stesso tono complessivo delle valutazioni di Moro, fra quello nel quale dà atto delle sconfitte subite (A. Moro, Ammonimento; Le battaglie costituzionali ) e quelle che, ad esempio, aveva espresso sul progetto di Costituzione (A. Moro, L’apporto democristiano alla nuova costituzione). ↑
Per qualche riferimento a immediate e spesso superficiali critiche alla nuova Costituzione si possono vedere gli autori citati da U.De Siervo, Scelte e confronti cit., p. 198 ss, e da P.Pombeni, La questione costituzionale in Italia, cit. p. 301 ss. ↑
Mentre per le grandi carenze delle analisi giornalistiche sui dibattiti costituenti si rinvia alla nota 84 , per valutazioni obiettive ed autorevoli sugli esiti complessivi del confronto costituzionale, basti qui citare : N. Bobbio, Origine e caratteri della Costituzione, in Dall’Italia giolittiana all’Italia repubblicana, a cura di Mola, Torino, EDA 1976; E. Cheli, Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia, Il Mulino, Bologna 1978; L. Elia, Cultura e partiti alla Costituente: le basi della democrazia repubblicana, in Il sistema delle autonomie: rapporti tra stato e società civile, Il Mulino, Bologna 1979, p. 47 ss.; L. Paladin, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Il Mulino, Bologna 2004.
Si noti peraltro che affidabili scritti del genere sono stati possibili solo molti anni dopo l’ adozione della Costituzione ed il sostanziale superamento delle innumerevoli polemiche connesse alle prolungate inattuazioni costituzionali (ad esempio, esemplari sono rimaste le radicali polemiche di Calamandrei espresse in La Costituzione e le leggi per attuarla, in AAVV, Dieci anni dopo. 1945-1955. Saggi sulla vita democratica italiana, Laterza, Bari 1955, p. 209 ss.). ↑
A. Messineo, La costituzione della Repubblica italiana, I e II, “La Civiltà cattolica”, 1948 , I e II,L. Civardi, Valore sociale della nuova Costituzione, in “Il quotidiano”, 1 gennaio 1948 e Il valore sociale della nuova Costituzione, in “L’assistente ecclesiastico” , gennaio 1948. ↑
G.La Pira, Il valore della Costituzione italiana, in Cronache sociali, 1948 n.2, p. 1 ss. (su cui U. De Siervo, Il doveroso impegno sociale cit., pp. LXIV/LXV). ↑
A. Moro, La “linea” della Carta,. Si tratta di un testo nel quale si mette in particolare evidenza l’importanza storica della Costituzione come punto di intesa fra i partiti, pur tanto divisi dai conflitti, e malgrado le “incertezze talvolta angosciose di questa epoca”. ↑
A. Melloni, L’utopia come utopia, in G. Dossetti, La ricerca costituente, 1945-1952, cura di A. Melloni, Il Mulino, Bologna 1994, p. 43 ss. ↑
Si vedano, ad esempio, le deboli ed incerte documentazioni addotte a sostegno della tesi affermata: A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola (19 novembre 1984), Il Mulino, Bologna 2003; A. Melloni, L’utopia come utopia, in G. Dossetti, La ricerca costituente 1945-1952, cit., p.43 ss.; E. Galavotti, Il professorino cit., p. 782 ss. Molto più convincenti le opinioni di L. Elia, La forma di governo, in U. De Siervo, L. Elia, Costituzione e movimento cattolico, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860 – 1980, Marietti, Torino 1981, p. 239 ss.
Inoltre, si dovrebbero considerare le opinioni più volte espresse in materia da giuristi sicuramente vicini a Dossetti prima e durante la Costituente, come Costantino Mortati ed Antonio Amorth.
D’altra parte si tenga presente anche la famosa (ma successiva) relazione al convegno del 1951 (Funzioni e ordinamento dello Stato moderno, in Quaderni di Iustitia, Studium ed., Roma 1953, p. 16 ss.) di radicale critica alla mancata modifica del tradizionale assetto istituzionale dello Stato. Su questa relazione si veda: G. Dossetti, “Non abbiate paura dello Stato”. Funzioni ed ordinamento dello Stato moderno. La relazione del 1951: testo e contesto, a cura di E. Balboni, Vita e pensiero, Milano 2014. ↑
Vedi alla nota 193. ↑
U. De Siervo, Costituzione, in Lessico sturziano cit., p. 178. ↑
P. Calamandrei, La Costituzione e le leggi per attuarla, in AAVV, Dieci anni dopo. 1945 – 1955. Saggi sulla vita democratica italiana, Laterza, Bari 1955, p. 209 ss. ↑
Si vedano, ad esempio, E. Sereni, Illusioni costituzionali, Rinascita 1947 n.9 e Azione popolare contro le illusioni parlamentari, Vie nuove, 1948 n.7. Si veda pure Paolo Robotti, La Costituzione sovietica, la più moderna, Vie nuove 1947, n. 49. Oltre ai significativi dati biografici di questi autorevoli esponenti politici comunisti (1907/1977, L. Capograssi Colognesi DBI; 1901/1982), si consideri che entrambi apparivano collegati con gli ambienti delle organizzazioni internazionali comuniste. ↑
G. Tupini, I democratici cristiani. Storia di dieci anni, Garzanti, Milano 1954, p. 168 ss.
Giorgio Tupini (1922/2021), figlio di Umberto, ha avuto un significativo periodo di impegno politico nella DC durante le prime legislature repubblicane. ↑
A. Moro, Speranza, Studium 1947 n.12. ↑
A. Moro, Inizio, Studium 1948, n.1. ↑
A. Moro, Le funzioni sociali dello Stato, in Funzioni e ordinamento dello Stato moderno cit., p. 40 ss. Ciò anche nella più ampia prospettiva di attuare il complessivo disegno costituzionale: U. De Siervo, Moro dal centrismo al centro- sinistra: il problema della attuazione del disegno costituzionale cit., p. 47 ss. ↑
A. Moro, Democrazia integrale, Studium 1947 n.4. ↑